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 2013  giugno 09 Domenica calendario

SAVIANO GRAN SACERDOTE DELLE BUFALE DI STATO

Già il fatto che questa creaturina artificia­le dei media, questo profeta del banale di nome Roberto Saviano, abbia ricevu­to, senz’arte né parte, la cittadinanza onoraria di Firenze, manco fosse un La Pira o figlio d’al­tra schiatta di santi, la dice lunga; ma che poi l’abbia«dedicata a tutti coloro che non possono averla», è uno sberleffo all’intelligenza, all’ironia, al senso della realtà. Una massa di disere­dati che si vedono sottratto il diritto al­la cittadinanza onoraria di Firenze, ma che idea di tronfia stupidità. Si agghindano di onorificenze monologhi sul crimine che fanno venire voglia di diventare criminali.
Avendolo conosciuto fin troppo, i lettori hanno abbandonato Saviano, gli preferiscono perfino Dan Brown (fi­guriamoci!), si sono dimezzati gli ac­quirenti delle sue maniacali rassegne estasiate del male sociale (e Gomorra e la Cocaina, e arriverà spero presto la tratta degli schiavi). A Saviano è anda­ta con le copie come è avvenuto con il dimezzamento delle rendite elettorali destinate a Grillo, fenomeno parallelo e quasi altrettanto banale nello star system dei derelitti di successo, quelli che non hanno niente da dire ma lo di­cono c­on gratificante assiduità e racco­gliendo consenso. Offrono al gentile pubblico la possibilità di essere o di pensarsi buono, educato, umanitario, molto impegnato nella lotta al crimi­ne, ma alla fine raccolgono dolenti sba­dig­li come tutti gli impostori e gli imbo­nitori.
L’ultimo ritrovato dei ciarlatani è in fatto di mafia il dire perentorio che il governo, e quale governo non impor­ta, «è immensamente assente dalla lot­ta alla mafia». Così parlò lo Zaratustra di Casal di Principe. Immensamente, capite? Assente, capite? Ora è noto che Falcone fottè la cupola con un processone reso possibile dai soldi del ­governo appositamente stanziati con decreti legge e dalle leggi sui pentiti e sulle procedure sommarie di dibattimento definite dal Parlamento e dalla sua maggioranza governativa all’esclusi­vo scopo di stroncare con ogni mezzo la cupola di Cosa nostra; è noto che Mo­ri, un carabiniere agli ordini del gover­no, arrestò Salvatore Riina; è stranoto che in seguito, non importa quale fos­se il governo o il ministro dell’Interno, Napolitano o Maroni o Pisanu o altri, un incredibile numero di mafiosi resi­dui, tra i quali Binnu Provenzano det­to U Tratturi , sono stati arrestati, pro­cessati e condannati; si sa che le finan­ze mafiose sono state in parte cospi­cua confiscate e affidate al volontaria­to antimafioso; non è ignoto che un nu­mero grande di con­sigli comunali è sta­to amministrativamente sciolto dal go­verno, quale che fosse il suo colore po­litico; abbiamo visto tutti che la retori­ca dell’antimafia, anche con tutti i suoi pigri e fanatici risvolti savianei, percorre indefessa le onde radio e quelle televisive, tanto che un calun­niatore e pataccaro come Massimo Ciancimino è stato usato da Antonio Ingroia, manco fosse un educatore «icona dell’antimafia», prima per istruire con l’aiuto dei talk show un processo ad alta intensità emozionale contro uno Stato colluso che palesemente non esiste, infine per imbastire una candidatura sfortunata alle elezio­ni politiche in nome della rivoluzione civile e della grottesca agenda rossa. Falcone morì ammazzato dalla mafia che era il primo funzionario di un mini­ste­ro della Giustizia gestito nientemeno che da Claudio Martelli, sotto il se­gno di Giulio Andreotti presidente del Consiglio, e i suoi assassini sono stati processati, condannati tutti, mentre lo Stato è così tollerante da lasciare che si dica e ridica, magari perfino nelle procure, che ogni volta che un crimi­ne è sanzionato manca sempre qualco­sa, c’è un mandante che è sempre esterno, sempre politico, così tanto per fare la nostra parte alla Ferdinan­do Imposimato, il Dan Brown de’ no­antri.
Detto tutto questo, uno va a Firenze, e vede un giovane scrittore vestito di nero come Juliette Greco che fa un monologo sulla immensa distanza del go­verno dalla lotta alla mafia, manovra­to come un burattino e rovinato dai pupari editoriali e politici che tirano i suoi fili. Ma che spettacolo abnorme, che gusto horror della scena pubblica, che mancanza di spirito e di senso co­mune. Da Saviano si passa appunto, via radio, Radiouno, alla predicazione di un Imposimato. Ho appreso vener­dì scorso, in un tranquillo pomeriggio di interviste da cani, che uno studente sovietico ha seguito e pedinato per me­si Aldo Moro, alla vigilia del suo rapi­mento, che a fare fuori lo statista democristiano è stato il Kgb e non le Brigate rosse come credevamo noi (ma non erano gli amerikani? Non era Kissin­ger il grande sospettato fino a ieri?), e dulcis in fundo che il Papa sbaglia quando dice al fratello di Emanuela Orlandi che lei è «in cielo», manco per idea, lei è viva e vegeta e ha avuto una storia d’amore con il suo rapitore, dice sicuro Imposimato, chissà dove con­suma il suo matrimonio, del quale naturalmente è responsabile di nuovo il Kgb,l’orco delle favole che non preve­deva il lieto fine. Ma via, si può tenere insieme un Paese così immensamen­te lontano da un criterio minimo, ele­mentare di verità, come dicono i pigri, condivisa?