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 2013  giugno 08 Sabato calendario

FARMACI GRIFFATI? NO GRAZIE

In un panorama editoriale dove lo scandalo farmacologico appassiona quanto lo spionaggio (vedi Bad Pharma, del giornalista Ben Goldacre, in italiano Effetti collaterali, Mondadori), va detto che Médicament génériques. La grande arnaque (Ed. du Moment), di Sauveur Boukris, polemico medico di base francese, ha il pregio di individuare un problema che tocca l’Italia in modo particolare: la prescrizione di farmaci "generici", appunto, o meglio equivalenti, come preferisce chi teme la deriva "sciatta" della traduzione da generic. Puntualizza SilvioGarattini, fondatore e direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: "Parlare di "farmaci generici" è equivoco, dà un’impressione di per sé negativa. Come tutto ciò che è generico. È giusto dire "farmaci dal nome generico", cioè che utilizzano un nome generico, stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, anziché chimico (troppo complicato) o di fantasia (di proprietà industriale). Del resto all’Università i futuri medici imparano la farmacologia attraverso i nomi generici, non certo quelli di fantasia". Insomma, studiano gli effetti dell’acido acetilsalicilico, non dell’acido 2-acetossibenzoico o dell’Aspirina. Ma comunque lo si voglia chiamare, un farmaco generico è la "copia" di un cosiddetto medicinale griffato (torniamo all’Aspirina, della Bayer), inteso come suo prodotto di riferimento. Deve rispondere a certi requisiti: medesimo principio attivo, cioè stessa sostanza terapeutica; principio attivo non più protetto dal brevetto (l’esclusiva sul mercato "rimborsa" per un certo numero di anni le spese sostenute da un’industria per inventare e testare un medicinale); analoga forma di somministrazione (le capsule devono "copiare" le capsule... ); stesso dosaggio unitario; bioequivalenza al medicinale di riferimento (cioè capacità di rilasciare, con stessa modalità, frequenza, concentrazione, lo stesso principio attivo). E costo almeno del 20% più basso rispetto al farmaco di marca: con questo arriviamo al cuore del business, e di un concentrato di interessi contrapposti. I generici, che noi italiani conosciamo da fine anni 90, circa 30 di ritardo rispetto a Europa e Usa, sono tornati alla ribalta con la gestazione del Decreto Balduzzi e la spending review del Governo Monti. In sintesi, al medico curante è data la facoltà di scrivere sulla ricetta il solo principio attivo, sempre che il paziente manifesti una malattia nuova, o per la prima volta una patologia cronica, o un nuovo episodio di patologia non cronica. Altrimenti, se indica un farmaco "griffato", deve motivare la ragione. Il farmacista, tenuto a consigliare al paziente il generico che ha il prezzo più basso, è vincolato a seguire la ricetta. E il paziente, se riceve il medicinale più costoso, a pagare la differenza tra generico e griffato. Apriti cielo. Perché se, da un lato, la legge si prende a cuore la diffidenza dell’anziano nazionale, abituato a prendere da anni una pastiglia di un determinato colore, estratta da una confezione fatta così e con scritto un nome così (oddio, la pillola generica non fa effetto, non si scioglie, non si spezza... ), dall’altro sul tema si sono scontrati gli interessi di Confindustria, Uil, Federazione italiana medici di medicina generale, Farmindustria, contrapposti a quelli di AssoGenerici, Adusbef, Federconsumatori. Rimpallate accuse di demagogia antindustriale, presunto e non reale risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale, lobbysmo... Garattini taglia corto: "Il Decreto Balduzzi ha soprattutto un valore culturale, e cioè spinge a prescrivere i farmaci col nome che identifica il principio attivo, e non col nome di fantasia utilizzato per propaganda e pubblicità. E difende il potere d’acquisto dei cittadini: non si vede perché il medico debba prescrivere un farmaco obbligando il paziente a pagare la differenza, non giustificata dalla diversa qualità del prodotto". E su una posizione dialogante Enrique Häusermann, presidente di AssoGenerici: "Risparmio per lo Stato? Ogni italiano spende 10 euro all’anno per l’acquisto di medicine griffate, il che fa un totale di 600 milioni di euro. Pensiamo alla molecola dell’atorvastatina, uscita dal brevetto Pfizer nel 2011, uno dei farmaci contro l’ipercolesterolomia più di successo, noto coi nomi di Torvast, Lipitor, Totalip), solo per la quale si spendono circa 400 milioni di euro all’anno: coi generici, il suo costo si abbassa del 70% e il risparmio è sui 280 milioni". Detto questo, torniamo alla "grande arnaque", la grande fregatura, evocata dal dottor Boukris. Il medico, protagonista di un dossier sul settimanale L’Express, spara proprio sui generici: non sono affatto farmaci equivalenti, perché, fatto salvo il principio attivo, gli eccipienti possono comportare disturbi, irritazioni, allergie; la bioequivalenza non garantisce l’equivalenza terapeutica, soprattutto se si operano sostituzioni di un generico con l’altro; non sono indicati nel caso di patologie che richiedono aggiustamenti personalizzati, diabete, ipertensione, epilessia, ipotiroidismo; non sono efficaci come i farmaci di riferimento, perché è ammesso un intervallo di bioequivalenza tra -20% e +20%; gli ingredienti di base che entrano nella composizione del loro principio attivo sono fabbricati in India, Cina, Brasile, almeno per l’80% e tale dispersione planetaria non rassicura... E poi le conseguenze sul tempo lungo: così le case farmaceutiche non avrebbero interesse a fare ricerca (i farmaci innovativi diventano generici nel giro di qualche anno), ma semmai a tener bassi i prezzi delle loro molecole griffate per non ingolosire i produttori di generici. Replica Garattini: "Ci sono autorità, l’Aifa a livello nazionale e l’Ema a livello europeo, che certificano l’equivalenza. È chiaro che i risparmi serviranno per sostenere la spesa dei farmaci innovativi, purtroppo pochi". Aggiunge Häusermann: "I generici sono già usati con successo da diabetici e pazienti affetti da patologie cardiologiche, mentre non mi risultano generici per i disturbi della tiroide. E quanto all’epilessia, in Italia l’Aifa ha comunque sancito la non sostituibilità del farmaco, senza aggravio per il paziente". E le critiche sulla produzione nel Terzo Mondo? "Il 50% dei generici commercializzati in Italia sono in realtà prodotti in Italia e il resto in Europa. Si sale al 100% per tranquillanti e antibiotici. Le 50 aziende di AssoGenerici danno lavoro a 10 mila italiani e affidano il 60% della produzione a contoterzisti italiani". Intanto, scade il brevetto Pfizer del sildenafil citrato, ovvero del Viagra: 2 miliardi di dollari all’anno di giro d’affari. Sarà il prossimo generico al centro dello scontro.