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 2013  giugno 13 Giovedì calendario

CI SONO UNIVERSITA’ DI SERIE A E DI SERIE B?

Si può dire che in Europa, oltre che nell’economia, ci sia uno «spread» anche nelle Università?

Sì, secondo il dossier diffuso ieri dalla Conferenza dei Rettori (Crui) con le cifre del finanziamento pubblico delle Università in Europa dal 2008 al 2012. Molte nazioni stanno riducendo il finanziamento rispetto all’inizio della crisi, ma la riduzione si registra soprattutto negli Stati del Sud e dell’Est Europa. Elaborati dall’Osservatorio Eua (European University Association), i dati parlano chiaro: ogni norvegese investe per gli atenei nazionali 731 euro, ogni svedese 660, ogni tedesco 304 e ogni francese 303. E l’italiano? Viene dopo il cittadino spagnolo (157 euro) e spende appena 109 euro, con un calo del 14% negli ultimi quattordici anni.

Con questi numeri sarà possibile per le Università garantire il supporto richiesto per il rilancio dell’economia e dello sviluppo?

«No», ha detto senza mezzi termini Stefano Paleari, Segretario Generale Crui e Rettore dell’Università di Bergamo, «E quando si chiede il ripristino dei 300 milioni mancanti, si chiede di fatto di passare da 109 a 114 euro per cittadino».

L’investimento in più che servirebbe sarebbe quindi soltanto di 5 euro per cittadino?

«Sì, stiamo parlando di 5 euro!» ha spiegato Paleari, precisando ancora: «Continueremmo comunque a essere il fanalino di coda dell’Unione, ma almeno riusciremmo ad arrestare la frana che si sta abbattendo sul nostro sistema dell’Università e della ricerca».

Ma chi lo dice che l’Università sia un investimento con ricadute anche sulla ripresa economica e sulla crescita?

Lo dicono esplicitamente le Conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea del 26 novembre 2012 su Istruzione e Formazione nella strategia Europa 2020: «L’istruzione e la formazione costituiscono una componente fondamentale dello sviluppo economico e della competitività, i quali a loro volta sono essenziali per la creazione di nuovi posti di lavoro».

Quanto all’Italia, c’è stata una riflessione in proposito?

Sul tema è intervenuto lo stesso ministro Maria Chiara Carrozza davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato della Repubblica sulle linee programmatiche il 6 giugno 2013. Queste le parole del ministro: «L’istruzione e la ricerca scientifica sono fattori determinanti per lo sviluppo economico». Uno studio di Bankitalia citato dal rettore Paleari, inoltre, rivela che «anche l’economia lombarda è in recessione e che il problema centrale è rappresentato dal numero ridotto di ricercatori e dall’assenza di un volume adeguato di attività di brevettazione. Se si pensa che l’economia lombarda traina il Paese, lo scenario è tristemente chiaro».

Si può dire che questi mancati investimenti siano anche fra le cause dell’emigrazione intellettuale dei laureati italiani tristemente nota come «fuga di cervelli»?

Sì, si può dire, perché i mancati investimenti comportano: la mancanza di sbocchi professionali nella ricerca a causa dei vincoli sul turnover; l’impossibilità di ottenere validi contratti di ricerca anche in molti Atenei stranieri; differenziali di retribuzione per le fasce di accesso ai ruoli che possono arrivare anche al 50-70% in più di quanto percepito in Italia.

E come è variato il numero di iscritti nelle Università europee?

Anche in questo caso, secondo elaborazioni Fondazione Hume sul dossier della European University Association, l’unico dato negativo tra i 12 principali Paesi si rileva proprio in Italia con una perdita di studenti del -8,8% dal 2008 al 2012. Come sempre, le punte positive sono di Paesi come Danimarca (+ 23,6%), Germania (+23,5%), Austria (+23,3%). La Spagna ci supera con un valore positivo del 4,5%.

Che conseguenze immediate comporta la riduzione del finanziamento?

Forza gli atenei a ridurre la spesa per stipendi, con conseguente riduzione del personale accademico di ruolo e drastico calo del Personale Tecnico Amministrativo. Tutto questo a scapito del rapporto studenti/docenti che, come si legge nel dossier Eua, è per gli studenti una delle garanzie più importanti della qualità della didattica e di un ambiente di apprendimento confortevole e motivante.

Qual è il rapporto ideale medio Studenti/Docenti? E in Italia?

Secondo il ranking 2012 del Times Higher Education, nelle 10 migliori Università d’Europa il rapporto studenti/ docenti è 7 (con le eccellenze di Oxford e dell’Imperial College in cui è 4). In Italia è 30.

Dopo l’allerta, la Conferenza dei Rettori ha anche lanciato delle proposte per l’Università italiana?

Sì, tre: rendere le rette universitarie detraibili fiscalmente con un presidio sul diritto allo studio; favorire la mobilità anche temporanea dei docenti; incentivare i dottorandi migliori offrendo un posto di ricercatore a tempo determinato in una università italiana.