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 2013  giugno 13 Giovedì calendario

I TEDESCHI NON VANNO A VOTARE

I nostri politici si rassicurano, dopo l’esplosione dell’astensionismo: siamo nella media europea, succede anche altrove. Non è vero, scendere sotto il 50%, come a Roma, non è in linea con quanto avviene nelle altre capitali, e bisognerebbe anche analizzare i motivi del non voto.

Gli italiani disertano le urne perché hanno perso fiducia in tutti i partiti, uno o l’altro non cambia niente, sono arrabbiati e depressi. E se non votano per Grillo, come avviene nelle elezioni locali, se ne stanno a casa o vanno al mare.

In Germania, all’ultima consultazione nazionale, nel 2009, che vide la conferma della Merkel alla Cancelleria, la partecipazione fu del 70,8%. Soddisfacente? È stata la più bassa da quando esiste la Repubblica federale, dal 1949. Nel 1972, grazie a Willy Brandt, si superò il 90%. E alle regionali, oggi, si rimane sempre sotto il 60%. Che accadrà il prossimo novembre? I movimenti di protesta, diciamo alla Grillo ma alla lontana, di tanto in tanto hanno un repentino successo, poi scompaiono. I Piraten sfiorarono il 15% a Berlino, oggi non raggiungono il 3, e non entreranno al Bundestag (serve almeno il 5). Alternative für Deutschland, il movimento degli antieuro, non dovrebbe prendere più del 3.

In pericolo la democrazia? Gli esperti della fondazione Bertelsmann che hanno condotto una ricerca pubblicata questa settimana rassicurano: dieci anni fa, quanti si dichiaravano soddisfatti della democrazia realizzata erano il 67%, oggi sono l’83. In altre parole, i tedeschi non vanno a votare perché non si preoccupano, e sono soddisfatti. Non ci sono pericoli all’orizzonte, i partiti estremisti non hanno mai preso piede. A meno che non si voglia considerare un’insidia Die Linke, il partito dell’estrema sinistra (dato intorno al 7%). A destra, i neonazisti non superano l’1% e dal lontano 1969.

Alla domanda se si fosse disposti a interrompere una gita con il bel tempo, per andare a votare, solo il 46% ha risposto di sì: gli altri rimangono in spiaggia o nei boschi. Quindici anni fa, il 59% avrebbe interrotto la gita. Da ricordare che i tedeschi possono votare per posta, semplicemente dichiarando che nel giorno fatidico saranno altrove. Un diritto sfruttato da milioni di elettori. «I tempi in cui il voto era sentito come un dovere sociale sono finiti», è il giudizio dei sociologi della Bertelsmann. A cento giorni dal voto, concludono, si può parlare di «democrazia divisa», un’élite che si impegna e un’altra parte che si fida delle decisioni che verranno prese anche a suo nome.

Si propone di allargare il diritto di voto ai sedicenni, ma le prove effettuate a livello regionale hanno smentito gli esperti: i giovani si comportano esattamente come i genitori, non sono estremisti, anzi si dimostrano piuttosto attaccati ai valori tradizionali e, soprattutto, si astengono. Alla domanda se pensassero di andare a votare il prossimo settembre, ha risposto di sì il 38% della fascia fino a 29 anni, contro il 60% tra i 45 e i 60 anni. Come forse era intuibile, gli astenuti sono di più nella fascia che guadagna di meno, il 49% contro il 71 dei più abbienti. E tra chi ha un livello sociale più basso, il 31% contro il 68.

Non si va a votare perché i partiti non offrono alternative? Non sembra vero, a stare alle risposte: solo uno su quattro ritiene che i partiti siano tutti uguali, vent’anni fa era il 31%. Tra gli astenuti la percentuale di chi rifiuta il sistema è minima, mentre la percentuale più rilevante è quella degli indifferenti. C’è stato uno strisciante processo di estraniamento, conclude lo studio, tra politica e cittadini. I sintomi tra Germania e Italia sembrano simili, ma le cause sono opposte.