Rosaria Talarico, La Stampa 12/6/2013, 12 giugno 2013
I SONDAGGI SONO SEMPRE UTILI?
Siamo quotidianamente sottoposti ad un vero e proprio diluvio di statistiche e di dati. Ma tutta questa abbondanza di numeri serve davvero a capire i fenomeni sociali attorno a noi?
I numeri da soli non aiutano la comprensione di un evento, si tratti della crisi o della disoccupazione. Serve qualcuno in grado di interpretarli e fare confronti. L’inflazione dei dati diffusi risulta evidente nella comunicazione quotidiana di giornali e televisioni, con misurazioni, rating, indicatori di agenzie internazionali. Questo perché i numeri danno l’illusione dell’obiettività o della «scientificità» della misurazione.
Quanti sono i dati disponibili per chi abbia voglia di cercarli?
Secondo il Censis che ha dedicato una pubblicazione e una giornata di studio («Un mare di numeri senza interpretazione») proprio a questo tema, abbiamo un sondaggio al giorno, quattro indagini dell’Istat a settimana (+23% di pubblicazioni e dati disponibili rispetto al 2010), oltre 4.800 dataset di open data (cioè dati consultabili liberamente da chiunque) delle amministrazioni pubbliche pubblicati online.
I sondaggi forniscono altri numeri, ma non sempre sono affidabili. Quante tipologie ne esistono?
I sondaggi di opinione rientrano in questo trend di iperproduzione di dati. Considerando solo quelli comunicati all’Agcom, in Italia vengono diffusi i risultati di più di 400 sondaggi all’anno, in media più di uno al giorno. Nelle prime 22 settimane del 2013 i sondaggi pubblicati sono stati 174 (una media di otto a settimana) sugli aspetti più vari. Si spazia dalle opinioni sul quadro politico a quello che pensano gli italiani sull’arte in tempo di crisi, dall’importanza delle ferie all’opinione dei consumatori sulle aperture domenicali degli esercizi commerciali. Vengono così prodotti numeri e tabelle sui fenomeni più diversi, nel tentativo di documentare quello che accade.
È possibile descrivere la realtà usando i numeri?
I numeri sono in grado di descrivere solo una parte della realtà, non di interpretarla nella sua complessità.
Perché allora i fenomeni economici vengono spiegati facendo ricorso a numeri e statistiche?
Anche la produzione di dati sul sistema economico e sociale è molto aumentata negli ultimi anni. Nelle prime 22 settimane del 2013 l’Istat ha pubblicato 95 diverse indagini: una media di quattro indagini a settimana. Tra i primi sei mesi del 2010 e il primo semestre del 2013 la diffusione di dati statistici dell’Istat è aumentata del 23%, in un’ottica di maggiore disponibilità di numeri per il vasto pubblico. Gli accessi al sito Istat per scaricare dati sono aumentati negli ultimi sette anni del 160%. Questa abbondanza di dati però non ha portato a prevedere la crisi, ad esempio.
Chi è il più grande produttore di dati in Italia?
La missione istituzionale dell’Istat è proprio quella di produrre statistiche. E lo fa con 44 differenti comunicati all’anno su temi micro e macroeconomici: dalla produzione industriale ai consumi, dai dati contabili delle amministrazioni pubbliche ai dati sul mercato del lavoro, al clima di fiducia delle famiglie e delle imprese.
E quali sono le altre organizzazioni che forniscono statistiche ed informazioni economiche?
Tanti sono gli istituti che elaborano stime sul ciclo economico e che producono numeri quasi a getto continuo. Dall’Ocse all’Istat, passando poi ad Eurostat, alla Bce, al Fondo monetario internazionale, alla Banca d’Italia, fino al sistema delle Camere di Commercio, molto si può conoscere sulla contabilità nazionale, la struttura del tessuto produttivo, i comportamenti economici delle famiglie, il livello degli investimenti, gli andamenti del mercato del lavoro, i flussi di finanza pubblica e a quelli del settore privato.
Cosa sono invece gli open data?
Più recente è il fenomeno degli open data messi a disposizione dalle amministrazioni pubbliche. Si tratta dei dati accessibili da chiunque che gli enti locali o la pubblica amministrazione devono rendere pubblici e fruibili. Oggi sono disponibili più di 4.800 dataset di open data, rilasciati prevalentemente da amministrazioni centrali e comunali. I dati aperti hanno generato per il momento 156 app (cioè le funzioni che permettono la consultazione direttamente dal proprio smartphone) a disposizione degli utenti.
Ma quanti dati oggi vengono correttamente interpretati?
Più che altro prevale la rincorsa a comunicare il dato per ottenere l’effetto annuncio. E nonostante i tanti numeri diffusi per comprendere i diversi aspetti della crisi e aiutare a generare poliche efficaci rispetto alle questioni che il Paese deve affrontare, nessuna delle misure adottate fino ad oggi ha risolto o attenuato i problemi. Con l’aggravante che alcuni modelli previsionali fondati sui numeri si sono rivelati clamorosamente errati, perché troppo accentuata è stata la fede nei dati e troppo poca la capacità di interpretarli.