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 2013  giugno 09 Domenica calendario

GLI SCOOP AMERICANI DEI GIORNALI INGLESI METTONO IN CRISI UN MODELLO DA PRIMATO

Il «new kid on the block» del giornalismo investigativo americano è... inglese. È stato infatti The Guardian, la storica testata che iniziò le pubblicazioni a Manchester nel 1821, in piena Rivoluzione industriale, a tirar fuori per primo la storia della massiccia operazione di raccolta delle comunicazioni telefoniche di milioni di cittadini, messa in atto dalla National Security Agency su ordine del governo di Washington, nel quadro delle operazioni anti-terrorismo.
È stata una lezione d’u- miltà per i giornali americani, che all’inizio del XX secolo con i muckrakers, gli scavatori del fango, regalarono alla comunità mediatica il «precision journalism», fatto di inchieste devastanti e puntuali sulla corruzione e gli abusi di potere e rimasto da allora il loro marchio di fabbrica e un modello per tutti.
«Con questo scoop, il Guardian ha battuto gli americani nel loro cortile di casa», ha sentenziato Roy Greensdale, esperto mediatico inglese, secondo il quale ora il quotidiano britannico è ben avviato per diventare un serio contendente sulla scena americana. È da due anni in verità che la testata londinese investe sulla piazza statunitense, con un’edizione digitale in continua crescita, che attualmente conta 57 dipendenti, 30 dei quali giornalisti a tempo pieno. È un’ambiziosa sfida globale, che punta ad aggirare il problema della diminuita circolazione cartacea e dei ricavi in calo (l’accesso al sito del Guardian sul web è ancora completamente gratuito) con il conseguimento di una posizione di leadership mondiale nel campo del giornalismo d’indagine.
Non è detto che la scommessa riesca. Ma lo scoop delle intercettazioni ha messo in allarme i grandi giornali americani, che per la prima volta vedono il loro primato, se non minacciato, messo in discussione. Tanto più che non era la prima volta: in gennaio infatti fu il corrispondente da Washington del londinese Times, Nico Hines, a rivelare che alla seconda inaugurazione del presidente Obama, Beyoncé aveva cantato l’inno nazionale in playback. Costringendola a scusarsi.
Paolo Valentino