Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 07 Venerdì calendario

CONTRO LA VIOLENZA LE DONNE DI PIAZZA TAHRIR VANNO IN PALESTRA

«Le violenze sessuali a sfondo politico erano molto usate dal regime di Mubarak. Recentemente hanno ripreso piede. I Fratelli Musulmani hanno ereditato questa pratica». Nabla Enany, 23 anni, è seduta al Café Riche, uno degli storici bar del centro del Cairo, frequentato da giornalisti locali e stranieri, insieme a Azza Balba, Nour El Oda Zaky, Marwar Nissar, Bussana Said e altre signore di mezz’età. Sono tutte attiviste, giornaliste e membri di vari partiti politici come El Dustur (La Costituzione), Tayraan Shaabi (Corrente Popolare) e El Tugammau. Sorseggiano il tè e parlano di quel che succede nel Paese in mezzo alla spessa coltre di fumo delle loro sigarette.
Nabla paria senza sosta, spiega con quali tecniche e in quali occasioni le violenze vengono messe in pratica: «Bisogna fare una differenza tra violenze del singolo e quelle di gruppo». Queste ultime sono ben preparate e organizzate con lo scopo di demolire totalmente la volontà della donna. «In tutte le testimonianze di aggressione che abbiamo nei nostri file, nessuna parla di una volontà dell’aggressore di toccarla, ma solo di picchiarla, violentarla e ferirla con lame affilate. Violenze che accadono solo durante manifestazioni e marce politiche. Dobbiamo sensibilizzare la gente».
Nabla è sdegnata: «Se mi capita qualcosa, con chi vado a lamentarmi? A chi vado a denunciare l’aggressione, alle autorità? Ma sono proprio loro che incoraggiano gli assalitori!». «C’è un solo modo: agire con associazioni come Tahrir Bodyguard, Benet Masr e OpAntiSH (Operation anti Sexual Harassment)» dichiara.
Surayya Bahaga è la fondatrice di Tahrir.B.G. Il 25 gennaio era scesa in piazza per l’anniversario della rivoluzione, ma è stata assalita da alcuni uomini. Ha sfogato la sua indignazione aprendo l’account di TahrirBG su Twitter: nel giro di poche ore, aveva migliaia di followers. L’associazione organizza corsi pratici di autodifesa personale e teorici sulle modalità di aggressione e su come evitare il pericolo; diffonde informazioni, in strada e su internet, per rendere nota questa terribile piaga che affligge il Paese. «Quello che accade in piazza Tahrir è un attacco politico, molto ben organizzato. Le tecniche degli aggressori per violentare o molestare le donne sono studiate: come circuirle, isolarle, accerchiarle. Vogliono allontanare il mondo femminile dalla piazza. E invece noi dobbiamo esserci, per denunciare le violenze». «I corsi di autodifesa sono aperti a tutte, non solo alle egiziane» dice Zeinab Sabet, collaboratrice di Surayya, tra le prime volontarie del progetto.
I ragazzi e le ragazze che aderiscono a Tahrir BG portano gilet rifrangenti ed elmetti gialli da carpentiere per essere notati facilmente. Insieme all’associazione Benet Masr (i cui ragazzi indossano magliette bianche con la scritta rossa Contro le violenze sessuali) a febbraio hanno organizzato la «Marcia delle donne», dalla moschea di Sayyida Zeinab. Hanno partecipato in tante, bambine, anziane, politiche e donne in carriera, semplici cittadine, madri di famiglia... La marcia ha un valore intrinseco che è quello di far partecipi i passanti ignari. Molte egiziane si fermavano sui marciapiedi, curiose. Gli slogan più gettonati erano: «Non rimarremo in silenzio», «Non ci piegherete», «Venite ad affrontarci, stupratori, che non abbiamo nessuna intenzione di starcene a casa!».
Nancy Ornar è la presidentessa di Benet Masr: «Ai corsi spieghiamo che cosa sono le molestie, i vari tipi di molestatori, e simuliamo possibili attacchi a sfondo sessuale. Insegniamo ai volontari a capire le tipologie delle vittime e degli aggressori, come una ragazza può reagire: c’è chi ammutolisce nel panico, chi picchia l’aggressore e chi viene presa dall’isteria».
C’è anche una rete di comunicazione passaparola tra i mèmbri e la loro cerchia di amiche. «I volontari vanno porta a porta a fare volantinaggio. E a parlare con i venditori ambulanti che sono a Tahrir e possono aiutarci: hanno i nostri cellulari, se accade qualcosa ci avvisano immediatamente. Noi cerchiamo di istruirli per riconoscere le situazioni di pericolo durante gli scontri e sapere come comportarsi».
Sul perché di questa escalation di violenze verso le donne, Nancy non ha dubbi. «La donna è presente ai seggi elettorali, controlla il regolare svolgimento del voto. Partecipa alle manifestazioni, e tra le urla la sua voce si distingue. Più acuta, sovrasta quella degli uomini. Il ruolo della donna nella società è molto più attivo di quello degli uomini, c’è più dedizione. Ha un senso di giustizia più profondo, e non vuole che nessuno le rubi la sua libertà. Il nostro corpo ci appartiene, nessuno ha il diritto di violarlo. Qualcuno vede come una minaccia l’impegno della donna egiziana nella costruzione della società, la sua partecipazione».
Senza le donne la piazza non ha la stessa forza. «Meno della metà. Quel che è successo il 25 gennaio per il 2° anniversario della _ rivoluzione è stato meschino», violenze e stupri di gruppo, l’uso della forza bruta e di armi da taglio. Nour El Oda Zaky, giornalista, attivista e membro del partito Dustur aggiunge il suo punto di vista. «Gli attacchi mirano a distruggere psicologicamente la donna egiziana, per allontanarla dalla politica. Dopo aver tentato di tutto a livello nazionale, ci muoveremo a livello intenzionale. Sottoporremo il caso al Tribunale dell’Aja, per far condannare il governo egiziano responsabile di tali reati. Vogliamo una condanna contro il Presidente della Repubblica, per la responsabilità politica, e una condanna penale contro il Ministro degli Interni che non ha garantito la sicurezza a Tahrir».
Grazie al costante lavoro di queste associazioni a Tahrir, i casi di violenza sono diminuiti drasticamente. Ma i movimenti non sono sufficienti a sradicare i soprusi senza l’aiuto dei grandi media nazionali. E sarà importante il ruolo e l’azione del governo, nell’approvare nuove leggi, più moderne, e una riforma strutturale delle forze di polizia. Il cammino delle donne egiziane è ancora lungo.