Federico Rampini, La Repubblica 13/06/2013, 13 giugno 2013
DAGLI USA AI PAESI EMERGENTI È FINITA L’ERA DEI TASSI CALANTI E I MERCATI TEMONO IL TERREMOTO
NEW YORK — È finita davvero l’èra dei tassi calanti. La svolta avviene dove conta di più: qui in America. Contagia il mondo intero, con effetti a cascata che possono preludere a una nuova “tempesta perfetta” sui mercati finanziari. Il titolone del Wall Street Journal in prima pagina è allarmante: “Un tumulto globale s’impadronisce dei mercati”. Nell’articolo del quotidiano economico si evoca uno “spostamento tettonico dell’economia mondiale”, come quelle dislocazioni della crosta terrestre che possono preludere a terremoti, creazioni di catene montuose, e altri cataclismi geologici. Una dopo l’altra stanno crollando le certezze degli ultimi anni: si dava per scontato il proseguimento di una politica monetaria ultra-generosa (abbondanza di liquidità fornita dalle banche centrali a tassi minimi), così come una crescita vigorosa delle nazioni emergenti, Cina in testa. Contrordine, su ogni fronte. Tutti i punti cardinali che davano stabilità ai mercati, sono in movimento. E soprattutto, gli investitori hanno di colpo la sensazione che le banche centrali abbiano perso il controllo degli eventi. Questa è la novità più inquietante. La Federal Reserve non riesce più a “comunicare certezze” sulla sua azione futura. La Banca del Giappone è impotente davanti a un indice Nikkei che viaggia impazzito sulle montagne russe, con rialzi e tracolli eccessivi. Le banche centrali dei paesi emergenti subiscono una fuga di capitali, le loro monete fino a ieri sopravvalutate stanno perdendo a rotta di collo sul dollaro. Da New Delhi a Brasilia a Johannesburg, tutte cercano di correre ai ripari rialzando i tassi. Si conferma così quella che potrebbe essere la vera “dislocazione tettonica” di lungo termine: si torna ai tassi d’interesse in risalita. Un grafico del New York Times, depurando dalle fluttuazioni di breve periodo, dimostra che siamo stati dentro un “ciclo lungo” addirittura trentennale, di calo dei rendimenti. L’impressione è che stia volgendo al termine, e tutti cercano di correre ai ripari, o quantomeno di capire come sopravvivere nel nuovo mondo che verrà.
A scatenare il tumulto, almeno all’origine c’è un fatto positivo: l’America è ormai fuori dal tunnel della crisi. L’uscita dalla recessione Usa compie ormai quattro anni; e da tre anni questa ripresa genera occupazione a ritmi fra i 150.000 e i 200.000 posti al mese. In queste condizioni, il presidente della Fed Ben Bernanke ha fatto capire che prima o poi toglierà la “droga” ai mercati. La cura da cavallo che la sua banca centrale ha usato per uscire dalla crisi – tasso zero e massicci acquisti di bond, ultimamente 85 miliardi di dollari ogni mese – perderà la sua ragion d’essere. Buona notizia, dunque, anche se “comunicata” con tali riserve e cautele che provocano incertezza.
Bernanke non ha detto esattamente “quando”. I mercati però giocano d’anticipo, si comportano come se la cura fosse agli sgoccioli. E come un drogato in crisi d’astinenza, hanno dei momenti di vero panico. Devono ripensare il mondo intero attorno a sé. Un universo di tassi in risalita, rovescia tutti i calcoli rispetto al passato. I rendimenti in ripresa risucchiano capitali verso gli Stati Uniti sottraendoli a quei mercati che erano stati beneficiati dalla speculazione: gli emergenti. La fuga di capitali non risparmia nessuno: in Indonesia, Filippine e Thailandia, qualcuno teme addirittura il replay della tremenda crisi asiatica del 1997. Cadono le materie prime, dal petrolio ai metalli, trascinando monete come il dollaro australiano. La Cina rallenta vistosamente e non si capisce se sia per ritrovare un equilibrio di crescita più sostenibile, o invece qualcosa di peggio.
Anche in America, le “profezie che si autoavverano” stanno facendo danni. A furia di anticipare le prossime mosse della Fed si è innescata una vendita di bond che coinvolge tutti: buoni del Tesoro e obbligazioni private delle aziende. Perdite importanti colpiscono i fondi comuni obbligazionari, i più usati dal risparmio popolare e dalla previdenza. Mentre all’inizio sembrava una Grande Rotazione ordinata (il deflusso dai bond, a favore degli investimenti azionari) ora anche la Borsa scende insieme con il valore capitale dei portafogli di titoli di Stato. La volatilità di Wall Street non è ai livelli di Tokyo ma è comunque anomala: una seduta ogni tre si chiude con l’indice Dow Jones al rialzo o (più spesso) al ribasso con punteggi a tre cifre. Potrebbe essere solo una fase di assestamento, turbolenta come tutte le transizioni. Purché i mercati tornino ad avere l’impressione che c’è un timoniere al comando: almeno della Fed.