Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 08 Sabato calendario

ORSI & TORI - Questa volta le banche hanno fatto la banca. Il ruolo di Intesa Sanpaolo e Unicredit è stato decisivo nella sistemazione della partita fra Marco Tronchetti Provera e i Malacalza di Genova con in palio il controllo di Pirelli, una delle poche multinazionali italiane

ORSI & TORI - Questa volta le banche hanno fatto la banca. Il ruolo di Intesa Sanpaolo e Unicredit è stato decisivo nella sistemazione della partita fra Marco Tronchetti Provera e i Malacalza di Genova con in palio il controllo di Pirelli, una delle poche multinazionali italiane. Saggiamente le due banche italiane di dimensione europea si sono schierate con Tronchetti, individuando in lui non solo la competenza e la continuità ma anche un solido spirito industriale, mentre i Malacalza, pregni di liquidità, hanno appunto rinunciato a essere industriali alcuni anni fa quando vendettero ai russi per quasi un miliardo di euro la loro acciaieria, salvo poi ricevere pochi mesi dopo la proposta di ricomprarsela per 500 milioni onde evitare la causa promossa dai russi, insoddisfatti di che cosa avevano trovato nella società: causa tuttavia vinta alla fine dai Malacalza, ben lontani dalla voglia di ricomprarsi l’azienda. Ora per Pirelli si apre una nuova fase con un sindacato di controllo nel quale Tronchetti ha un ruolo sempre preminente ma in compagnia di banche e del fondo Clessidra, oltre ai suoi alleati storici Massimo Moratti e Acutis, ma con un principio che piacerà al mercato, cioè la possibilità che Pirelli, in base al nuovo patto, possa essere contendibile, quindi con la possibilità di esprimere il valore maggiore in Borsa. Sarà per questo oppure perché hanno ancora voglia di scalata alla Pirelli che i Malacalza hanno rilevato, grazie alla liquidità pervenutagli dalla transazione con Tronchetti, il 6,98% del capitale a un prezzo di 7,8 euro da Allianz e in parte da FonSai. I Malacalza rimarranno comunque fuori dal patto di sindacato e costituiranno uno stimolo in più per Tronchetti, che come manager-azionista dovrà determinare lo sviluppo ulteriore di Pirelli, attraverso la strada che preferisce, quella dell’innovazione. Quindi un voto alto alle banche, che tuttavia dovrebbero potersi comportare nello stesso modo, cioè con la stessa disponibilità operativa, non solo verso le grandi (poche) aziende italiane (hanno salvato per ora anche Rcs) ma anche nei confronti delle tantissime medie e piccole. In questa direzione esistono più ostacoli, alcuni interni alle banche e altri esterni. Non è un caso che il presidente della Bce, Mario Draghi, anche nell’ultimo intervento di giovedì 6, ha certificato come gli input della Banca centrale europea, con l’offerta di liquidità alle banche a condizioni straordinariamente favorevoli, non arrivino poi a spingere le stesse banche a concedere finanziamenti a tutto il sistema economico. Il problema ormai è europeo ma italiano in particolare, a causa della recessione assai più grave che altrove. Gli ostacoli interni alle banche si possono sintetizzare nel fatto che la gestione delle stesse oggi è assai più nelle mani dei vigilanti che di chi ha relazioni e rapporti con le aziende e le famiglie. In ogni banca, infatti, Bankitalia ha imposto una governance per la quale appena un’azienda o una famiglia dà qualche segno di tentennamento, la gestione del credito passa all’organismo (di fatto autonomo) dove le valutazioni sono fatte unicamente sui numeri senza alcun rapporto con gli imprenditori e senza una conoscenza diretta dell’impresa. Sono gli stessi banchieri a lamentarsene in privato. Come mai Bankitalia ha imposto paletti così rigidi e assurdi per il momento che il tessuto economico del Paese sta vivendo? Per una ragione semplice, secondo uno degli ex top manager della Banca centrale italiana: per l’ambizione del direttorio della banca, guidata da Ignazio Visco, di presentarsi come primi della classe al passaggio del potere di vigilanza alla Bce. Avere l’ambizione di essere i primi della classe è sempre encomiabile, salvo che questa ambizione non generi danni materiali significativi al Paese. È come quando un chirurgo esce dalla sala operatoria e dice ai parenti: operazione perfettamente riuscita, ma il malato è deceduto poco dopo. Molti banchieri sono consapevoli di questo pericolo ma pochi se la sentono di mettere a nudo il problema pubblicamente. La denuncia di Draghi è esplicita, ma dietro le parole felpate la politica monetaria della Bce non arriva ad avere gli effetti voluti sul sistema economico del Paese. È per questo che da più parti, a cominciare da questo giornale, viene chiesto da tempo un provvedimento coraggioso che a questo punto solo il governo può prendere: creare un fondo (la parola bad bank non piace) per sollevare le banche dalle sofferenze in modo che esse possano liberare capacità di credito che oggi è impedita dal condizionamento delle sofferenze sulla base dei ratio fissati dalle autorità di controllo. Per spiegarsi meglio: ogni banca può fare credito in base a un rapporto definito fra lo stesso credito e il proprio capitale, meno la parte di capitale che viene sterilizzato appunto dalle sofferenze. Quindi delle due l’una: o le banche sono in grado di raccogliere capitale (e molte delle italiane lo hanno già fatto) o si riducono le sofferenze. Poiché la grave recessione peggiora ogni giorno, il livello delle sofferenze continua a salire e se non viene un aiuto dall’esterno anche gli impulsi di Draghi non serviranno a molto. Anche perché, nella preoccupazione di fare bilanci comunque in utile, non essendo istituti di beneficenza, le banche italiane hanno colto il momento positivo per guadagnare con i titoli di Stato, all’acquisto dei quali è stata destinata larga parte dei capitali attinti alla Bce. Come si vede, è un po’ il gatto che si morde la coda. Appare quindi inevitabile pensare a provvedimenti straordinari per far uscire le banche e quindi le imprese dalla gabbia nella quale si trovano. E ciò non può avvenire, appunto, che con un’iniziativa del governo con la partecipazione più consapevole e meno rigida di Bankitalia. È chiaro che una ripresa dello sviluppo alleggerirebbe di molto le problematiche delle banche e in tal senso c’è consapevolezza di tutto il governo, a cominciare dal presidente Enrico Letta, del fatto che la via maestra sia quella di tagliare la spesa e il debito pubblico per poter alleggerire la pressione fiscale, liberare risorse per gli investimenti e invertire il ciclo. Che siano operazioni non facili è indubbio, ma possono e devono essere avviate subito. Del resto che la spesa pubblica, anche quella sanitaria, sia tagliabile è fuori discussione: un esempio illuminante è stato offerto a Porta a Porta di giovedì 6, quando in studio è stato introdotto il colonnello dei carabinieri, Maurizio Bortoletti, che era stato nominato commissario delle Asl di Salerno: al momento in cui si era insediato le perdite erano pari a oltre 250 milioni all’anno, con situazioni paradossali sia di gestione che di ufficio acquisti. Oggi le Asl di Salerno hanno un leggero avanzo e non è stato tagliato nessun ospedale e nessun presidio. È pur vero che la spesa sanitaria pro capite italiana è più bassa di quella di molti altri Paesi europei, ma la bonifica è comunque da compiere perché il caso Salerno dimostra gli enormi sprechi che ci sono e che possono essere eliminati con l’efficienza e la trasparenza. Il colonnello Bortoletti ha suggerito che sia obbligatorio per le Asl pubblicare i bilanci su internet in modo che i pazienti e tutti i cittadini possano confrontare non solo i dati economici ma anche il rapporto fra questi e la qualità dei servizi resi. Impressionante il dato sugli sprechi nel cibo per i ricoverati negli ospedali. Il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, ha indicato che circa il 50% del cibo acquistato dagli ospedali finisce nei rifiuti, nel momento nel quale l’assistenza della Caritas, dei francescani e degli enti impegnati ad aiutare chi non ha neppure da mangiare non riescono a far fronte alla richiesta. Quindi c’è spazio non solo per recuperare quel cibo inevitabilmente in esubero ma anche appunto nel gestire gli acquisti in maniera efficiente, sì da eliminare questo spreco vergognoso. Fare quattro o cinque operazioni come quella di Salerno, anche se non così clamorose, per arrivare a risparmiare oltre un miliardo. La speranza è che non solo nella sanità ma in tutti gli altri settori, dove fra l’altro i tagli sono meno pericolosi, si passi immediatamente dalle intenzioni ai fatti. Non sbaglia completamente il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, quando dice che il governo per durare deve riuscire a essere immediatamente operativo. Naturalmente anche in tutte quelle operazioni che non comportano grandi investimenti ma soprattutto un cambio di mentalità e di organizzazione, come per esempio nel turismo. Quello di questo giornale non vuole essere un tormentone, ma se il governo destinasse anche solo una cifra decente, diciamo 50 milioni invece dei 4 che sono a disposizione dell’Enit oggi per tutto il mondo, per una promozione reale in Cina, dove gli innamorati dell’Italia sono centinaia di milioni, a chiedere il visto alle autorità italiane non sarebbero (che è pure un record) i 300 mila del 2012 o i 500 mila previsti quest’anno, ma subito il milione che è previsto per il 2015, anno dell’Expo di Milano. Al momento, il presidente del Consiglio Letta non ha avuto neppure il tempo di pensare a una missione speciale in Cina, ma se lo facesse dovrà cambiare gli schemi seguiti dai suoi predecessori. Non basta più creare una delegazione numerosa e diversificata; il tempo in cui la Cina veniva conquistata con i Jumbo di Lufthansa che scaricavano migliaia di imprenditori a ogni missione è finito. Occorre oggi conoscere a fondo il tessuto e i personaggi chiave della Cina che non sono solo i politici, pur essendo rimasto alto il potere della oligarchia politica. Lo sanno bene i Patrizio Bertelli di Prada, i Diego Della Valle di Tod’s e gli altri della moda e del lusso. Non si può prescindere dal rapporto istituzionale ma occorre acquisire conoscenza diretta dei maggiori imprenditori; occorre un network di informatori che faccia la prima cernita. L’Italia ha enormi vantaggi di affinità con i cinesi, non fosse altro che per la cultura millenaria che accumuna i due popoli; lo stile italiano è istintivamente gradito ai cinesi, ma non basta, specialmente dopo l’incontro fra Barack Obama e il nuovo presidente cinese, Xi Jinping, in California. L’incontro è stato preannunciato come una chiacchierata amichevole anche se alcuni temi sono bollenti: dallo spionaggio cibernetico cinese alle dispute commerciali, passando per la comune minaccia nucleare della Corea del Nord e i territori contesi da Pechino con i Paesi dell’Estremo Oriente. Gli scambi fra i due Paesi sono più che quadruplicati negli ultimi dieci anni. La Cina possiede gran parte del grande ammontare del debito pubblico americano, frutto dell’accordo del passato in cui Pechino comprava i Treasury bond e gli Stati Uniti compravano i prodotti cinesi. Le due più grandi potenze mondiali sono in competizione per il primato futuro e in una situazione attuale che vede la Cina alla rincorsa, con una disoccupazione ufficiale del 4% contro quella del 7,9% degli Stati Uniti. Gli Usa hanno 316 milioni di abitanti e una crescita demografica dell’1% all’anno; la Cina quattro volte tanti abitanti e un tasso di crescita demografica dello 0,7%. I cittadini americani hanno un reddito medio di 50 mila dollari, i cinesi 6 mila dollari. Ma la Cina cresce a un ritmo del 7,7% mentre gli Stati Uniti sono al 2,4%. Secondo il Fondo monetario internazionale la Cina sorpasserà gli Stati Uniti per pil nel 2016; secondo Goldman Sachs, nel 2027. Avverrà comunque ed è certo che gli Stati Uniti faranno tutto il possibile per trarre il massimo vantaggio da questa crescita cinese, non potendo al momento contrastarla. Quando due potenze di questo genere si parlano o è per litigare o per trovare un accordo. Il mondo può solo sperare che non sia per litigare, ma in questo caso è evidente che gli Usa lasceranno ben poco spazio agli altri Paesi per cogliere il grande balzo cinese. Ne consegue che Paesi in difficoltà come l’Italia non possono perdere un attimo per mettere a frutto le buone relazioni con la Cina, appunto in tutto quello che è made in Italy e che è Italia. La scorsa settimana ho accompagnato un gruppo di tycoon cinesi al museo degli Uffizi. Due di loro erano già alla loro quinta visita, amanti perdutamente di Botticelli. Non si può continuare a non valorizzare l’immenso patrimonio culturale e artistico italiano. Da solo può valere molto di più dei pozzi petroliferi del Medio Oriente, se almeno questo governo riuscirà a dare il via al suo sfruttamento. (riproduzione riservata) Paolo Panerai