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 2013  giugno 06 Giovedì calendario

GARANTISTI CON TUTTI MA NON CON L’ILVA

L’Ilva, la fabbrica che produce acciaio con base a Taranto, è un caso perfetto per raccontare l’atteggiamento schizofrenico che abbiamo nei confronti del garantismo. Lo invochiamo in ogni dove, ma pensia­mo di applicarlo solo ai nostri amici. Fino a questo momento non c’è una, che sia una, sentenza che de­creti gli effetti inquinanti del complesso industria­le. Non c’è una sentenza che certifichi le colpe dei suoi proprietari e dei suoi manager. Non c’è una sen­tenza che dimostri la frode fiscale della famiglia Riva. Il solo porsi una domanda sulla correttezza delle tesi accusatorie sembra sacrilego. Eppure nell’im­maginario collettivo Taranto è come Chernobyl, i Ri­va come Al Capone e i dirigenti della fabbrica dei complici in disastro ambientale. Esageriamo? Senti­te qua. La fase delle indagini preliminari (che è quel­la in cui siamo) ha portato alla carcerazione preven­tiva da un anno, tra gli altri, di Emilio Riva. I magistra­ti hanno sequestrato le aree a caldo (il cuore) dell’ac­ciaieria. E, sempre in misura cautelare, hanno se­questrato anche un miliardo di suoi prodotti finiti. Una legge fatta dal governo Monti e che avrebbe per­messo all’impresa di lavorare è stata bloccata dai magistrati di Taranto con un ricorso alla Corte costi­tuzionale. Perso il ricorso, i magistrati otterranno più o meno lo stesso effetto grazie ad un sequestro monstre di 8,1 miliardi in capo all’azienda. In cui i ca­pi reparto della fabbrica vengono accusati di com­plicità in reati ambientali. Per sovrammercato, un’altra Procura ha imputato ai medesimi Riva una frode fiscale di 1,2 miliardi. Tutto da dimostrare, da­vanti ad un giudice di primo grado. E poi, eventualmente, su per li rami della nostra giustizia. Nel frattempo, il governo Letta per tenerla in piedi ha dovuto commissariarla, un escamotage pericolosissimo per chi non considera la proprietà privata un furto.
L’Ilva è diventata il male assoluto. Questo articolo procurerà a chi scrive minacce e insulti di ogni tipo. Ma chiediamo soltanto e laicamente una cosa: sia­mo sicuri? Siamo certi? L’Ilva,i Riva e i loro dirigenti sono davvero indifendibili. La Confindustria fi­schietta e ci racconta le solite menate sindacali buo­ne per un convegno a via Ripetta. Un suo uomo del Nord scriveva ad uno dei potenti vicepresidenti ro­mani: «Sull’Ilva dobbiamo fare un casino. Ne va del futuro manifatturiero del nostro Paese. Una Confin­dustr­ia seria dovrebbe capire che non si può bloccare un settore che vale 7 miliardi. Rischiamo un nuovo caso Fastweb, doveva essere la truffa del secolo e poi si è rivelata un robetta». La risposta del notabile romano: «Appunto. Una Confindustria seria».
L’Ilva è in coma. Ma ciò che in Italia è morto è un minimo senso garantista verso persone e cose ogget­to di una così invasiva attività giudiziaria. Per poi ri­trovarci tra qualche anno a piangere sulla perdita di un settore industriale strategico e magari con sen­tenze definitive che ridimensioneranno colpe e pre­giudizi.