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 2013  giugno 09 Domenica calendario

UN BATTERIO PER AMICO

«Nel nostro intestino c’è una foresta amazzonica da salvare»: dobbiamo cambiare stile di vita se vogliamo evitare che la strage indiscriminata dei batteri che vivono nel nostro organismo condotta in tutti i Paesi occidentali, e soprattutto negli Stati Uniti, ci esponga sempre più ad allergie, malattie autoimmuni e cardiovascolari, obesità, diabete. Parola di Michael Pollan, l’ambientalista pragmatico e «crociato» di un’alimentazione responsabile, che coi suoi libri, dal Dilemma dell’onnivoro (Adelphi) al recentissimo Cooked (The Penguin Press), ha denunciato l’impatto sulla nostra salute dei processi industriali di trasformazione del cibo. Un attivista accolto nelle librerie d’America come una rockstar, che invita una nazione ormai abituata a vivere di fast food e che in cucina usa solo il forno a microonde, a mettersi ai fornelli e a ridarsi una cultura dell’alimentazione.
Febbrile e infaticabile, Pollan si è già tuffato in un’altra battaglia, mettendo stavolta nel mirino i germi che vivono nel nostro corpo. Alcuni di loro, quelli maligni, sono da combattere, lo sappiamo. Così come sappiamo che molti di questi microrganismi che vivono nell’uomo sono nostri amici. Tanto che dopo una cura antibiotica il medico tende a prescrivere terapie per ripristinare la flora batterica.
Ma oggi la questione si ripropone con molta più forza e in termini in parte nuovi per almeno due motivi: l’emergenza dei superbatteri, divenuti ormai resistenti agli antibiotici che abbiamo usato in modo massiccio e spesso sconsiderato per parecchi decenni, e lo sviluppo della tecnologia della mappatura del genoma, che ormai consente di avere un’immagine completa del patrimonio genetico dei soggetti analizzati. Una tecnica che ora comincia a essere applicata anche al microbioma, il nostro patrimonio batterico.
È una scienza nuova, che sta muovendo i primi passi. I microbiologi e gli altri analisti che lavorano nei laboratori sparsi in tutti gli Stati Uniti studiano molto e parlano poco: sono consapevoli della complessità della materia e del rischio di suscitare illusioni. È avvenuto con la mappatura del genoma, presentata qualche anno fa come la chiave per combattere malattie tremende, l’Alzheimer per esempio, per le quali, invece, non abbiamo ancora trovato alcun trattamento efficace.
I numeri rendono l’idea delle difficoltà affrontate dagli scienziati, ma per il profano sono poco più di una curiosità: nel corpo umano vivono 100 mila miliardi di batteri (non è un errore, avete letto bene), solo il 10 per cento dei quali ha un’origine umana. Molte cose sono ormai abbastanza chiare: i popoli dell’Africa o del Sud America che vivono soprattutto di agricoltura, in condizioni igieniche precarie e con una dieta ricca di fibre e quasi priva di carni, sono più esposti a infezioni potenzialmente mortali, hanno aspettative di vita più brevi, ma sono anche assai meno soggetti alle allergie e, soprattutto, alle malattie del sistema immunitario che, invece, nell’Occidente «sterilizzato» colpiscono ormai almeno 50 milioni di persone.
Il giornalista scientifico Moises Velasquez-Manoff ha dedicato un intero saggio, An Epidemic of Absence (Scribner), allo studio di questo fenomeno arrivando alla conclusione che le malattie autoimmuni e le altre con componenti allergiche (dal lupus all’asma, fino al morbo di Crohn) colpiscono ormai un americano su cinque: percentuali mai viste prima.
Fenomeni legati all’uso, e spesso all’abuso, di antibiotici: quelli prescritti dai medici per combattere qualche patologia (ogni ragazzo americano riceve 20 cicli di antibiotici tra i 10 e i 18 anni) e quelli assorbiti consumando carne trattata con antibiotici dall’industria della trasformazione. Antibiotici che negli Usa spesso sono presenti perfino nell’acqua potabile. Di alcuni problemi, di certi squilibri provocati dalla diffusione dell’alimentazione industriale, ci si comincia a rendere conto solo oggi. Ad esempio della scarsa utilizzazione della parte inferiore dell’intestino da parte delle persone che mangiano molti cibi processati dalle industrie. Anche quando l’obiettivo è in apparenza condivisibile, come quello di facilitare e accelerare l’assimilazione, ci sono, poi, conseguenze perché uno dei risultati è quello di lasciare disoccupata la seconda parte dell’intestino.
Ma il problema più grosso, oggi, è quello dei superbugs: superbatteri resistenti agli antibiotici tradizionali come, o anche più, dello stafilococco che ha rischiato di uccidere Vasco Rossi. L’allarme per i germi patogeni come il «C. difficile» che hanno imparato a difendersi dai farmaci e che uccidono ogni anno 14 mila americani è ormai talmente alto che governo, industrie farmaceutiche ed esperti sono orientati ad autorizzare, almeno nei casi più gravi, il trattamento dei pazienti con nuovi superantibiotici ancora in fase di sperimentazione. Una richiesta sicuramente comprensibile, dal punto di vista di chi non ha altre armi per combattere la sua malattia, ma questa continua rincorsa lascia sul campo batteri sempre più resistenti che ormai la fanno da padroni soprattutto negli ospedali: i luoghi più asettici sono anche quelli dai quali il 30 per cento dei pazienti Usa se ne viene ormai via, dopo una degenza, con qualche infezione più o meno grave.

Un universo affascinante e spaventoso al tempo stesso che Pollan ha deciso di esplorare con un viaggio attraverso i centri di ricerca e sottoponendosi in quello forse più avanzato, il Biofrontiers Institute della University of Colorado a Boulder, alla sequenza del suo microbioma: l’esame, cioè, come ha raccontato lui stesso in un saggio pubblicato dal magazine del «New York Times», non dei suoi geni umani ma di «centinaia di microbi che condividono con me il mio corpo», prelevati a campione tra quelli depositati sulla pelle, sulla lingua e quelli che vivono nell’intestino. Un viaggio nel quale lo scienziato-divulgatore si è addentrato nella diversità del patrimonio batterico dei diversi popoli: ha imparato, ad esempio, che i giapponesi hanno un batterio — assente nell’intestino degli occidentali — che consente loro di digerire le alghe. E ha cominciato a capire quanto gli squilibri microbici possano influenzare il metabolismo (e quindi lo sviluppo di patologie come il diabete, le malattie cardiovascolari e la stessa obesità) vedendo dimagrire i topi obesi nei quali sono state trapiantate le colonie batteriche di topi assai più magri.
Pollan è, però, rimasto colpito dalla scarsa disponibilità degli scienziati a trasformare i risultati delle loro ricerche in prescrizioni per la vita di tutti i giorni. Spiegano tutti che c’è ancora molta strada da percorrere prima di arrivare a certezze definitive. Ma alla fine, osservando bene il loro comportamento, il loro stile di vita, l’esploratore del corpo umano qualche idea se l’è fatta: «A differenza del genoma dell’uomo, che è la nostra identità permanente, il patrimonio batterico è qualcosa che possiamo cambiare: un giardino che è dentro noi stessi e che possiamo coltivare, sapendo che la sua cura è importante per le nostre condizioni di salute. La maggior parte delle persone che ho incontrato nel mio viaggio cerca di modificare le colonie dei germi delle loro famiglie riducendo ai casi più gravi la somministrazione di antibiotici ai figli, lasciandoli giocare anche in luoghi piuttosto sporchi e con gli animali, disinfettando assai meno la loro abitazione. Quanto all’alimentazione, c’è un maggiore ricorso alle sostanze fermentate — dallo yogurt ai crauti —, mentre viene ridotto, per quanto possibile, il consumo di cibi processati, poveri di fibre e con molti additivi: mi ha colpito vedere la profonda diffidenza di questi ricercatori nei confronti anche di sostanze molto comuni e che io non avevo mai considerato un pericolo come gli emulsionanti e il polisorbato».
In anni in cui la crisi economica globale e il fallimento dei tentativi di raggiungere intese planetarie hanno fatto passare in secondo piano la battaglia per la tutela dell’ambiente, Pollan propone una sorta di nuova ecologia: una battaglia per la biodiversità da trasferire anche all’interno del nostro corpo.
Massimo Gaggi