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 2013  giugno 12 Mercoledì calendario

ENCICLOPEDICA, RETORICA, SPIRITISTICA. LA BIENNALE METAFORICA DI VENEZIA

Non c’è alcun dubbio che questa cinquantacinquesima Biennale sia la prima a dare maggiore peso alle Idee: alla ideologia, alla trascendenza, ai problemi legati all’occultismo e all’esoterismo. Ecco perché — seguendo il titolo Il Palazzo Enciclopedico con cui il suo acuto e coraggioso direttore Massimiliano Gioni ha voluto battezzarla — potremmo affermare che ci troviamo questa volta davanti a una «Biennale metaforica». E sappiamo bene come la metafora, di tutte le forme retoriche del discorso, è quella che ha dominato buona parte dei dibattiti culturali del nostro tempo.
Accettiamo dunque con vivo interesse le esperienze che l’attuale curatore ha voluto proporci, soprattutto perché dobbiamo per la prima volta accogliere quella atmosfera non solo tecnologica e artistica, ma anche tener conto di tutte le illazioni culturali e persino «paranormali» che questa rassegna ci offre. Il fatto che, già dall’ingresso nel padiglione centrale ai Giardini, le prime personalità che ci vengono incontro sono quella di Rudolf Steiner e Carl Gustav Jung, «il primo con le sue famose lavagne istoriate a colori, il secondo con le raffinate tessere del suo libro rosso», è la prova che entrambi sono noti non tanto come artisti quanto come psicologi e antropologi.
Il fatto che il padre dell’antroposofia e uno dei maggiori vessilliferi della psicoanalisi siano posti come angeli custodi di una così vasta e eteroclita rassegna come la Biennale, è già di per sé una prova che non dovremo andare alla ricerca di opere pittoriche e scultoree di avanguardia, ma piuttosto a quelle di personalità diverse e spesso opposte, imperniate sulla più intima struttura della personalità umana. Infatti quello che colpisce maggiormente nell’odierna Biennale è l’aspetto meno univoco delle opere esposte e l’esigenza diffusa e certamente oculata di rintracciare nella maggior parte delle stesse un fattore che definirei, per l’appunto, «metaforico», piuttosto che una netta differenziazione tecnica e visiva di ogni singolo artista.
In questo modo appare evidente, sia nei padiglioni dei Giardini che all’Arsenale, la presenza di opere che appartengono ad artisti poco noti e indubbiamente avveniristici, tuttavia non all’altezza di quelle figure di primo piano che erano sempre presenti in tutte le precedenti Biennali e che — occorre affermarlo — mancano quasi totalmente.
Se la definizione di Palazzo Enciclopedico dimostra la voglia di Gioni di mantenere alto il livello e di coinvolgere tutte le diverse tendenze presenti attualmente, non possiamo che convenire sulla opportunità del suo impegno, senza però non sottolineare una effettiva obliterazione di nuove forze creative che tutto sommato meriterebbero di essere riconosciute. Il che dimostra la maggiore disposizione degli artisti a nascondere sotto il velo di una interpretazione «metaforica» un’assenza di autentica volontà espressiva che in passato dominava la loro opera. A questo punto sarebbe impossibile soffermarsi sui singoli padiglioni e sui singoli artisti presenti tra i Giardini, l’Arsenale e le diverse esposizioni periferiche, ma almeno qualche nome nella vasta serie di artisti molto spesso non ancora generalmente conosciuti merita di essere tentata. Vorrei quindi proporre alcuni nomi di particolari interesse, anche se mi è impossibile di precisarne la situazione culturale e tecnica, trattandosi quasi sempre di figure del tutto inedite.
Ecco allora per iniziare questa breve sequenza: il caso di un’artista estremamente raffinata e evanescente come Geta Brätescu o il caso di un artista grottesco e lubrico come Friedrich Schröder-Sonnenstern; sempre nell’ambito di un erotismo sia pure estremamente raffinato, dobbiamo citare l’italiana Carol Rama. Mentre un’altra artista di tipo truculento e macabro è Maria Lassnig. Di tutt’altra tendenza misteriosa ed evanescente è l’opera di Hans Bellmer e non potremo non citare quella che è indubbiamente una delle fotografe più vicine alla vera e propria attività artistica, come Cindy Sherman. Il problema del ritratto non è molto diffuso, ma bisogna ricordare tra i più incisivi quelli di Duane Hanson, già ben noto per il suo studio delle personalità ritratte. Tra i molti seguaci delle tendenze psichedeliche e iniziatiche, vorrei ricordare uno degli artisti più efficaci: Philip Dick.
Nell’impossibilità di seguire il percorso di tutte le nazioni non possiamo non citare il caso dell’Italia presente con un artista notturno come Pietro Golia e ancora Francesco Grilli, Luigi Ghirri e Gianfranco Baruchello, la cui vena ironica rientra appieno nell’ambito della metaforicità. Per quanto riguarda la Germania occorre ricordare Santu Mofokeng e Dayanita Singh. Mentre la Svizzera presenta un unico artista: Valentin Carron.
Siccome un autentico bilancio dell’attuale Biennale sarebbe impossibile sulle colonne di un quotidiano, vorrei concludere quanto ho cercato di accennare solo parzialmente, con la riaffermazione che l’elemento traslato e l’impostazione retorica che aleggia nei vasti ambienti della Biennale e che in apparenza distoglie il visitatore dalla consueta attenzione ai problemi del colore e della forma viene oggi in certo senso capovolta e forse ci fa sperare che le arti visive possano avere negli anni a venire una più completa adesione tra quella che è la fantasia immaginifica dell’uomo e la effettiva realizzazione pratica delle sue ipotesi creative.
Gillo Dorfles