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 2013  giugno 08 Sabato calendario

SCALA, ORA SI RICHIA IL COMMISSARIO

Dopo Lissner, ma prima di Pereira, potrebbe arrivare alla Scala persino un commissario. Tanto per far capire subito al nuovo sovrintendente in che Paese si troverà ad operare, ieri è stata depositata la sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso del Ministero per i Beni culturali con Scala e Santa Cecilia contro la sentenza del Tar del Lazio del 7 dicembre 2012, che aveva dato ragione ai sindacati circa l’improprietà del metodo seguito nell’ottenere l’autonomia.
Nella sentenza, di circa 20 pagine, il Consiglio di Stato lamenta che la procedura seguita dalla Fondazione Scala per varare lo statuto autonomo non ha coinvolto tutti i soggetti interessati, ovvero non ha costituito un «tavolo di confronto con le diverse fondazioni ed i rappresentanti sindacali dei lavoratori». La sentenza non tocca l’autonomia ma evidenzia un vizio nella procedura. Di fatto, lo statuto è diventato inefficace e da valutare la validità degli atti del Cda. A ricorrere al Tar erano stati Cgil e Fials che lamentavano, fra altri aspetti non considerati, il «mancato coinvolgimento dei sindacati» nella stesura del regolamento. Non ci sono precedenti su questa situazione. Tutti gli attori coinvolti hanno mostrato cautela ed è difficile valutare le conseguenze della sentenza, che possono andare da un quasi nulla — incontri con i sindacati e ristesura dello statuto —, al massimo — arrivo di un commissario con decadenza del Cda e degli atti assunti (almeno dal 7 dicembre 2012, data del pronunciamento del Tar del Lazio). È il classico caso in cui un sassolino gettato in un fiume rischia di generare uno tsunami dall’altra parte del mondo.
Il ministro Massimo Bray ha dichiarato che «sta valutando le motivazioni della sentenza per assumere le decisioni conseguenti». Potrebbe decidere che il Cda della Scala continui ad operare oppure nominare un commissario ad acta per rifare lo statuto e assumere di nuovo le decisioni prese. Ovvero, sciogliere e rinominare lo stesso Cda, indicare nuovamente Pereira e riadottare — sentiti i sindacati — lo statuto. Un cammino solo formale, ma non privo di insidie. Il tutto, trapela, solo perché non si è ben formalizzato il coinvolgimento dei sindacati, che sarebbero stati sentiti anche in commissione. Lo stato d’animo che filtra dal teatro e tra i soci è di preoccupazione: «A Milano si costruisce e a Roma si distrugge», rivela un fondatore. Il timore è che i privati — tanto invocati — si possano stancare e decidano di togliere i contributi. Incassato il successo, è tuttavia difficile che i sindacati facciano saltare il banco. Punteranno ad ottenere una riscrittura a loro favore. Il sindacato è stretto tra la richiesta di autonomia da un lato e le rivendicazione degli altri lavoratori dello spettacolo di mantenere una contrattazione unitaria nazionale. Il massimo sarebbe un’autonomia non autonoma. Anche da parte loro, infatti, c’è cautela. Secondo Vittorio Angiolini, avvocato di Cgil e Fials, bisogna «rivedere il regolamento». Nel frattempo «ci dovrebbe essere un assetto transitorio. Non mi pare ci sia un problema di immediata invalidità degli atti presi, perché va presunta la buona fede».
«La decisione — osservano Giancarlo Albori e Graziano Gorla della Cgil — dimostra che avevamo ragione nel difendere il diritto dei lavoratori alla contrattazione. Siamo disponibili al confronto. In caso contrario — ricordano — il regolamento è stato dichiarato nullo con tutte le conseguenze del caso».
Pierluigi Panza