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 2013  giugno 09 Domenica calendario

GIULIANO SANGIORGI

Solo proteine. Tartare e frittata. Giuliano Sangiorgi si prepara alla maratona estiva con i Negramaro. Salentino, trentaquattro anni. "Sto invecchiando, faccio il fico immobile davanti al microfono", dice, "poi inevitabilmente scatta la molla e comincia la danza. E allora la preparazione è tutto". È già tonico, t-shirt attillata, jeans a vita bassa, tanti anelli e tanti bracciali. Entusiasta del doppio cd Una storia semplice (hit, brani inediti, rarità) e del suo esordio come scrittore. Lo spacciatore di carne, pubblicato l’autunno scorso da Einaudi, è un bestseller. "Mi godo l’euforia del passaparola, che sta ancora funzionando mesi dopo. Pare che un libro abbia una vita più lunga di un disco. Anche se i Negramaro non sono di quelli che scompaiono in fretta dalle classifiche, abbiamo resistito anche fino a cento settimane". Disciplinato in tutto, tranne che nella musica e nella scrittura. "Con quelle ho un approccio tutto mio. Ho imparato a scrivere esattamente come ho imparato a cantare: facendo di necessità virtù. Magari qualcuno dirà che voglio essere al centro dell’attenzione. Il dubbio c’è sempre, anche dentro di me. A volte penso di essere qui solo per un eccesso di ego".

Quando capirono che si perdeva dietro ai suoni, i genitori avrebbero voluto iscriverlo al conservatorio. Rifiutò. "Se avessi dovuto affrontare la musica come un lavoro o un corso di studi l’avrei odiata. Era uno sfogo personale, mi ha permesso di non pretendere troppo da me stesso; grazie alle canzoni ho imparato a conoscermi. È una seduta di psicoanalisi che non finisce mai. Non potrei considerarla un impegno, anche quando "lavoriamo" settanta ore al giorno". In dieci anni ha avuto tanto, il massimo, quasi tutto quel che un artista può desiderare in questa piccola Italia ("Adorabile paese, anche adesso che indossa il sorriso triste del pagliaccio").

Come band leader e come autore tra i più riveriti del pop nostrano, ha collaborato con Dolores O’Riordan, Malika Ayane, Elisa, Baglioni, Patty Pravo, Celentano, Battiato, Bocelli, Jovanotti. E anche con Mina. Eppure non ha mai pensato di mollare i Negramaro per mettersi in proprio. Come solista, si sentirebbe uno sbandato. "Siamo sempre stati sei in questa favola da raccontare. Viviamo la musica allo stesso modo. Ogni incontro assomiglia a una seduta degli alcolisti anonimi. Io lì a declinare la mia voglia d’amare e di essere libero; la paura di abituarmi all’amore e la voglia di innamorarmi sempre. È questa l’inquietudine che combina più guai. L’amore è bellissimo, ma quando è troppo sereno incomincio a scalpitare. L’ho capito dopo aver inciso Quel posto che non c’è. Non volevo neanche metterla nel disco, mi convinsero i ragazzi del Solis Quartet".

Spiega: "Sono su Skype, litigo con una persona cara, cerco di mettere in chiaro delle cose, non ci riesco. Mi chiamano per andare in studio, a quel punto l’unico brano che mi sento di cantare è Quel posto che non c’è. Lo registro di getto col quartetto che mi segue, finisco e non mi rendo conto che è pronto in un take. Lo riascolto e crollo. Sono le parole che poco prima avrei voluto dire a lei. Le canzoni arrivano in maniera misteriosa, come se non ti appartenessero. A volte è persino un po’ fastidioso sentirsi un medium. Non mi piace spiegarle, se mi costringono a farlo dico sempre le solite tre parole: fisiologico, necessario, urgente. È come se mi chiedessero: come fai a respirare? L’arte è un fantastico stato d’incoscienza. L’ispirazione è devastante, mi lascia ammutolito per giorni. È destabilizzante e allo stesso tempo gratificante, un momento che vale centomila amori con centomila donne. Un’esplosione, divento pazzo, faccio festa. Anche se è una canzone malinconica, sentirla sulla pelle mi riempie di gioia. Se accade in tour, vorrei interrompere tutto, abbandonare il palcoscenico".

Safari, la canzone poi incisa da Jovanotti, gli è venuta di notte. "Non riesco a dormire. Cominciano a martellarmi in testa le parole: Assaggio la morte di notte ogni volta che passa. Devo alzarmi per non perderla, ma non voglio svegliare chi mi dorme accanto. Mi alzo alle sei per mettere su carta "quella cosa" che ormai si è scritta nel mio cervello". Quello stesso giorno Lorenzo gli chiede una canzone, qualcosa che abbia a che fare con la "giungla notturna". Giuliano gli gira il foglio, parole scritte con la matita del trucco. "Un caso? A ripensarci ancora oggi ho i brividi. L’ispirazione è indefinibile e inafferrabile, non sai come e quando arriva, e soprattutto se sei pronto ad accoglierla".

Ma a differenza dei cantautori che venera - Modugno, Tenco, De Andrè, Lauzi - non riuscirebbe a mettere in musica le sue visioni senza la complicità della band. "Abbiamo sempre vissuto insieme, la comune a Parma, la masseria nel Salento, le case a San Francisco e in Canada. Ancora adesso ricreiamo il clima degli esordi, non ci diamo appuntamento tre ore in sala prove e poi ognuno per la sua strada. Quando lavoriamo a un disco viviamo insieme, soprattutto la notte, si fa l’alba a parlare, discutere, mettere i sogni sul tavolo. Questo ci ha permesso di essere molto giudiziosi rispetto a tutto quello che ci stava succedendo. Se in questi anni fossi stato da solo, sarei stato un’altra persona, avrei ammortizzato diversamente il colpo. Invece crescere con gli amici, ritrovarsi adulti e cambiati è fantastico. Ognuno è la spia luminosa dell’altro. A volte basta una frase in dialetto a ricordarci chi siamo, dove siamo, da dove veniamo. Niente drammi alla U2, finora. Senza di loro non riuscirei a vincere la nausea che mi capita di provare nei confronti di me stesso. Quando mi ritrovo a pensare: se togliessero la mia voce che dischi meravigliosi farebbero i Negramaro! Oppure: dovremmo cercare un nuovo cantante; io, se avrò ancora l’ispirazione, continuerò a comporre. Quando scrissi Essenza, la prima canzone, non pensavo di cantarla, ero chitarrista, cercavamo una voce adatta. Sono stati loro a darmi questa responsabilità. L’ho fatto per urgenza, senza chiedermi se lo facessi bene o male. Oggi ci affanniamo in produzioni di lusso, suoni artificiali, ma la verità è che una melodia resta quando ti assale, ti lascia senza parole, ti stende, che sia My Way o Cucurrucucu paloma. L’ho chiaro in mente da quando spendevo in 45 giri 3700 lire a settimana. Non vado più a cercare i dischi belli, mi lascio investire dalla musica".

I Negramaro festeggiano dieci anni di carriera con due concerti negli stadi: il 13 luglio al Meazza di Milano e il 16 all’Olimpico di Roma. Il trionfo dopo un breve exploit nei festival europei: 5 giugno a Varsavia e il 30 a Londra. Sangiorgi è il vincitore di una generazione in affanno. Il destino di Edo, il protagonista del suo romanzo che si spoglia dei sogni sul rapido Lecce-Bologna, prima ancora di provarci, l’ha solo sfiorato. "Siamo i figli del Grande Fratello", mormora. "Per fortuna siamo emersi dieci anni fa, altrimenti non avremmo mai fatto San Siro e l’Olimpico. Dicono che ci vuole culo per sfondare. Un presidente del consiglio presunto self made man ha educato una generazione a credere che nella vita ognuno può farcela anche senza istruzione, grazie a un varietà o a un reality. Credere ciecamente nel colpo di fortuna crea una grande solitudine; ecco cosa fanno oggi molti genitori, educano i figli alla solitudine. Io m’immaginavo negli U2, cantavo tutto Rattle and hum fingendo che la racchetta da tennis fosse il microfono, sognavo la vita on the road, il furgone. Amici, X Factor, The voice non mi appartengono, non so come si fa. So solo imbracciare una chitarra e suonare con gli amici".

Dopo la tartare ha divorato anche la frittata, coccolato dal ristoratore trasteverino che a malapena riesce a regolare il flusso di fan che lo scorgono all’interno e implorano un autografo. Prossima tappa: il vicino negozio di chitarre. Il proprietario gli mostra gli esemplari più rari e pregiati, Giuliano opta per un’acustica da battaglia da poche centinaia di euro anche se potrebbe permettersi una dozzina di Martin Golden Era Sunburst. Suona bene, anche se è made in China. Strimpella qualcosa dei Radiohead, poi Here it is di Leonard Cohen. Suo padre intuì il talento quando lo sentì suonare Smoke On the Water dei Deep Purple con degli elastici. Giuliano aveva otto anni. Il signor Gianfranco aveva intuito che suo figlio era più tagliato per il rock che per il conservatorio. Se n’è andato all’improvviso e ancora giovane a gennaio, come in una canzone di De Andrè. "La sua morte mi ha tolto la musica dentro. Ho capito un casino di cose quando mi sono reso conto che non c’era più. La prima, che tutta la musica era sua. Se faccio questo mestiere è perché, dopo gli elastici, la chitarra me la comprò davvero".