Carlo Federico Grosso, La Stampa 12/6/2013, 12 giugno 2013
RINNOVARE IL SISTEMA DELLE SANZIONI
Anna Maria Cancellieri, appena insediata al Ministero della Giustizia, aveva dichiarato che il problema carcerario sarebbe stato al centro della sua attenzione. E’ stata di parola. Nel corso di una sua audizione al Senato ha annunciato, qualche giorno fa, un decreto legge per limitare gli ingressi e favorire le uscite di chi sta scontando l’ultima parte della pena, l’apertura a breve di nuove strutture per un totale di 4000 posti, la riapertura (se possibile) di alcune strutture in disuso. E in prospettiva, modifiche alle leggi (già programmate dal ministro Severino) in tema di misure alternative alla detenzione e di depenalizzazione dei reati bagatellari in grado di renderle ancora più incisive.
Benissimo. Non vi è dubbio che il problema del sovraffollamento delle carceri sia ineludibile: per una ragione di elementare rispetto dei principi costituzionali di umanità e di funzione rieducativa delle pene, e per evitare che l’Italia continui ad essere incalzata dalla giurisdizione europea sul terreno della violazione dei diritti fondamentali della persona. E’ d’altronde evidente che strutture carcerarie pensate per contenere 45.000 detenuti, e che sono costrette ad ospitarne quali 66.000, non sono in grado di assicurare condizioni civili di convivenza alla popolazione ristretta e la piena realizzazione (nonostante gli sforzi di talune amministrazioni penitenziarie) di principi cardine della «rieducazione» quali il lavoro e l’istruzione.
L’obiettivo delle misure programmate dal Ministero è, evidentemente, raggiungere (attraverso un contemporaneo doppio intervento: sul terreno della riduzione delle «occasioni» di carcerizzazione e sull’aumento del numero dei posti-carcere) un rapporto più equo fra capienza degli istituti penitenziari e popolazione concretamente detenuta. L’interrogativo è tuttavia ancora una volta, oggi come ieri, se esse siano davvero in grado di conseguire il risultato prefisso. In ogni caso, da qualche parte bisogna pur cominciare.
Questo precisato, mi siano consentite alcune parole volte a giustificare comunque la parte delle misure ipotizzate dal ministero che mirano a diminuire la popolazione carceraria attraverso una più ampia utilizzazione di pene non detentive o, addirittura, di sanzioni non penali (depenalizzazione). Qui non si tratta, semplicemente, di migliorare le condizioni della vita carceraria, ma di dare corpo nel nostro Paese ad un sistema sanzionatorio profondamente rinnovato, aderente ai più recenti orientamenti della scienza penalistica e della politica criminale: nel quale la sanzione penale costituisca l’estrema ratio di protezione giuridica, ed all’interno del sistema penale il carcere costituisca a sua volta l’estrema ratio di sanzione, da impiegare soltanto quando non siano utilmente utilizzabili sanzioni diverse.
Naturalmente, la detenzione carceraria dovrà continuare a colpire i reati più gravi o i delinquenti pericolosi; ma quando il delinquente non desta allarme sociale ed il reato non è particolarmente grave, bene potrà il carcere essere sostituito da detenzioni domiciliari, da interdizioni da uffici o attività, da lavori di pubblica utilità, da pesanti pene pecuniarie.
Ritornando al problema carcerario, ho comunque qualche dubbio che le misure ipotizzate dal Ministro, pur in sé apprezzabili, siano davvero in grado di fronteggiare adeguatamente, e soprattutto in tempi rapidi, il problema del sovraffollamento. Ed allora, ancora una volta, si propone, prepotente, il tema della amnistia e dell’indulto, l’unico strumento che sarebbe davvero in grado di garantire, a breve, assieme ai provvedimento programmati, una (sia pure temporanea) forte diminuzione della popolazione carceraria. Ma avrà il coraggio, il Parlamento, di farsi finalmente carico di questa difficile «questione»?