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 2013  giugno 09 Domenica calendario

DELVAUX GIOCAVA CON I TRENI

La donna di Paul Delvaux (1897-1994)? «La risultante emblematica che si impone nelle sue tele è un’immagine femminile dal corpo infuso di mistero, diafano e spettrale nella sua nudità quasi fosforescente. Un codice di posture manierate rende astratta la loro presenza, sospesa in un rigoroso linguaggio di sottrazione, in una condotta di verità simbolica, quasi asettici exempla veritatis, criptogrammi di una vita vagamente metafisica, certamente proiezioni dell’impegnativa figura materna. Il luogo è l’altrove, il tempo è il futuro anteriore». E l’autore delle citazioni non è — come sarebbe potuto sembrare — Achille Bonito Oliva.
Se siete abbastanza curiosi, andate a leggere le pagine 18 e 19 del catalogo (Silvana editoriale) che accompagna la mostra dell’artista belga alla Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo e, poi, magari, con il libro in mano, uscite in strada e fermate qualche passante per chiedergli di spiegarvi la spiegazione.
Il titolo dell’esposizione, Delvaux e il Surrealismo, riecheggia Il Surrealismo di Delvaux, che, nel 2005, si tenne alla Fondazione Bricherasio. Entrambe con corollario di lavori di De Chirico, Magritte, Ernst, Man Ray a Mamiano di Traversetolo; Magritte, Permeke e Spilliaert a Torino. Con una differenza: in Piemonte erano esposti olii e qualche acquerello; nel Parmense, invece, ci sono anche alcuni libri d’artista illustrati da Delvaux (Appuntamento in chiesa di Franz Hellens), Magritte (I canti di Maldoror di Lautréamont), De Chirico (Mitologia di Cocteau e Calligrammi di Apollinaire), quasi tutti proprietà di collezionisti di Parma e Busseto.
I lavori esposti vanno dal 1920 al 1975. Paesaggi, marine e, soprattutto, locomotive, stazioni: immagini figurative che registrano la vita delle grandi stazioni. Tema, questo, che Delvaux riprenderà negli anni Trenta-Settanta, arricchendolo però con figure femminili dal sapore surrealista.
I treni lo avevano affascinato sin da ragazzino. Partenze, ritorni. Il suo più grande desiderio? Diventare capostazione. Lo diventerà nel 1984, a 87 anni: capostazione onorario di Louvain-la-Neuve.

Treni e stazioni popolano i suoi sogni di piccolo avventuriero. Mondi lontani dalla casa di Bruxelles dell’avvocato Jean-Marie Delvaux e della moglie, il soprano Lauree Jamotte, che l’addormentava cantandogli la ninna nanna di Brahms. Man mano che diventa più grande, i sogni di Paul spaziano su archeologie surreali con donne-dee e donne-enigmi che egli situa su divani, su scenari di città antiche e moderne.
Nude, seminude, vestite, talvolta assomigliano ai manichini dei negozi di moda, rispondono all’iconografia tradizionale delle Muse. Ma delle donne, Delvaux ama soprattutto l’enigmaticità. Ne è quasi ossessionato.
Probabilmente, la stessa Jamotte che, di sera, lo faceva addormentare con Brahms, di giorno lo sottoponeva a un bombardamento educativo teso a reprimere i desideri sessuali — considerati peccaminosi — del suo ragazzo.
Quando, nel 1932, la madre muore, Paul sembra rivivere. Tuttavia, quando dipinge, rappresenta donne algide. Che, anche quando sono completamente nude (Le amazzoni, 1933; Il sogno, 1935; Paesaggio antico o La città; Le cortigiane, entrambi del ’44; Il dialogo, 1974), non hanno alcunché di sensuale, di conturbante.
E non si capisce come, nella Biennale del 1954, l’allora patriarca di Venezia, Angelo Maria Roncalli (poi papa Giovanni XXIII), abbia potuto proibire a preti e seminaristi di andare a vedere i quadri di Delvaux, per evitare di rimanere turbati. La qual cosa fa il paio con l’altra storia veneziana in cui si racconta come, in occasione della festa del Redentore, quando il patriarca attraversa in gondola il Canal Grande, all’altezza di Ca’ Venier dei Leoni, sede della Collezione Guggenheim, al cavaliere (con cavallo) di Marino Marini venga svitato il sesso per riavvitarglielo a benedizione finita.
Paesaggi (Boitsfort, 1925; Spiaggia di St. Idesbad, 1945), treni (La stazione, 1921), donne, s’è detto. Ma anche scheletri. Anche questi capaci di generare una vera e propria ossessione nell’artista. Sorta, naturalmente, nell’infanzia. Nella scuola frequentata da Delvaux, spiega Paola Campolongo, il corso di musica veniva tenuto nell’aula di scienze. «Appena entrati — ricorderà il pittore — si scorgevano, sui muri rossi di fondo, due gabbie nere che racchiudevano gli scheletri ghignanti, vicino allo scorticato. Si trattava, per il bambino che ero, di una visione spaventosa che temevo più di qualsiasi cosa».
Qualche decennio dopo, Paul si libererà inconsciamente di essi, riproducendoli: mentre danzano o duellano; assieme a una donna; distesi sul divanetto di un bar; facendoli diventare i personaggi d’una Crocefissione, con il Redentore al centro, i due ladroni ai lati e, in basso, uomini e donne in pianto.
Traduzioni di sogni, di incubi, allegorie. Una definizione? Surrealista è stato suggerito da tanti, anche se Delvaux ha sempre negato di esserlo. Certo non un intruppato; piuttosto un artista che con il Surrealismo ha convissuto respirandone il profumo. Che questo, come tutto il resto, abbia avuto una grande incidenza su di lui, è innegabile. Checché ne dica lo stesso interessato.
Sebastiano Grasso