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 2013  giugno 07 Venerdì calendario

LOOK, IDEE, FACCIA TOSTA I CONSIGLI DI BONAMI AGLI ASPIRANTI CATTELAN

Tiziano mostra il suo lavoro, uno scatto ispirato agli snap­shot di Jeff Wall. Il look del ragazzo è pessimo ­«conta anche quello, può in­fluenzare critici e galleristi» ­ma l’opera è buona: «Ricca di ci­tazioni, dietro ci sono le nature morte olandesi»: la sala applau­de. Carolina, colombiana, por­ta un autoritratto: «I sudameri­cani lavorano troppo coi loro corpi, sono così egocentrici...»: di fatto, una stroncatura. Gelo. Avanti un altro. S’inizia citan­do Martin Creed, che nel 2001 vinse il Turner Prize con l’installazione The li­ghts going on and off, una stanza vuota dove la luce s’accende e si spe­gne a intermittenza, e si fi­nisce con il consiglio più semplice da dare e difficile da seguire: che l’arte è una cosa facilissima da fare - basta un oggetto, un punto di vista, un’idea, come accen­dere e spegnere la luce ­basta sapere quando far­lo, e dove. Alla Tate Galle­ry di Londra, per esem­pio. O al Pac di Milano,do­ve l’altra sera si sono acce­se le luci per un anomalo happing d’arte contemporanea, una performance interatti­va in cui il critico Francesco Bo­nami - testimone d’eccezione Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif - presentando in anteprima il suo Mamma voglio fare l’arti­sta! (Electa), vademecum per muoversi con destrezza nel mondo altrimenti infrequentabile delle mostre e dei curatori, ha incontrato, nel chiasso, le contestazioni, i bhuuuu!, le ri­sate e gli applausi, un centinaio di lettori e decine di aspiranti artisti. A loro il coraggio di mo­strare le opere, a Bonami il diritto di criticarle.
Pac, Padiglione d’arte contemporanea, ore 19: è l’arena. Al centro la star, Francesco Bo­nami, già Senior Cu­rator del Museum of Contemporary Art di Chicago, diretto­re nel 2003 della Biennale («Tutti pensano che Vene­zia sia Lourdes, con effetti miracolosi sul­la carriera di chiun­que... Invece è solo un’opportunità, che po­trete sfruttare se siete dei bravi artisti, altrimenti sarà lei a sfrut­tare voi...»), curatore di arti­star e critico della Stampa («Gli artisti sono permalosissimi. Quando guardo un’opera dico raramente “Che schifezza”, pe­rò lo penso spesso»), e tutt’in­torno, sulle sedie davanti alla cattedra, seduti sul parquet, appoggiati al basso mu­retto interno, sulle scale del soppalco, ci sono loro: gli studenti delle scuole di formazione, quelli dell’Accademi­ca, fotografi che sono qua per la­voro, altri per trovarlo, madri, figlie, artisti che credono di es­sere già arrivati, altri che vor­rebbero sapere da dove si par­te, signore di mezza età che «guardi che io ho fatto Brera, ho esposto, lei così sta solo prendendo in giro chi ama l’ar­te... Io pensavo di venire qui a sentir parlare del contemporaneo, invece che serata è questa qua?!»...
È una serata strana, la gente partecipa con il proprio sogno, accende la sua luce, anche se forse se la ritroverà spenta. Da curatori, critici, galleristi. «Il mondo dell’arte non è fatto di giustizia e democrazia. Voi sie­te al riparo nel vostro studio. Ma fuori è una giungla, e sopravvive il più forte». Dove sem­bra di capire che «essere il più forte» è qualcosa di simile al ready made: se una cosa co­mune - talento, fantasia, fortu­na, ambizione - diventa o me­no un capolavoro, dipende dal contesto. «Dipende da tanti fat­tori se un artista sfonda o me­no. Comunque per capire se lo si è o no, l’unico modo è provar­ci, l’importante è essere onesti con se stessi per ammettere quando è il caso di smettere, se non si è tagliati». E lo dice Francesco Bonami, oggi potentissi­mo critico d’arte, ieri pittore fal­lito: «Esposi persino a New York, era il 1985. Nella galleria accanto c’era una mostra di un tale che faceva conigli in accia­io inossidabile. I miei quadri si vendevano a 2500 dollari. Come le sue sculture. Oggi i miei quadri valgono zero, mentre il Rabbit di Jeff Koons è stato bat­tuto a 90 milioni».
Certo, i soldi nel mondo del­l’arte non sono tutto. «Ma contano...». Lezione d’autore per prepararsi al peggio, e ottenere il meglio, se si decide di darsi al­l’arte, la performance di Bona­mi non trascura l’ambizione («L’artista che si accontenta non ha futuro»), il rapporto col pubblico («Vogliamo riempire le mostre di arte contempora­nea, e poi non sappiamo spiegargliela»), e la differenza fra avere un’idea, cioè inventa­re la lampadina, e immaginazione, cioè mettere alla lampadina baffi e cappello (e la seconda, in arte, ser­ve molto di più). Giovan­ni, studente della «Fondazione Fotogra­fia» di Mode­na: porta un dit­tico fotografico, la statua di una Madon­na in preghiera ac­canto a una saponet­ta. «Non so perché, ma è un lavoro che mi piace. Spiegamelo tu...». «La Madonna ha le mani giunte: chi può dire se sta pregando per noi o se se ne lava le mani?». Ecco. Per realiz­zare, e capire,un’ope­ra così, non serve ave­re un’idea. Ma immagi­nazione. Si chiama arte, contemporanea. Lode del critico. Applausi del pubbli­co. Buffet. Tra poco si spe­gne la luce.