Maurizio Stefanini, Libero 9/06/2013, 9 giugno 2013
CIAMPI E L’ADESIONE: «COSÌ FREGAMMO BOSSI»
L’Italia non doveva entrare nell’euro subito, ma almeno un anno dopo: furono Bossi e Aznar a costringere il governo Prodi a arrabattarsi in tutti i modi per essere ammessi subito dal primo gruppo, al costo di accettare anche condizioni che sarebbero risultate sfavorevoli. A partire dal famigerato cambio a 1936,27 lire. Questo, per lo meno, è il quadro che deriva dalle confidenze di Carlo Azeglio Ciampi come risultano in Contro scettici e disfattistiGli anni di Ciampi 1992-2006, un recente libro per Laterza (pp. 261, 22 euro) che Umberto Gentiloni Silveri, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, ha ricavato dallo spoglio dei diari del presidente emerito, trenta agende personali dal 1977 al 2006, integrate da 15 colloqui tenutisi tra 2007 e 2010, per un totale di venti ore.
A pagina 40, in particolare, c’è il racconto di quando Ciampi conobbe di persona Umberto Bossi, dopo essere diventato Presidente del Consiglio. Ciampi dice di aver rimproverato il leader della Lega per alcuni attacchi personali, Bossi si sarebbe scusato, e in seguito ne sarebbe nato un rapporto anche personale di tipo «corretto». Continua dunque Ciampi «tempo dopo mi rivelò qualcosa di più profondo. Ero stato per lui una grande rovina: i suoi interlocutori bavaresi e austriaci gli avevano assicurato che l’Italia non sarebbe mai entrata nell’area dell’euro. Pensava di poter agganciare la Padania all’Europa più ricca e sviluppata; il secessionismo di allora non era uno slogan folcloristico. La nostra politica mise in discussione tale assunto impedendo che si potesse trovare nuovo spazio a chi pensava di portare solo un pezzo d’Italia nell’Europa che conta». Ovviamente, sarebbe interessante ascoltare il punto di vista di Bossi, in proposito. Ma comunque il racconto corrisponde a una sensazione che allora era ampiamente diffusa.
Deciso dunque che nell’euro si sarebbe dovuti entrare a ogni costo, restava però in ballo il problema della tempistica. Annota qui Gentiloni Silveri a pagina 75: «Il punto di partenza secondo Ciampi, architetto principale di quella stagione, deve essere ricercato negli accordi che il governo precedente presieduto da Lamberto Dini con Rainer Stefano Masera nel ruolo chiave di ministro del Bilancio aveva stretto in sede Ecofin. L’Italia si era impegnata formalmente a ridurre il disavanzo dello Stato dal 7,4% del Pil nel 1995 al 4,5% nel 1997; un salto significativo che in realtà implicava la non partecipazione alla moneta unica per il primo periodo. Si sarebbe quindi consolidata l’ipotesi delle due velocità: la partenza dell’euro con alcuni partner e i successivi ingressi degli altri; con il nostro Paese in pericolosa attesa. Secondo il piano iniziale, l’Italia avrebbe completato il cammino l’anno successivo, quando il rapporto deficit/ Pil sarebbe sceso al di sotto del 3%. Nel maggio 1996, quando Carlo Azeglio Ciampi varca la soglia del ministero del Tesoro, la decisione appare presa e condivisa; era di dominio pubblico da poche settimane. Un punto di partenza dal quale sembrava complicato e irrealistico potersi discostare».
Ciampi in realtà è convinto che si possa osare di più, ma il problema di fondo è che l’impostazione dell’aspettare dà per scontato che la Spagna farà lo stesso. Gravissimo errore! Sarebbe bastato seguire con attenzione la stampa spagnola per rendersi conto di come invece da tempo l’élite di Madrid vedesse come un’ingiustizia il fatto che all’Italia fosse riconosciuto un ruolo internazionale che alla Spagna era negato: a partire dalla partecipazione al G8. Da tempo puntava dunque su un asse di ferro con la Germania per scalzarci. Racconta infatti Ciampi, a pagina 76: «Mi ricordo di un incontro con il mio omologo spagnolo, de Rato y Figaredo. In quella occasione proposi la costituzione di un’intesa comune, un’alleanza per allargare l’area euro e valorizzare la componente mediterranea come parte costitutiva dell’idoneità della nuova moneta. Mi accorsi che era un dialogo impossibile, una proposta irricevibile. Loro erano già dentro, erano scesi sotto il 3%.Nonavevamo motivi di dubbio: la Spagna aveva raggiunto il nucleo forte, era in condizioni di partecipare al varo da protagonista».
Fu quello «il punto di non ritorno, la molla che fa scattare la reazione da parte italiana». Dal Piave al miracolo economico e ai mondiali di calcio del 1982 e del 2006, in effetti, il nostro Paese è specializzato nel produrre miracoli d’orgoglio nel momento in cui sembra finito. Così, però, entrammo nell’euro senza poter trattare le condizioni, e senza neanche essere nelle condizioni per ragionare con calma se l’euro ci convenisse o no.
Ma qui è l’Observer ad aver riportato un racconto di Prodi, che quando nel 2004 fece notare ai tedeschi che erano loro i primi a non rispettare il patto di stabilità sui sentì rispondere: «Silenzio. Siamo noi i padroni! ». Il colmo è che ora la Spagna soffre per l’euro peggio di noi, e la Lega è diventata euroscettica.