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 2013  giugno 13 Giovedì calendario

E L’ECONOMIA DIVENTA FICTION

Sessant’anni e passa per rivedere un’occupazione decente. Un ventennio - e non basterà nemmeno - perché le famiglie possano tornare a quei consumi che si permettevano prima della crisi. E il Pil procapite degli italiani, poi, destinato a dimezzarsi nei confronti di quello degli Usa nel prossimo mezzo secolo.
Se l’ansia da fabbrica in crisi, da export languente e da spread rampante non avesse ormai raggiunto il livello di guardia, ecco abbattersi su di noi un’ondata di previsioni catastrofiche a lungo termine. Tutte certificate da qualche blasonato istituto, le funestissime previsioni, tutte inconfutabili perché - vista la loro proiezione su tempi biblici - eventuali contestazioni sono destinate ad arrivare di sicuro fuori tempo massimo. Ma anche basate su assunti difficilmente verificabili e su tendenze passate e presenti sulle quali non c’è alcuna garanzia per il futuro.
Ieri, ad esempio, è toccato alla Confcommercio annunciare, grazie a una ricerca effettuata assieme al Cer, che - vista la caduta del potere d’acquisto per cui ogni famiglia italiana ha perso dal 2007 ad oggi oltre 3.400 euro, bisognerà aspettare fino al 2036, dunque oltre un ventennio, per tornare al livello di consumi pre-crisi. E appena dieci giorni fa è stato l’ufficio economico della Cgil a urlare ai quattro venti che, se le cose continueranno così, per tornare al livello di Pil del 2007 ci vorranno 13 anni, mentre per recuperare il milione e mezzo di lavoratori che mancano all’appello di anni ne saranno necessari addirittura 63, portando il traguardo a un siderale 2076. Un exploit che è valso allo studio sindacale l’etichetta di «terrorismo psicologico», appioppata da Matteo Renzi. Non che dall’altra parte, però, pensieri e parole siano troppo differenti. Confindustria, già da qualcuno criticata per le uscite del suo presidente Giorgio Squinzi che in più occasioni ha parlato di un’economia che soffre effetti simili a quelli di una guerra, due mesi fa ha presentato uno studio secondo cui il Pil pro-capite italiano, che nel 2010 era di 65 se paragonato al 100 di quello statunitense, cadrà nel 2060 fino al misero livello di 38: quasi un dimezzamento, almeno in termini relativi rispetto agli invidiati yankees.
Assieme alle previsioni catastrofiche dilagano nel dibattito economico anche i «fattoidi», quelle realtà dubbie travestite da fatti e che però fatti non sono. Esempi? Due giorni fa all’assemblea della Confartigianato il presidente dell’associazione parla di un «total tax rate» di oltre il 68% che incide sugli utili lordi delle imprese. Si tratta di un indice, usato dalla Banca Mondiale per paragonare le condizioni operative di un’azienda in ciascun Paese, che in effetti in Italia ha quel livello. Ma la sua efficacia nel misurare l’effettiva incidenza delle imposte è dubbia, visto che in casi come quello dell’Argentina il «total tax rate» risulta del 108%, mentre per alcuni Paesi africani supera addirittura il 200%. Oppure, ecco il celebrato - almeno negli Usa - «Tax Freedom Day», il giorno in cui il contribuente smette di lavorare per tasse e contributi e comincia a guadagnare per sé. Secondo la Cgia di Mestre, infaticabile produttrice di studi e comunicati in materia fiscale cui giornali e televisioni si abbeverano spesso senza un pizzico di spirito critico, quel giorno in Italia è arrivato solo ieri. Peccato che da noi la pressione fiscale, a differenza degli Stati Uniti, contenga anche i contributi previdenziali che serviranno alla nostra pensione. In realtà abbiamo smesso di lavorare per il fisco già da qualche tempo, probabilmente verso metà aprile.
Ultimo capitolo, quello dei dati mal interpretati. Enrico Giovannini, a lungo presidente dell’Istat e adesso ministro del Welfare, non si dà pace per la vulgata che vuole disoccupati quasi quattro giovani su dieci, mentre in realtà quel tasso del 40% riguarda solo i giovani in cerca di lavoro - non quelli che studiano - e riduce quindi il dato dei senza lavoro a un ragazzo su dieci. Non poco, ma nella giungla dei numeri, un dato che porta un po’ di chiarezza.