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 2013  giugno 12 Mercoledì calendario

QUELL’INTRECCIO TRA GIGANTI WEB E SPIONAGGIO —

«Narrative science», l’impresa che tanto spaventa i giornalisti col suo tentativo di produrre automaticamente, via computer, articoli per ogni tipo di pubblicazioni, adesso mette ancora più paura. E non solo ai redattori che temono di essere sostituiti da robot. Da qualche giorno l’azienda di Chicago ha un nuovo socio: la Cia, entrata nel capitale attraverso In-Q-tel, la sua società di «venture capital».
Le aziende della Silicon Valley negano di aver dato libero accesso ai servizi di spionaggio del governo federale che cercano di combattere il terrorismo anche con un ricorso sempre più massiccio alle tecnologie digitali e in particolare a «Big Data»: la capacità di sistemi informatici sempre più potenti di analizzare comportamenti individuali e collettivi elaborando miliardi e miliardi di dati. Ma la collaborazione tra i grandi gruppi di Internet e il mondo dell’intelligence è da sempre piuttosto intensa: oggi questo crea problemi di immagine soprattutto ai social network per i quali il patrimonio più prezioso è la fiducia degli utenti che rischia di essere scossa dalle rivelazioni di questi giorni.
Ma, a ben vedere, il contatto tra i due mondi è abbastanza naturale. Non c’è molto di cui scandalizzarsi quando nessuno dei computer del quartier generale della NSA, la segretissima agenzia dello spionaggio federale che sovraintende anche alle attività della Cia, è di proprietà del governo. Le strutture informatiche di Fort Meade sono di società come la Palantir Technologies di Palo Alto (fondata dal leggendario Peter Thiel, uno dei geni della rete), di Computer Sciences e di Northrop-Grumman. Gruppi informatici, ma anche giganti della consulenza aziendale: il numero due di Booz Allen Hamilton, la società che offre il grosso dei servizi di «data mining» alla National Security Agency (l’obiettore talpa Edward Snowden era un loro analista), è Mike McConnell, un ex direttore della NSA. Il cui capo, James Clapper, il direttore della National Intelligence, è, a sua volta, un ex manager di Booz Allen.
Niente «porte girevoli», invece, per i manager della Silicon Valley che, anzi, hanno a lungo cercato di tenersi alla larga dalla cultura di Washington considerata burocratica e piena di vincoli, contraria allo spirito libertario della West Coast. Ma le cose sono cambiate man mano che i gruppi di Internet sono diventati adulti: Google e Facebook hanno ormai seguito le orme di Microsoft, costruendo anche loro agguerritissime squadre di lobbisti nella Capitale. Il dato di fondo è che, come scrive Fast Company, le strutture di sicurezza del governo e le società più avanzate del web vivono, ormai, nello stesso ecosistema, operano utilizzando la stessa valuta: uno scambio di flussi di informazione sempre più imponenti e capillari.
Inevitabili gli incroci più o meno pericolosi tra industria e intelligence anche perché la NSA acquista (con contratti assai remunerativi) molti servizi da queste aziende tecnologiche. E, comunque, le rivelazioni dei giorni scorsi sulla sorveglianza telefonica e via Internet non hanno sorpreso chi conosce a fondo i meccanismi del web: è stato chiaro fin dal primo momento che, con l’uso spregiudicato di Big Data e l’utilizzo dei dati personali degli utenti per creare i loro profili come consumatori e come elettori, prima o poi tutte quelle informazioni sarebbero state acquistate non solo dalle industrie e dalle campagne elettorali dei candidati alla Casa Bianca, ma anche dai servizi di sicurezza del governo. La pagine Facebook che ispirano la Coca Cola o McDonald’s possono interessare anche alla Cia.
Oggi, probabilmente, molti geni libertari della rete di interrogano sulla loro innocenza perduta: apprendisti stregoni che non avevano compreso appieno la potenza degli strumenti che maneggiavano. Parlavano delle virtù dei loro algoritmi, promettevano di usarli per «fare del mondo un posto migliore». Ma l’uomo non è un animale che si occupa solo del bene comune, la tecnologia attira anche hacker e strateghi della «cyberwar».
E poi la collaborazione tra aziende digitali e intelligence, oltre che dalla convergenza tecnologica ed economica, è nata a volte anche dal desiderio di dare una mano al proprio Paese: la diffidenza dei geni informatici — giovani e quasi tutti progressisti — nei confronti di governo e servizi segreti, è venuta in gran parte meno dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001.
L’America fortezza assediata, la minaccia invisibile di Al Qaeda: cadute le Torri gemelle, divenne patriottico aiutare il secret service. E la Cia creò uno strumento seducente con In-Q-tel: società dal nome enigmatico nel quale l’«intel» di intelligence è inframmezzato da una Q che vuole essere una citazione letteraria: l’identificativo dello scienziato che nelle spy story di Ian Fleming fornisce a James Bond le sue tecnologie mozzafiato.
Come altre finanziarie del «venture capital», la società della Cia ha cominciato a comprare quote di minoranza delle start up più interessanti e promettenti. Senza interferire nella gestione, ma cercando solo di avere un osservatorio sulle nuove tecnologie che potranno essere utilizzate un domani dagli agenti.
Gli incroci tra i due mondi, alla fine si moltiplicano anche al di là dei casi di collaborazione studiata a tavolino: alcune delle falle aperte nel sistema operativo Windows7 sono state chiuse non dai tecnici di Microsoft, ma da quelli della NSA che avevano interesse a «blindare» il sistema. E in Recorded Future, una start up del Massachusetts che cerca di prevedere eventi di varia natura attraverso l’analisi dei dati pubblici che affluiscono nel web, Google e la Cia sono entrate insieme, come azionisti di minoranza: non perché progettino qualcosa in comune, ma perché industria e intelligence hanno, per motivi diversi, interesse a quello stesso modo di filtrare i dati.
Massimo Gaggi