Il Sole 24 Ore 12/06/2013, 12 giugno 2013
UN TAVOLO DI CONFRONTO PER BANDIRE LA GUERRA INFORMATICA
Gentile Galimberti, che cosa ne pensa degli attacchi informatici della Cina all’America? Sono un’ingegnere civile (non so se è corretto, ma metto l’apostrofo perché sono una donna), non elettronico, ma me ne intendo abbastanza di internet. E so che gli Stati Uniti sono il Paese all’avanguardia in campo informatico. Sarà un’osservazione da guerrafondai, ma sono dell’opinione che la miglior difesa è l’attacco. Leggo che Obama e Xi, il nuovo capo cinese in visita in America, hanno parlato anche della questione degli attacchi informatici, ma i cinesi hanno già detto che loro non c’entrano e continueranno su questa linea, anche se nessuno ci crede.
Non è forse meglio agire, invece di parlare? Se gli Stati Uniti rendessero pan per focaccia (ovviamente dicendo che loro non c’entrano per nulla) la Cina si renderebbe conto che il gioco non conviene a nessuno, e la smetterebbero. O forse la mia è un’osservazione ingenua?
Vincenzina Marassi
Cara Marassi, la questione se si debba dire di una donna ingegnere "un’ingegnere" con l’apostrofo è quanto meno controversa. Ho provato a dirimerla con una ricerca in Google e le segnalo questo link: http://forum.wordreference.com/showthread.php?t=597654&langid=14 dove, come vedrà, i pro e i contro hanno acquistato accenti di fiere passioni.
Ma veniamo alla questione degli attacchi informatici. Cominciamo con il dire che, se ci devono essere attacchi, è meglio che le giostre, più o meno cavalleresche, si dispieghino nel cyberspazio piuttosto che nello spazio, magari a cavallo di qualche missile balistico intercontinentale con testata nucleare. Fatta questa ovvia premessa, sono d’accordo sul fatto che in molti casi la miglior difesa è l’attacco, che bisogna mostrare la mano di ferro nel guanto di velluto, e così via. Ma in questo caso penso che la prudenza sia d’obbligo. I nostri Paesi sono così dipendenti dall’informatica che una serie di attacchi e ritorsioni rischia di avvitarsi e magari di mettere un Paese in ginocchio. Molto meglio mettersi attorno al tavolo e fare un accordo per bandire la guerra informatica (come si è fatto, per esempio, con le armi chimiche e batteriologiche), o giungere a un "equilibrio del terrore", come c’è stato (e ancora c’è) per quanto riguarda le armi nucleari. È vero che in molti casi le incursioni cinesi (ma non solo cinesi) riguardano semplici furti di proprietà intellettuale. In quel caso la miglior difesa non è l’attacco: i furti sono motivati dal fatto che c’è più proprietà intellettuale da rubare in America di quanta ce ne sia in Cina, e quindi l’occhio per occhio, dente per dente non avrebbe senso. In questo caso la miglior difesa sta, appunto, nel potenziare la difesa. Anche se è equo dire che il gioco di guardie e ladri continuerebbe con altre e più sofisticate modalità da una parte e dall’altra, come in fondo è sempre successo, anche prima dell’era dell’informatica.