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 2013  giugno 08 Sabato calendario

POMICINO: ECCO IL MIO PIANO DA 33 MILIARDI

«Siamo una Repubblica mediatica, per cui la politica si identifica e si esaurisce con l’annuncio! E questo vale anche per le vendite immobiliari del demanio pubblico». È sarcastico Paolo Cirino Pomicino, politico di lungo corso tra prima e seconda repubblica, più volte ministro - l’ultima al Bilancio, nel ’92, col settimo governo di Giulio Andreotti di cui fu fedele seguace e alla cui messa di trigesimo ha appena partecipato, con profonda commozione, prima di parlare con ItaliaOggi.

Dice «’o Ministro» che le dismissioni demaniali annunciate in pompa magna dal ministero dell’Economia con la costituzione di una «Sgr» ad hoc_ non si faranno. Come non si sono mai fatte sul serio: né con i programmi tremontiani di Scip 1, Scip 2 e Patrimonio dello Stato Spa, né con il primo di questi «veicoli» commerciali, costituito nel ’92 proprio da Pomicino: «Immobiliare Italia», la madre di tutte le (fallite) privatizzazioni del mattone pubblico.

Domanda. Quindi, Pomicino, secondo lei sarà ancora flop?

Risposta. Con questi metodi, il demanio è sempre riuscito a vendere poco e niente. E il dato allucinante è che nessuno fa tesoro degli errori del passato.

D. Neanche Saccomanni?

R. Guardi, dal ’92 abbiamo avuto tutti ministri del Tesoro prima e dell’Economia poi che erano dei tecnici, non dei politici: Barucci, Ciampi, Tremonti, Siniscalo, Padoa Schippa, Monti, Grilli, Saccomanni. Non sono capaci. Gli economisti devono fare gli economisti. La visione d’insieme non può che averla un politico. Poi bisogna trovarli, i politici capaci (e ride, ndr).

D. Quali errori del passato andrebbero evitati?

R. Il grande patrimonio immobiliare dello Stato si divide in 2 categorie: i beni inutilizzati, da valorizzare; e quelli strumentali, occupati dalla pubblica amministrazione. Sui beni da valorizzare perché inutilizzati, il problema è chiarissimo: occorre ripristinare il potere decisionale dello stato centrale sulle modifiche d’uso degli immobili posti in vendita, con uno strumento capace di decidere senza intoppi localistici la riconversione delle caserme o di altri edifici demaniali inutilizzati. Altrimenti non si riuscirà a tirar fuori un ragno dal buco. Per questo hanno fatto cilecca Scip 1 e Scip 2, consentendo soltanto, in realtà, a molti politici di comprare case belle a due lire, alcuni dei quali anche amici miei.

D. Chi, Pomicino?

R. Non lo dico. Mi bastano le mie 42 sentenze di assoluzione e prescrizione.

D. Quindi sui beni da valorizzare il problema, dice lei, è che lo Stato deve poter autorizzare le modifiche d’uso: ok, non ce la faranno mai. E l’altra categoria, gli immobili in uso?

R. È quella fondamentale, su cui si basa una mia idea più ampia di risanamento e rilancio dell’economia italiana_

D. Addirittura?

R. Certo. E le spiego. Nel 2007 proposi, in un emendamento, la formula giusta. Lo Stato deve conferire a un fondo 10 milioni di metri quadrati di immobili occupati da uffici pubblici. E vendere le quote a un valore pari, diciamo così, a 4.000 euro al metro. Introito di 40 miliardi di euro. Come essere sicuri di trovare questi soldi? Semplice: garantedo un rendimento del 5-6% a chi compra le quote. E conservando per lo Stato un diritto di riacquisto dei beni a vent’anni. E nel frattempo, pagando 2,2 miliardi di affitti all’anno ai sottoscrittori del fondo. Mi dirà lei: e dove li prende, lo Stato, questi soldi per gli affitti? Fa nuovo deficit? Nossignore: per i primi tre anni, li prende dal ricavato della vendita, che quindi genera un introito netto per lo Stato diciamo di 33 miliardi.

D. Dove vuole arrivare?

R. Per i primi tre anni, questi 33 miliardi vengono destinati, senza modificare il conto economico delle amministrazioni inquiline, a investimenti produttivi, che generano Pil, ogni punto recuperato sono 7 miliardi di euro di introiti fiscali_ Ci riduco il costo del lavoro per esempio; ci faccio investimenti al Sud_».

D. A proposito di Sud, ha visto che la Banca del Sud non l’hanno ancora chiusa?

R. Ma non andrà da nessuna parte, così come ai nostri tempi non servì a nulla il conato di Mediobanca del Sud. Il Sud non ha bisogno di un’altra banca_».

D. Torniamo ai mattoni di Stato: perché il suo piano dovrebbe riuscire?

R. Perché offre a chi investe nel fondo un rendimento superiore a quello dei Btp e garantito da asset.

D. Bene: e che accadde, quando presentò questa proposta?

R. Ne parlai con Berlusconi e con Cicchitto e a Tremonti, ma invano.

D. E adesso ci riprova?

R. Sì, ma non ho finito di spiegare: quella mossa sugli immobili strumentali ancora non basta, e provo a dirle cos’altro occorre.

D. Dica!

R. La seconda precondizione per indurre la crescita è un’aggressione frontale del debito pubblico. Basterebbe_

D. Alt: non se ne esca anche lei con la patrimoniale_

R. No, perché è recessiva, come lo fu l’Eurotassa. Io mi rivolgerei a quel 10% di italiani che rappresenta il 45% della ricchezza nazionale e gli direi: dovete prestare allo stato i vostri soldi, cifre a piacere, tra i 30mila euro e i 5 milioni di euro. Con 6.000 euro medi di erogazione aggiuntiva volontaria che arrivassero da 2 milioni di soggetti si totalizzerebbe la cifra astronomica di 120 miliardi di euro!».

D. E perchè dovrebbero dare i loro soldi questi benefattori?

R. Be’, intanto si potrebbe cercare di spiegargli che la cosa interessa tutti, loro compresi. E poi, io offrirei a chi aderisce alla richiesta di fondi un’ottima ragione: un concordato fiscale preventivo (quindi non un condono), per cui per tre anni chi incrementasse il fatturato o il reddito continuerebbea a pagare le tasse dell’anno precedente_

D. Un condono?

R. Macchè! Un concordato preventivo. Quelli che ogni giorno Equitalia pratica quando concorda con i contribuenti sottoposti ad accertamento quel che devono pagare per tornare in regola!

D. E con questi soldi, cosa dovrebbe fare lo Stato?

R. Be, con 120 miliardi il debito scende del 12%, il che significa 8 miliardi di spesa per interessi in meno. Sono soldi veri, che permetterebbero, unitamente ai proventi una tantum, delle dismissioni immobiliari, di rilanciare sul serio industria e lavoro.

D. L’ascolteranno?

R. Non credo, ma mi basterebbero che mi confutassero: che qualcuno mi dicesse Pomicino, sbagli. E proponesse una sua ricetta. E invece tutti tendono a nascondersi.