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 2013  giugno 12 Mercoledì calendario

GIUSEPPE SARCINA, CORRIERE DELLA SERA

È difficile, in uno Stato democratico, immaginare qualcosa di più lugubre che l’oscuramento della televisione pubblica. Ma neanche questo sarà risparmiato agli sfortunati cittadini greci. Il governo di Atene, con uno zelo che stavolta appare addirittura grottesco, ha annunciato la chiusura temporanea della Ert, la televisione di Stato, l’equivalente della Rai, della Bbc o di France 2. Alla mezzanotte di ieri il segnale si è spento. Il portavoce dell’esecutivo, Simos Kedikoglou, si era presentato nel pomeriggio davanti alle telecamere (comprese quelle di Ert naturalmente) per spiegare in quattro minuti come il governo di «larghe intese» guidato da Antonis Samaras si stesse spingendo laddove neanche la dittatura dei Colonnelli aveva osato arrivare. «Questa televisione è amministrata male, è un’oasi dello spreco intollerabile, agli utenti costa circa 300 milioni di euro all’anno», ha detto Kedikoglou con tono asettico, come quello di un chirurgo chiamato a spiegare l’ineluttabilità di un’amputazione. La tv «riaprirà il prima possibile» e il portavoce ha precisato che i dipendenti saranno «sospesi». I sindacati sono certi che solo una parte dei lavoratori verrà riassunta , mentre il sito della Ert ieri contava «2.656 licenziati», dandoli tutti per persi.
La notizia ha subito riacceso la tensione ad Atene. La stessa emittente di Stato ha cominciato una diretta «non stop» dalle piazze dove i partiti dell’opposizione, ma non solo, si sono subito ritrovati sotto le bandiere della protesta. La coalizione formata dai conservatori dei Nea Demokratia (la formazione del premier Samaras), dai socialisti del Pasok e da Sinistra democratica, ha cercato di circoscrivere il provvedimento, inserendolo nella strategia di rigore finanziario imposta dalla «troika» (Fondo monetario, Banca centrale europea e Commissione europea).
È evidente che la questione travalica i confini del Paese. L’atto del governo, l’interruzione del servizio pubblico televisivo, contrasta con almeno una mezza dozzina dei principi base sanciti dal Trattato Ue e dalla Carta fondamentali dei diritti umani dell’Unione europea. Ma, prima ancora, mortifica il buon senso politico. E questo a prescindere dalla valutazione sulla qualità dei programmi o dagli interessi economici nel settore radiotelevisivo. Lo hanno capito benissimo le principali stazioni private, Antenna, Mega e Skai, che ieri sera hanno interrotto le trasmissioni per solidarietà con i concorrenti pubblici.
Non risulta, invece, che sia arrivata alcuna reazione da Bruxelles o da altre capitali europee. Niente di strano: i riflessi lenti sono ormai una specialità delle Cancellerie, della Commissione europea e, spiace dirlo, anche dell’Europarlamento che sui temi legati alla libertà di espressione è sempre stato il più pronto.
Vedremo se oggi l’Europa prenderà posizione per convincere il governo Samaras a revocare la chiusura (temporanea o meno che sia) della più importante antenna televisiva del Paese, che dagli anni Sessanta racconta, nel bene e nel male, la storia della Grecia. E vedremo se questo incidente solleciterà un’ulteriore riflessione sugli effetti della politica di rigore imposta dalla «troika» ad Atene. Nei giorni scorsi il Fmi ha pubblicato un rapporto in cui non mancano elementi di autocritica. Ne è nata una breve polemica con la Commissione europea che, a questo punto, meriterebbe un seguito. La spesa pubblica della Grecia è ancora nettamente fuori controllo, il debito pubblico potrebbe chiudere il 2013 in una forbice compresa tra il 150 e il 170% del Pil (a seconda delle stime). Nessuno, dunque, può ragionevolmente contestare la necessità di mantenere la mano ferma sui conti pubblici. Ciò che ancora appare confusa, invece, è la lista delle priorità. Ieri, per esempio, lo stesso Samaras ha rivelato che Gazprom ha ritirato l’offerta di 900 milioni per acquistare Depa, l’azienda pubblica per la distribuzione del gas. I russi hanno fatto sapere che non si fidavano dello Stato greco. La stampa locale attribuisce il fallimento dell’affare a un veto posto da Bruxelles. Il premier Samaras ha alluso «a motivi che vanno oltre il controllo della Grecia», magari legittimi, ma che nessuno ha finora spiegato. Riassumendo le scelte: la distribuzione del gas no, la televisione sì. C’è qualcosa che non funziona nel rapporto tra Stato, trasparenza e mercato ad Atene, Europa.
Giuseppe Sarcina

ETTORE LIVINI, REPUBBLICA
MILANO
— La Grecia chiude — causa austerity e senza passaggi parlamentari — la tv di Stato. Alla mezzanotte di ieri il governo ha spento il segnale delle cinque reti televisive e delle 29 radio di Ert, la Rai ellenica. «Stiamo chiedendo enormi sacrifici al nostro popolo e non possiamo tollerare oasi di sprechi e santuari inviolabili », ha detto in una conferenza stampa convocata senza preavviso Simos Kedikoglou, portavoce dell’esecutivo di unità nazionale guidato da Antonis Samaras. I 2.780 dipendenti della società «saranno sospesi e indennizzati» ed Ert rinascerà «come una struttura più snella e privata il prima possibile». «Noi proveremo a tenere accesi i ripetitori» hanno promesso i giornalisti dopo aver occupato due studi. Attorno al quartier generale di Ert si erano radunate in serata diverse migliaia di persone in solidarietà con i lavoratori mentre il ministero
delle Finanze («dobbiamo far rispettare l’ordine, siamo l’azionista di controllo», ha detto un portavoce) ha mandato sul posto – dove la tensione era altissima – la polizia anti-sommossa.
Nessuno se la sente di fare previsioni sul futuro di Ert. Lo Stato — ha promesso Kedikoglou — attiverà tutti gli ammortizzatori sociali
possibili e i giornalisti potranno fare domanda per venire assunti nella nuova versione “light” di Ert che, secondo fonti sindacali, avrà in organico non più di 400 persone. I greci non pagheranno il canone (4,3 euro in ogni
bolletta della luce per un totale di 300 milioni l’anno) fino alla ripresa delle trasmissioni. Tv e radio private greche hanno sospeso ieri l’informazione per sei ore in segno di solidarietà con i colleghi dei tre network.
Ad accoltellare alle spalle con questo black-out improvviso la Rai ellenica sono stati — in una sorta di nemesi storica — proprio i partiti politici che da quarant’anni governano Atene e che in tutto questo periodo l’hanno utilizzata come serbatoio per assunzioni clientelari e come megafono delle loro posizioni. Nessuno però ieri ha avuto il buon gusto di fare autocritica. Anzi: «Ert ha da tre a otto volte dipendenti in più di quanto servono davvero, la gente segna straordinari che non fa e il suo management opera da tempo senza trasparenza », ha tuonato Kedikoglou (tra l’altro ex-dipendente della rete) dimenticando che
proprio le formazioni al governo hanno nominato da sempre i vertici dei network e tollerato i loro sprechi. «E’ un colpo di stato non solo contro la tv ma anche contro i greci che la pagano», ha attaccato Alexis Tsipras, leader della sinistra radicale di Syriza che ha chiesto la ripresa immediata delle trasmissioni.
«È stato un fulmine a ciel sereno — dice da Atene Viki Bafanaki, conduttrice di uno dei programmi culturali di maggior successo del network — . Da tempo i pagamenti erano sospesi e molti servizi uscivano senza firma, ma nessuno
si aspettava una scelta così drastica». A tutto pero c’è una spiegazione. E il pugno di ferro di Samaras con Ert ne ha una molto precisa: il premier deve far dimenticare subito il mezzo flop del suo piano di privatizzazioni (Gazprom si è ritirata all’ultimo minuto dall’asta per Depa, il colosso statale del gas) e deve portare alla Troika — in visita ad Atene in questi giorni — uno scalpo sul fronte dei tagli alla pubblica amministrazione. La chiusura delle tv statali gli potrebbe consentire di raggiungere in un colpo solo l’obiettivo dei 2.000 tagli promessi a Fmi, Ue e Bce entro fine anno, l’antipasto prima dei 14mila esuberi in programma l’anno prossimo. Un modo non proprio indolore per sbloccare la prossima tranche di aiuti nell’ambito del piano da 230 miliardi per il salvataggio della Grecia dal crac.
(e. l.)

LA STAMPA
TONIA MASTROBUONI
Chiude la “Rai greca”. Il governo di Antonis Samaras ha annunciato ieri pomeriggio la sospensione dalle mezzanotte delle trasmissioni dell’emittente televisiva e radiofonica Ert e il licenziamento dei suoi 2900 impiegati. «Non possono esistere vacche sacre quando si risparmia ovunque», ha spiegato il portavoce del governo Simos

Kledikoglu, che ha reso nota la notizia, precisando che Ert sarà sostituita «da una struttura moderna» e più snella.

Il portavoce dell’esecutivo di grande coalizione ha parlato di un caso di «incredibile spreco di denaro pubblico». L’intera struttura televisiva e radiofonica costa, come ricordava ieri la Frankfurter Rundschau , ben 300 milioni di euro alle esangui casse elleniche, cioè «da tre a sette volte le altre tv, impiegando da quattro a sei volte il personale di altre strutture», ha scandito Kledikoglu. L’emittente soffrirebbe oltretutto «di ascolti ridotti».

All’agenzia di stampa tedesca Dpa alcuni impiegati di Ert hanno detto di essere «scioccati» e hanno annunciato di voler occupare il quartier generale nel nord di Atene, ad Agia Paraskevi. L’associazione dei giornalisti ha annunciato scioperi. Kledikoglu ha precisato che finché l’emittente resterà chiusa, agli utenti sarà sospeso il pagamento del canone (in Grecia si paga attraverso la bolletta elettrica).

Secondo i piani del governo nei prossimi mesi dovrà essere creata una nuova emittente radio e tv, ma con soli 1000 impiegati, poco più di un terzo di quelli attuali. Il sindacato degli statali, il potente Adedy, ha già sollecitato una mobilitazione contro la decisione di ieri. Con la liquidazione di Ert chiudono tre emittenti tv nazionali, sette emittenti radiofoniche nazionali e diciannove regionali. È la fine di una storia lunga 75 anni.

La mossa del governo rientra nel piano di esuberi nel settore pubblico chiesti dalla troika in cambio degli aiuti ad Atene. Ma ieri i partner di minoranza di Samaras, il Pasok e Sinistra Democratica, hanno protestato contro la decisione improvvisa di accelerare sui licenziamenti.

Entro il 2015 Atene si è impegnata con gli emissari della Commissione europea, della Bce e del Fmi a 15mila esuberi nel settore pubblico. Va ricordato che prima del censimento del 2010 avviato dal governo Papandreou sulla scia del primo programma di aiuti alla Grecia, non era chiaro neanche il numero esatto dei dipendenti pubblici ellenici. Sono 750mila su una popolazione di circa 11 milioni.

Intanto la Commissione europea ha fatto sapere ieri attraverso il portavoce Simon O ’ Connoll di augurarsi che il governo Samaras non rinunci a un secondo tentativo di privatizzare la società pubblica di distribuzione di gas Depa. Lunedì erano scaduti i termini per le offerte e nessun acquirente si è mostrato sinora interessato all’azienda. Se fallisse il tentativo di cessione di Depa, per Atene si porrebbe il problema di centrare l’obiettivo di 1,8 miliardi di cessioni entro settembre e di 2,5 miliardi da incassare entro la fine dell’anno.