Gianni Minoli, Panorama 6/6/2013, 6 giugno 2013
LETTERA DI MINOLI A GUBITOSI
Caro direttore, rispondo alla tua intervista dimenticando veleni già troppo versati per arrivare a un pur sempre franco confronto. Sei il direttore generale della Rai, ruolo che merita rispetto, ma la verità dei fatti lo merita altrettanto. Se non fosse così questo mio addio oggi sarebbe ancora più doloroso. Per questo ribadisco che avresti avuto l’occasione di affermare da leader la tua decisione: «Minoli mi ha stancato e La storia siamo noi ha fatto il suo tempo. Arrivederci».
Certo, sarebbe stato difficile per te dimenticare i 60 premi ricevuti (Oscar compreso) per un format giudicato rivoluzionario nell’intera Europa. Ma ne avevi il potere, direttore. Invece hai trovato un’altra strada: quella delle contraddizioni e di certe dichiarazioni che non corrispondono al vero. Dal primo nostro incontro, quando hai scartato l’ipotesi di trasformare il programma in Rai Eventi, le tue intenzioni erano più che chiare: «Rai 150 ha esaurito il suo compito e va chiusa» mi hai detto «tu però avrai una proposta come autore e conduttore per La storia siamo noi». Da allora ci siamo incontrati cinque o sei volte e la tua canzone suonava sempre la stessa musica: la struttura chiusa e i miei collaboratori, riconosciuti tra i migliori professionisti, alle reti generaliste. Nel finale sempre la stessa promessa. Evaporata perché mai arrivata a destinazione. Dici nell’intervista che non è elegante parlare degli altri. Ottimo escamotage. Ma io ti chiedo ancora: perché Bruno Vespa, Claudio Donat Cattin e Piero Angela, pensionati ed ex dipendenti Rai (e dunque anche loro, secondo il tuo volere, impossibilitati ad avere nuovi contratti) continuano il loro lavoro e Minoli no? Inoltre non mi pare vera raffinatezza mettere in fila tutti gli zeri del mio contratto. Lasciami dunque spiegare i dettagli. Si tratta in primis di 800 mila euro l’anno. Lordi. Perché al netto, se proprio vogliamo fare i milord, restano 400 mila. Cifra comunque notevole, ma notevolissime sono anche le 1.042 ore di programma all’anno (costo 4.472 euro l’ora, che in confronto ad altri documentari diventano cifre irrisorie). Ricordo anche che i contratti sono materia che si stipula fra due parti: in questo caso si trattava della Rai che lo proponeva e di Giovanni Minoli. Concedimi allora una domanda: cosa avrebbe fatto Luigi Gubitosi al mio posto? Eroico avrebbe rifiutato? Ecco, io non l’ho fatto, e poiché quel contratto comprendeva anche i diritti che la Rai mi offriva, li ho accettati felicemente. Con coscienza leggera, sapendo che negli ultimi anni, grazie alla mia credibilità, ho portato all’azienda circa 50 milioni di convenzioni. Arriviamo poi a quei 70 collaboratori che avrei voluto portare con me. Portarli dove, direttore, quando l’ipotesi Rai Eventi era già stata eliminata? Non puoi avere dimenticato che nei nostri incontri sono stato proprio io a indicare quali dei miei uomini potevano essere spostati alle reti per rinforzarle. È così che oggi Piero Corsini è amministratore delegato di Rai International, Massimiliano De Santis capostruttura di Rete 3, Stefano Rizzelli ha lo stesso ruolo alla seconda rete dove anche Gabriella Oberti è capoprogetto. Non basta. Per catturare quelli dei «miei» che rimangono, si consuma fra le varie reti una caccia all’uomo che, credimi, mi riempie di orgoglio. La verità è che molti fra questi sono arrivati proprio come giovanissimi collaboratori. Al proposito concedimi il lusso di citarti il saluto che uno di questi ragazzi mi ha regalato: «Non m’ importa di perdere il posto, quello che mi hai insegnato mi basta per la vita». Oggi divido con lui lo stesso sentimento: aver accompagnato la passione di veri «televisionisti» di razza mi basterà per l’intera esistenza. Del resto anche il grande Moni Ovadia ricorda che gli allevatori di talenti non si possono uccidere. In tutto il mondo si usa difenderli con le unghie e con i denti. In Italia, zero. Eppure ne avremmo bisogno. Basta pensare a quel professionista di giornalismo necrofilo che è Marco Travaglio che, invece di attaccarmi noiosamente, dovrebbe ringraziarmi per avergli dato la gratuita occasione di raccomandarsi al direttore generale della Rai (a La7 cambia tutto, chissà!) solidarizzando così caldamente con te. Resta che essere stato raccomandato da chiunque mi onora. Tanto che, se vorrai essere così gentile da fornirmi i nomi dei raccomandanti, potrei almeno ringraziarli. Come ho già fatto del resto con quei deputati firmatari di un’interrogazione parlamentare che chiedeva ragioni sulla chiusura di La storia siamo noi, programma pensato e realizzato solo da me e dalla mia meravigliosa squadra. Infine mi accusi di sotterfugi per la convenzione tra la presidenza del Consiglio e la Rai sui programmi per l’estero: 8 milioni di euro cancellati dal governo a causa della spending review e ripristinati dal sottosegretario alla presidenza Paolo Peluffo, dopo aver appreso della nomina di Piero Corsini a Rai World che garantiva la serietà di quei futuri programmi. Pensavo al sotterfugio? Bastava prevedere un consulente senza citare il suo nome. Infine lo schiaffo. Infatti, cos’è se non un’umiliazione personale l’avermi negato di prolungare di un mese il mio contratto fino alla fine del programma, il 31 giugno, quando ti chiedevo solo un euro in cambio? La verità dei fatti è questa, direttore, e mi scuso se altre volte per esprimerla l’ira ha, come spesso mi accade, mangiato la passione. Il resto è l’inutile tentativo di coprire troppe contraddizioni.