Mattias Mainiero, Libero 12/06/2013, 12 giugno 2013
DALL’EURO A MESINA I DISASTRI DI CIAMPI
C’è un uomo in Italia del quale è vietato parlare male: Carlo Azeglio Ciampi, già presidente della Repubblica, già governatore della Banca d’Italia, già ministro del Tesoro, attualmente senatore a vita. Ciampi è un’icona, l’effigie sacra della prima e della seconda Repubblica. Quest’uomo “sul quale non si può” ha combinato più guai di mezza prima Repubblica e mezza seconda Repubblica messe insieme.
Lo sapete: Graziano Mesina, Grazianeddu per gli amici, è appena tornato in carcere. È accusato di essere il capo di una banda di trafficanti di droga. Tra l’altro, pare che nei piani dei criminali ci fosse anche un sequestro di persona, genere nel quale Grazianeddu è uno specialista incontrastato. Mesina era tornato libero nel novembre del 2004, dopo una quarantina di anni di carcere, dieci evasioni, dodici tentativi di evasione e cinque anni di latitanza. Graziato, forse perché durante le numerose evasioni aveva mantenuto una condotta impeccabile. E a graziarlo fu Ciampi, il presidentissimo. Non chiedeteci per quale motivo. Immaginiamo che non c’entri nulla il fatto che Mesina fu arrestato per la prima volta a 14 anni e per la seconda a 18, dopo essere entrato in un bar di Orgosolo e aver ferito a colpi di pistola un pastore colpevole di aver sparlato della sua famiglia. Più probabile che c’entri il sequestro del piccolo Farouk Kassam, nel corso del quale Grazianeddu avrebbe speso la sua esperienza di rapitore per convincere i banditi a liberare il bambino. Ma Mesina, in fin dei conti, è solo un bandito. Vicenda minima nel grande scenario nazionale. La speculazione è sicuramente un’altra cosa, la svalutazione pure. Figuriamoci un Paese ridotto in mutande.
Settembre del 1992. Carlo Azeglio Ciampi è capo della Banca d’Italia. George Soros è un finanziare americano-ungaro-israeliano ricchissimo e non ancora noto al grande pubblico. L’Italia è nel suo abituale momento di difficoltà: debito pubblico troppo elevato, interessi troppo alti sui titoli di Stato (all’epoca non si parlava di spread, solo di interessi), Pil troppo zoppicante. La solita Italia degli eccessi negativi. Soros lancia il suo attacco: vende lire che neppure ha in portafoglio (vendite cosiddette allo scoperto) scommettendo sul futuro sfascio del nostro Paese. A svalutazione avvenuta, questo il progetto, ricomprerà le lire e farà una fortuna. Il governatore Ciampi erge la sua diga a difesa del Paese e inonda il mercato di liquidità. Soros insiste. Dalla sua parte c’è l’effetto leva: per ogni dollaro o lira che punta è come se ne puntasse cento. Ciampi risponde colpo su colpo. Soros non si tira indietro. Ciampi resiste. La sera del 13 settembre Giuliano Amato, presidente del Consiglio, appare in tv e annuncia: la lira è stata svalutata e la svalutazione «a conti fatti si attesta fra il 20 e il 25 per cento». Disfatta totale. E per agguantare la sconfitta Ciampi ha prosciugato le riserve valutarie di Bankitalia bruciando la bellezza di 60mila miliardi di lire. Passa qualche settimane e arriva anche la maximanovra da 93mila miliardi di lire (5,8% del Pil) di Amato, la più imponente mai realizzata in Italia. Lacrime e sangue, disse l’allora presidente del Consiglio. Sbagliò i conti, perché la correzione, come ci ha dimostrato la storia, fu solo temporanea. Non sbagliò nulla sulle lacrime e sul sangue degli italiani.
Piccolo precedente a fini storici e non solo: nel mese di giugno di quell’anno, a bordo del panfilo “Britannia”, quello della regina d’Inghilterra, c’erano molti finanzieri, rappresentanti delle grandi banche d’affari, esponenti di spicco delle aziende italiane. Il panfilo era ormeggiato al largo di Civitavecchia. A bordo salì anche Mario Draghi, oggi presidente della Bce e allora direttore del Tesoro. E al Tesoro c’era Ciampi. Sul Britannia si discusse di privatizzazioni. Traduzione: vendita dei gioielli pubblici italiani. Più o meno contemporaneamente, arrivò pure Moody’s con il suo puntuale declassamento e con il suo puntualissimo annuncio: Italia a rischio insolvenza. Partirono le privatizzazioni, che divennero, anche grazie alla svalutazione nel frattempo sopraggiunta, un colossale affare per i poteri forti internazionali. Per rendere l’idea: la svendita dei gioielli di famiglia rese allo Stato italiano 26 mila miliardi di lire. Ciampi, nella sua vana difesa della lira, aveva gettato dalla finestra più del doppio dei soldi. E Ciampi è il presidentissimo, l’effigie di ciò che abbiamo detto. Ed è anche l’uomo dell’euro e soprattutto del cambio di 1936,27 con cui la lira fu sostituita dalla moneta unica. Lui se ne è sempre vantato. Lui ci ha spiegato infinite volte che quel cambio «discende dalla parità di rientro nel Sistema monetario europeo pattuita nel novembre del 1996 a Bruxelles: 990 lire per marco». Noi sappiamo quanto quel cambio ci è costato. E sappiamo anche che l’ingresso dell’Italia nell’euro poteva essere posticipato in attesa di tempi migliori. Non eravamo pronti. Non avevamo i numeri. Ciampi, sempre lui, pigiò sull’acceleratore. Ed entrammo, subito, con le condizioni che ben conosciamo e con tutti i sacrifici che abbiamo dovuto sopportare, e anche per evitare, come si è poi saputo, che ad agganciarsi all’Europa (progetto di Bossi) fosse la sola Padania. Lode a Ciampi e passiamo oltre.
Porcellum. Ultimamente pare che sia la nostra maledizione elettorale, la madre di tutte le sventure e anche di tutti gli assenteismi e di tutte le ingovernabilità, la legge più fetente del mondo. La legge, mentre era in corso di approvazione, fu cambiata su volere del presidente della Repubblica, lui, sempre Ciampi, che consigliò modifiche al premio di maggioranza al Senato. E fu subito ingovernabilità. Articolo 41 bis, altrimenti noto come regime di carcere duro. Fu Giovanni Conso a revocare quell’articolo. Marzo del 1993. La decisione, spiegherà poi Conso, fu presa nel tentativo di far cessare la strategia di sangue di Cosa Nostra. Decisione autonoma, ha sottolineato. No, ribattono gli accusatori: ci fu una sorta di trattativa Stato-mafia. Giovanni Conso era ministro del governo Ciampi.
Molti errori e forse qualche ingenuità, valutazioni sbagliate. Ma Ciampi è l’icona, l’effigie, la riserva della Repubblica. E a noi sta benissimo. Ma che nessuno si azzardi a dire che il nostro è un Paese normale.