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 2013  giugno 07 Venerdì calendario

QUANDO HILLARY SPIAVA IL CAV PER VINCERE LA GUERRA DEL GAS

«Quali sono i punti di vi­sta dei funzionari del governo e di quelli dell’Eni sulle relazioni nel setto­re energi­a dell’Italia con la Rus­sia e con il pro­getto South Stream... Vi preghiamo di fornire ogni i­n­formazione sui rapporti tra i funziona­ri dell’Eni, in­cluso il presi­dente Scaroni e i componen­ti del governo, specialmente con il primo ministro Ber­lusconi e il mi­nistro degli Esteri (all’epo­ca Franco Frattini, ndr)». La pres­sante richie­sta d’informa­zioni è conte­nuta in un ca­blogramma segreto, data­to gennaio 2010, inviato all’ambascia­ta di Roma dal­la segreteria di stato Usa guidata da Hillary Clinton. La richiesta sembra quasi anticipare alcune inchie­ste giudiziarie destinate a colpi­re in periodi successivi alcune nostre importanti aziende di stato, impegnate in ambito in­ternazionale. Ovviamente è az­zardato pensare che le indagini della nostra magistratura italia­na siano state influenzate dalle informazioni raccolte dai servi­zi segreti o dal personale diplo­matico statunitense. Alla base di tutto c’è però il sospetto e l’ostilità per il rapporto perso­nale stretto da Silvio Berlusco­ni e Vladimir Putin sin dal verti­ce di Pratica di Mare del lonta­no 2002. Un rapporto dalle ine­vitabili ricadute sul fronte della guerra per l’energia e delle condutture strategiche. Un rappor­to che gli americani tengono sott’occhio fin dall’aprile 2008, quando un telex inviato dal­l’ambasciata statunitense a Ro­ma al ministero del Tesoro di Washington consiglia di far pressione su Berlusconi, da po­co rieletto, perché metta un fre­no all’alleanza tra Eni e Gaz­prom. «Bisognerebbe spingere il nuovo governo Berlusconi ad agire un po’ meno come il caval­lo scalpitante degli interessi di Gazprom... l’Eni - scrive il di­spaccio confidenziale diventa­to poi pubblico grazie a Wikile­aks ­sembra appoggiare i tenta­tivi di Gazprom di dominare le forniture energetiche dell’Eu­ropa, andando contro i tentati­vi americani, appoggiati dall’Unione Europea di diversifica­re le forniture energetiche».
Quell’informativa non incri­na certo i rapporti tra l’amministrazione Bush e il Cavaliere, chiamato di lì a due anni a un in­tervento davanti al Congresso americano su richiesta della maggioranza repubblicana. Di­ve­nta però un pesante atto d’ac­cusa quando a decidere le nuove strategie è l’amministra­zione Obama.
All’origine di quell’infor­mativa ci so­no gli incontri del 2 aprile 2008 tra il pre­sidente del­l’Eni Paolo Scaroni e Vladimir Putin nella dacia di Ogaryovo, in cui viene definito l’intervento di Gazprom in Li­bia e Algeria con l’aiuto dell’Eni e la partecipazione italiana al progetto South Stream. Quei due protocolli d’intesa diventa­no nell’era Obama un vero atto d’accusa nei confronti del go­verno Berlusconi, sospettato di favorire una manovra a tena­glia per imporre all’Europa l’egemonia energetica di Mo­sca. A far paura è soprattutto il South Stream, il progetto di gasdotto italo-russo-turco desti­nato a portare il gas del Caspio in Puglia e in Friuli Venezia Giu­lia, tagliando fuori l’Ucrai­na e passando per Turchia, Serbia e Slove­nia. Un progetto in diretta competizio­ne con il Na­bucco, il gasdotto messo in cantiere da Ue e Usa per vendere in Europa il gas dell’Azerbaijan ed evitare così qualsiasi dipendenza dal­la Russia.
In questo clima la foto di Pu­tin, Berlusconi e del premier Turco Recep Tayyp Erdogan, che firmano - il 6 agosto 2009 ­l’accordo per il passaggio delle tubature sotto il Mar Nero, si trasforma in un’au­tentica ossessio­ne per l’amministrazione Obama e per i paesi dell’Unio­ne Europea avversari di Mosca. Primi fra tutti la Francia e la Gran Bretagna. Nell’imma­ginario di quel­l’ossessione, South Stream rappresenta il piano di Berlusco­ni e Putin per stringe­re la Ue in una vera e propria ganascia energetica e ricat­tarla. Il secondo potente brac­cio di quella tenaglia immagi­naria è rappre­sentato da «Gre­enstream» e «Transmed», le due condut­ture controllate dall’Eni che portano in Europa il gas dal­la Libia e dall’Algeria. All’accerchiamento dell’Europa contri­buisce su un terzo settore an­che il North Stream, il gasdotto destinato a rifornire di gas rus­so il nord dell’Europa. Ma su quel progetto, appoggiato e vo­luto dalla Germania, nessuno fiata. South Stre­am e gli accordi Gazprom-Eni di­ventano, invece, il bersaglio preferito de­gli strali europei e americani. Bruxel­les dichiara già nel 2008 di voler sorvegliare i crescenti interessi garantiti da Eni a Gazprom nel Nord Africa. E An­dris Pielbags, al tempo commissario europeo dell’ener­gia, mette in guar­dia dalla possibi­li­tà che Eni collabori con Gaz­prom anche in Algeria. Nel lu­glio 2010 il suo successore Guen­ther Oettinger, non si fa problemi a dichia­rare che il South Stream non rientra negli interessi del­l’Europa in quanto concorren­te del Nabucco. La prima ad agi­re direttamente è Angela Me­rkel, che nel luglio 2010 vola ad Astana per chiedere al presi­dente Nursultan Nazarbayev di mettere il gas kazako a dispo­sizione del Nabucco. Da quel momento la vera tenaglia di­venta quella messa insieme da Washington e Londra da una parte e da Parigi e Berlino dal­l’altra. Una tenaglia studiata per schiacciare l’asse Roma-Mosca e annullarne gli effetti.
Il primo a sfruttare il cambio di strategia introdotto dall’amministrazione Obama è il presidente francese Nicolas Sarkozy. Sospettato e accusato di aver beneficiato di 50 milioni di euro, messigli a disposizione dal rais per la sua elezione, Sarkò si ritro­va, come gli in­glesi, incapa­ce di tessere un rapporto proficuo con Gheddafi. No­nostante il Co­lonnello ab­bia piantato la sua tenda nel cuore di Parigi assai prima che a Roma, la To­tal porta a ca­sa solo 55mila barili di petro­lio al giorno contro gli ol­tre 280mila della nostra Eni. La «tena­glia» Eni-Gaz­prom rischia di rendere inu­tili anche gli accordi per la vendita sul mercato euro­peo del gas stretti da Parigi con l’emirato del Qatar. Un emirato a cui Sarkozy fa di tutto per «regala­re» i campionati mondiali di cal­cio del 2022.
La deflagrazione delle cosid­dette primavere arabe sponsorizzate e appoggiate dal Qatar è un altro atto importante per av­vicinare le posizioni dei princi­pali avversari dell’asse Roma-Mosca-Tripoli. Il vero colpo da maestro il Qatar lo realizza in Li­bia, dove accende la rivolta manovrando gli ex al qaidisti tirati fuori dalle galere di Gheddafi grazie a una mediazione con il figlio Saif. Come è risaputo, la ri­volta di Bengasi si realizza solo grazie alla defezione di Adnan al Nwisi, un colonnello del­l’esercito libico sul libro paga del Qatar, che consegna a un gruppo jihadista un deposito di armi della città di Derna.I 70 veicoli e­ i 250 fucili razziati in quel­l’arsenale consentono qualche giorno dopo di espugnare il quartier generale di Bengasi e accendere la rivolta che porte­rà alla caduta di Gheddafi. Una caduta che Berlusconi, libero dall’immagine devastante cuci­tagli addosso dal processo Ru­by, avrebbe potuto forse evita­re. La fine del Colonnello non porta la democrazia in Libia, ma si rivela perfetta per sman­tellare gli interessi di Eni e Gaz­prom, per rendere più debole l’economia dell’Italia e aggra­vare quella crisi che porterà, alla fine del 2011, alle dimissioni del governo Berlusconi e all’avvento del governo «europeista» e «atlantista» di Mario Monti.