Stefano Lepri, La Stampa 9/6/2013, 9 giugno 2013
CONTI PUBBLICI, ATTENZIONE A RINVIARE TROPPO
A forza di rinvii, rischiamo una estate poco tranquilla. Pare ora possibile che l’aumento dell’Iva slitti a dicembre, dopo il rinvio dell’Imu per la quale comunque si è promesso di decidere entro agosto. Ma i conti dello Stato non vanno bene, mentre diversi fattori internazionali spingono al rialzo gli interessi sul nostro debito pubblico, 40 centesimi di punto nell’ultimo mese.
Appare azzardato illudersi che ci sarà tempo per aggiustare le cose, magari dopo le elezioni di settembre in Germania. Al contrario la diffidenza verso di noi non può che crescere, se appena chiusa la procedura Ue di deficit eccessivo contro l’Italia, già alcuni analisti finanziari stimano che a fine 2013 il deficit possa tornare sopra il 3% di nuovo.
Una fase di calma sui mercati, dovuta soprattutto alle misure espansive del Giappone, ha permesso ripetuti giochi al rialzo dentro questa litigiosa maggioranza. Intanto le nostre imprese continuavano a soffrire (le grandi aziende pagano in media il 2,9% di interesse contro l’1,8% delle tedesche, per le piccole il divario è ancora più ampio); e un sollievo significativo non si intravede.
Sta ferma la Banca centrale europea, paralizzata da una opposizione interna della Bundesbank più forte che mai. Può aggravare la situazione un altro rinvio che matura sotto la pressione delle lobby bancarie tedesche e anche francesi: tempi più lunghi e struttura lacunosa per l’unione bancaria, indispensabile a riportare credito nei Paesi deboli. Finché durano le presenti tensioni le banche tedesche si rafforzano, quelle italiane e spagnole si indeboliscono.
Il presidente del Consiglio sa, e ha ripetuto ieri, che passi avanti in quel campo sono cruciali. Un mercato normale, con banche operanti in modo omogeneo a cavallo dei confini, spingerebbe i capitali a fluire verso i Paesi dove i tassi sono più alti, come il nostro, abbassandoli. Irrigidimenti o rotture che rimettessero in causa il futuro dell’euro farebbero il gioco altrui.
Guai se la fiducia nell’Italia tornasse a calare. Finora il dibattito politico si è concentrato su misure di presunto effetto elettorale ma di dubbia efficacia economica, mentre nei loro uffici i ministri si sforzavano di dedicarsi a progetti più validi. Da martedì, chiuse le urne del voto amministrativo, sarebbe bene rimettere insieme i pezzi.
Soldi non ce ne sono. Se si riuscirà a evitare l’aumento Iva grazie a tagli di spesa, meglio così, senza illudersi troppo: anche i tagli di spesa, quando sono veri, hanno un effetto recessivo. Di margini per scegliere l’Italia ne ha pochi, ma non è l’euro a restringerli; è il peso del malgoverno passato, fisicamente espresso dalla mole del debito pubblico accumulata negli anni.
All’interno dell’area euro vediamo piuttosto una asimmetria politica che va capita nei suoi veri termini. All’impopolarità crescente di intere classi politiche nazionali fa riscontro in Germania un forte consenso per scelte vantaggiose più a una minoranza (con crescenti squilibri nella distribuzione delle ricchezze) che alla massa dei tedeschi stessi.
Mentre i nostri politici difficilmente possono formulare promesse che non suonino false, le promesse della campagna elettorale tedesca (i 20-30 miliardi del programma di Angela Merkel) sarebbero realizzabili con beneficio anche nostro. Solo l’unità politica può ristabilire un equilibrio tra il valore del voto qui e lì. Gioverebbe anche alla Germania, dove alcuni profittano del prolungarsi della crisi, ma una catastrofe dell’euro danneggerebbe tutti.