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 2013  giugno 09 Domenica calendario

GIOCO E COLLEZIONO, DUNQUE SONO

Al 68 di Augustraße di Berlino, la strada più di moda della Mitte artistica, a fianco dello storico e indipendente centro per l’arte Kunst Werke, spicca una bandiera che della sobrietà degli addetti ai lavori berlinesi non ha nulla. Lo stemma è un “ME” vistoso rosso su sfondo bianco che attira anche coloro che dei templi dell’arte contemporanea raramente osano varcare la soglia: i turisti. Si tratta della “Me Collector’s Room”, 1.300 mq su due piani espositivi costruiti nel 2010 per la collezione di Thomas Olbricht, ex endocrinologo di Essen ed ex presidente della Wella, l’azienda di famiglia venduta nel 2003 alla Procter & Gamble per una fortuna. 63 anni, un’infanzia dedita a collezionare francobolli, dagli anni ’90 a oggi Olbricht ha costituito una delle più grandi collezioni d’Europa, con 3000 opere e 250 artisti fra cui, oltre ai classici tedeschi come Sigmar Polke o Gerhard Richter, il gotha necessario per essere annoverati fra le collezioni milionarie internazionali: Damien Hirst, Cindy Shermann, Jake e Dinos Chapman, Elmgreen & Dragset, Maurizio Cattelan, o Ai Wei.
CABINET DE CURIOSITÉ
Temi della collezione, la morte e il gioco: la morte, perché, afferma Olbricht «sin dall’antichità la caducità di ogni impresa terrena è una questione centrale nella vita dell’uomo. E, come medico, mi sono spesso confrontato al nostro destino mortale». Il gioco invece, è inteso come invenzione di un universo artificiale regolato e inattaccabile. Due concetti chiave che hanno spinto Olbricht ad aprire nella “Me Collectors Room” un cabinet de curiosité, la Wunderkammer con 200 oggetti dal Rinascimento al Barocco sul modello delle Wunderkammer tedesche storiche, prima fra tutte quella di metà ’500 dell’Elettore del Brandeburgo Joachim II.
Fra gli oggetti esposti, il rarissimo calice seicentesco appartenuto ad Alexander von Humboldt, con una noce di cocco come contenitore con incisioni di cannibali brasiliani, commissionato nel ’600 dal fu governatore della colonia brasiliana della Nuova Olanda, Johann Moritz di Nassau-Siegen. E poi vanitas, mirabilia, memento mori ed animalia, come un coccodrillo del Nilo di 5 metri. Affascinato da questi mondi in miniatura incapsulati sotto vetro, com’è d’altra parte lo stesso laboratorio clinico - bolle preservate impermeabili all’esterno – Olbricht si è costruito il suo: la “Me Collectors Room” racchiude sia opere d’arte antica e
contemporanea sia oggetti personali, come le automobiline che il medico colleziona da quando un paziente gli regalò una piccola ambulanza.
I DOPPI SENSI
Per Olbricht difatti, il collezionare - ordinare per gruppi e categorie - è il primo gioco infantile, tanto che la mostra “Play – The Frivolous and the Serious” (fino al 25 agosto) è incentrata proprio sul gioco, quale strumento essenziale per apprendere a relazionarsi, scongiurare la paura e incanalare l’istinto di sopraffazione. Così il caos assume un senso nell’universo di Alice nel Paese delle Meraviglie, una direzione, nel tiro al bersaglio, strategie, nel gioco degli scacchi, ruoli, nel giocare con pupazzi o a soldatini, indicandoci il miglior comportamento da mettere in atto secondo riti, penitenze e premi, come l’opera Applause, posta all’uscita della mostra. Collezionare per apprendere ad appropriarsi del mondo dunque, per poi magari piantarci su una bandiera con un assertivo “ME”, anziché l’infantile e precario «ce l’ho, mi manca». Benché, assicura Olbricht, il ME stia solo per ’Moving Energies’. Ma si sa, forgiare doppi sensi è anche questo un gioco, e dei più sottili.