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 2013  giugno 12 Mercoledì calendario

IL SURF SPIEGATO A UN IDIOTA

Non avevo idea di chi fosse quel tizio col culo basso seduto al bar. Da ciò che diceva potevo dedurre tre cose. Uno, faceva ridere. E tanto. Due, le sue storie parlavano di surf, surf e surf, per cui ho dedotto che fosse un surfista (peccato che lì, in Cina, lo fossero tutti durante l’ultimo mondiale di shortboard). Tre, doveva essere o molto bravo, o molto matto, o entrambe le cose, perché ci ha raccontato di quella volta che aveva gettato il suo bambino, di dieci anni, nell’oceano in tempesta per vedere se riusciva a cavarsela. Alla ragazza scioccata che lo accusava di tentato infanticidio, aveva risposto ridendo «Ma cero io con lui, che cazzo! Sono un grande surfista, io!». A questa frase, dato che di surf non so niente, ho chiesto a uno seduto accanto a me: «Ma chi è questo?!». Il mio compagno di bancone mi ha guardato e poi ha detto: «E una leggenda vivente». Ed è così che ho fatto la conoscenza di Robert “Wingnut” Weaver, un mito per i surfer di tutto il mondo, protagonista del documentario culto The Endless Summer ll, uno che i divi di Hollywood pagano 2.500 dollari al giorno per averlo come maestro. Poco prima avevo fatto la mia prima, esaltante, lezione di surf e ora avevo l’occasione di chiedere dei consigli a «una leggenda vivente». Ne ho approfittato.
Nonostante tutti quei mojito, non hai voluto svelare perché sei soprannominato “Wingnut” (“dado a farfalla”, ndr)...
«Perché è una storia poco interessante. Preferisco che resti un mistero, così uno si immagina chissà che».
A quattro anni ti trasferisci dalla Germania alla Califomia, dove scopri il surf...
«Erano gli Anni 70. Mia madre voleva stare vicino al mare, così siamo andati a vivere a Newport Beach. Col surf ho iniziato tardi. Mi ha insegnato un vicino di casa pompiere: fino a 16 anni ho fatto solo body-surf».
Scusa l’ignoranza: cos’è il body-surf?
«Si usa solo il corpo, senza tavola. E il modo migliore per imparare la cosa più difficile: come si prende un’onda».
Quindi eri un po’ avvantaggiato...
«Esatto. Erano i primi anni Ottanta e andava già di moda lo shortboard, solo che non mi interessava: preferivo i vecchi film, tipo Un mercoledì da leoni. Mi piaceva lo stile di chi faceva longboard, la loro filosofia...».
Qual è la differenza “filosofica” tra chi usa la tavola lunga (longboard) e chi usa quella corta (shortboard)?
«Nel longboard c’è una collaborazione con l’onda, quasi una danza col mare. Lo shortboard invece è più una lotta contro l’onda: cerchi di imporre il tuo volere sul mare, in modo aggressivo. Il primo è più elegante, porta con sé l’estetica della vecchia scuola degli Anni 50 e 60, quando il surf era puro, la guerra era finita, Jfk ancora vivo e tutto sembrava possibile. Ciò che mi fece innamorare era il “dominio limitato sull’Oceano”: una volta prendi l’onda e vinci tu, la volta dopo cadi e vince il mare. Anche se sei in acqua, ti aiuta a restare con i piedi per terra».
Che cosa è successo negli Anni 80?
«I miei coetanei facevano tutti short, mentre il longboard era per gli sfigati come me e per quelli degli Anni 60.1 miei amici erano tutti quarantenni con mogli e i figli...».
Poi nel 1994 uscì The Endless Summer II, vera bibbia per surfisti, di cui tu eri uno dei due “profeti” protagonisti...
«Mi chiamò Bruce Brown, il regista, e mi spiegò che voleva mostrare come era cambiato il surf a distanza di trent’anni dal primo film, The Endless Summer, e gli servivano due surfisti: un campione della nuova specialità, lo shortboard, e uno del longboard. Per quest’ultimo scelse me. Abbiamo viaggiato per 18 mesi: Sudafrica, Fiji, Francia, Costa Rica... Ho concentrato in un anno e mezzo le esperienze (surfistiche) che si fanno in una vita: quando finimmo ero passato a un livello superiore».
Come cambiò la tua vita quando tornasti?
«In California c’è la Highway 1, un’autoscrada che costeggia l’oceano: da una parte c’è il mare, dall’altra la terra. Ancora oggi, se esco dal lato del mare sono una star e tutti mi pagano da bere, se esco dall’altro lato non sono nessuno. Quando ho bisogno di tirare un po’ su la mia autostima, non devo far altro che prendere quell’autostrada e uscire dal lato giusto. In fondo siamo solo dei surfisti professionisti, mica salviamo vite umane: giochiamo nell’oceano e alla gente piace il modo in cui lo facciamo, tutto qui. Se uno viene da me e mi chiede consigli, sulle onde o sulle tavole, io glieli do. Noi amiamo condividere ciò che sappiamo. Tranne i posti segreti, ovviamente».
E poi, all’improvviso, ti diagnosticarono la sclerosi multipla.
«Sì. Ho la sclerosi multipla, ma da 12 anni e mezzo è asintomatica».
Come ci convivi?
«All’inizio mi sono spaventato molto. I primi due anni perdevo l’equilibrio, perché la gamba cedeva. Prima di iniziare le cure il neurologo mi consigliò di aspettare, per vedere come si evolveva la malattia: “Hai solo 31 anni”, mi disse, “e quelli sono farmaci a base steroidea, ti distruggeranno le anche. Facciamo così: se diventa aggressiva, anche noi diventeremo aggressivi”. Cambiai la mia dieta, feci più attenzione, mi mantenni in forma e la malattia non è più tornata: due, tre, cinque anni... nessun sintomo».
Che cosa pensi di Point Break?
«Una cagata. Banale, melodrammatico e con un sacco di luoghi comuni: gli stereotipi brutti sui surfisti ci sono tutti, ma mancano quelli positivi, al contrario di Un mercoledì da leoni. Lo spirito del surf è l’amicizia e la passione per l’oceano».
Vuoi dire che non c’è violenza tra surfisti?
«Poca. Funziona così: più le onde sono affollate, più serve un “maschio alfa” che faccia rispettare le regole. Se vede che uno salta la fila, inizia ad abbaiare».
Tu sei un maschio alfa?
«Mi definirei più “un grande predatore”: non abbaio. Se vedo che uno non rispetta le regole ci vado a parlare, gli do una chance, ma se sbaglia ancora gli chiedo di uscire».
E se non esce? Botte?
«No, però sono in grado di non farti più prendere un’onda per il resto del giorno. E se devo andare via, chiedo a qualcuno di farlo al posto mio. Ti rendo la vita un inferno, credimi».
Quali sono queste regole?
«Rispettare l’ordine naturale. E sapere dove posizionarsi per prendere le onde migliori. Se, mentre stai prendendo un’onda, uno si mette in mezzo... non è cool, amico, non è cool per niente».
Quali bugie girano sul surf?
«Che abbiamo paura degli squali: tolto il Sudafrica (dove gli squali bianchi sono molto aggressivi) e le Hawaii (dove ci sono gli squali tigre), non sono un problema, a meno che non siano vecchi o feriti».
Mai avuto a che fare con uno squalo?
«Certo. E, per esperienza, posso dirti che è proprio quando vedi emergere la pinna che puoi stare sereno: se uno squalo vuole attaccarti, ti assicuro che non lo vedrai mai, perché arriva dal fondo».
Le regole per fare surf?
«Due. Prima: rispetta l’oceano e l’oceano rispetterà te. Seconda: divertiti».
Mi dai qualche dritta per cominciare?
«Uno: fai pratica a casa. Esercitati a metterti in piedi sulla tavola. Dieci volte al mattino e dieci alla sera. Allena la memoria muscolare a fare quel gesto, ti aiuterà quando sarai in acqua. Due: impara a conoscere il posto dove fai surf, scopri i suoi misteri, impara a capire come cambia il mare. Tre: divertiti».
Come sei diventato un maestro di surf da 2.500 dollari al giorno?
«Dopo The Endless Summer II tutti mi chiedevano consigli: dove andare, che tavola comprare ecc... Ho pensato che avrei potuto guadagnarci qualcosa: ti porto nei posti giusti, ti insegno a surfare e organizzo il viaggio. Pacchetto completo. Ma dato che sono molto bravo, sono anche molto costoso».
Tra i tuoi clienti ci sono alcuni Vip...
«Nicholas Cage, alcuni giocatori di football. E poi Mike D dei Beastie Boys, un tipo in gamba con una bellissima storia: fino a sette anni fa non aveva mai fatto surf, poi un giorno si accorse che il suo primogenito, tre anni, stava usando uno skate come fosse una tavola. “Merda!”, si disse, “mio figlio vuole fare surf e io non sono capace: appena comincerà ad andare in acqua non lo vedrò mai più!”. Così mi contattò tramite amici in comune e mi chiese se potevo insegnargli: oggi va in acqua tutti i giorni con suo figlio».
Come si fa ad assumerti?
«Non ho un sito, non ho un contatto, non ho niente. Puoi arrivare a me solo tramite qualcuno che mi conosce: tu devi conoscere me e io devo conoscere te. E sai perché? Perché non ho nessuna voglia di andare in giro per il mondo in compagnia di uno stronzo».