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 2013  giugno 13 Giovedì calendario

LE ESPORTAZIONI CINESI SONO IN PIENO SBOOM

La Cina fa sempre più fatica a esportare: colpa della ridotta domanda globale. Ma anche l’import è in rallentamento, a causa della diminuzione dei consumi nel paese asiatico. Così quella che è diventata la seconda economia del pianeta comincia a convivere con un arretramento della crescita.

Ad accusare il colpo è soprattutto l’export, che in maggio ha registrato un incremento di un solo punto percentuale rispetto al +14,7% del mese precedente.

Le importazioni si trovano vicino allo zero (+0,3%), ben al di sotto delle previsioni. Risultati inattesi che, sostengono i funzionari delle dogane cinesi, sono dovuti, oltre che all’indebolimento della domanda, ai costi elevati per le aziende, all’apprezzamento dello yuan e al peggioramento del settore commerciale.

Basta un dato per rendersi conto della delicatezza della situazione che sta vivendo Pechino: l’export verso gli Stati Uniti, primo partner commerciale, è sceso dell’1,6%. Si tratta del terzo mese consecutivo con il segno meno. Le vendite ai paesi dell’Unione europea sono crollate di quasi dieci punti percentuali (-9,7%). In questo caso, a peggiorare le cose è il nuovo clima di tensione tra le due aree geografiche: Bruxelles ha deciso di tassare i pannelli solari importati dalla Cina in risposta a quelle che considera pratiche commerciali scorrette. La risposta di Pechino non si è fatta attendere, con la minaccia di colpire l’importazione di vino. Altre schermaglie riguardano i tubi senza saldatura, i prodotti chimici e il comparto delle telecomunicazioni.

Alcuni dissidi sono sorti anche con Washington. In generale, l’economia cinese mostra segnali di debolezza o, meglio, di assestamento della crescita. Le previsioni riguardanti il pil erano state riviste al ribasso a inizio anno (+7,5%). L’ammissione è avvenuta per bocca dello stesso premier cinese, Li Keqiang: il paese si trova a fronteggiare alcune difficoltà e occorre mantenere una politica macroeconomica stabile. La priorità è quella di rafforzare la domanda interna e rilanciare i consumi privati. Per questo Pechino ha deciso di puntare sull’innalzamento degli stipendi.

La Cina, è il ragionamento delle alte sfere politiche, non può continuare, nel medio e lungo termine, a reggersi esclusivamente sull’export e sugli investimenti stranieri.

In questo senso è eloquente quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, dove diverse multinazionali hanno deciso di spostare la produzione nuovamente in patria, dopo che negli anni scorsi erano stati aperte fabbriche un po’ ovunque oltreconfine, dove il costo del lavoro era nettamente inferiore.