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 2013  giugno 04 Martedì calendario

LA MAESTRINA GERMANIA PER BEN TRE VOLTE NON HA PAGATO I DEBITI

Cosa sarebbe oggi la Germania se aves­se sempre onorato con puntualità il proprio debito pubblico? Forse non a tutti è noto, ma il Paese della cancelliera Me­rkel è stato protagonista di uno dei più grandi, secondo alcuni il più grande, default del seco­lo scorso, nonostante non passi mese senza che Berlino stigmatizzi il comportamento vizioso di alcuni Stati in materia di conti pubbli­ci. E invece, anche la Germania, la grande e po­tente Germania, ha qualche peccatuccio che preferisce tenere nascosto. Anche se numero­si sono gli studi che ne danno conto, di seguito brevemente tratteggiati.
Riapriamo i libri di storia e cerchiamo di ca­pire la successione dei fatti. La Germania è sta­ta protagonista «sfortunata» di due guerre mondiali nella prima metà dello scorso seco­lo, entrambe perse in malo modo. Come spesso accade in questi casi, i vincitori hanno presentato il conto alle nazioni sconfitte, in pri­mis alla Germania stessa.
Un conto salato, soprattutto quello succes­sivo alla Prima guerra mondiale, talmente tan­to salato che John Maynard Keynes, nel suo Conseguenze economiche della pace, fu uno dei principali oppositori a tale decisione, so­stenendo che la sua applicazione avrebbe mi­nato in via permanente la capacità della Ger­mania di avviare un percorso di rinascita post­bellica.
Così effettivamente accadde, poiché la Ger­mania entrò in un periodo di profonda depressione alla fine degli anni ’20 (in un più ampio contesto di recessione mondiale post ’29), il cui esito minò la capacità del Paese di far fron­te ai propri impegni debitori internazionali.
Secondo Scott Nelson, del William and Mary College, la Ger­mania negli anni ’ 20 giunse a essere considerata come «sinoni­mo di default». Arrivò così il 1932, anno del grande default tedesco. L’ammontare del de­bito di guerra, secondo gli stu­diosi, equivalente nella sua parte «realistica» al 100% del Pil tedesco del 1913 (!), una percentuale ragguardevole.
Poi arrivò al potere Hitler e l’esposizione debitoria non trovò adeguata volontà di ono­rare puntualmente il debito (per usare un eufemismo). I marchi risparmiati furono destinati ad avviare la rinascita economica e il programma di riarmo. Si sa poi come è anda­ta: scoppio della Seconda guer­ra mondiale e seconda sconfit­ta dei tedeschi.
A questo punto i debiti pre­esistenti si cumularono ai nuo­vi e l’esposizione complessiva aumentò. Il 1953 rappresenta il secondo default tedesco. In quell’anno, infatti, gli Stati Uni­ti e gli altri creditori siglarono un accordo di ridefinizione complessiva del debito tede­sco, procedendo a «rinunce vo­lontarie» di parte dei propri cre­diti, accordo che consentì alla Germania di poter ripartire economicamente (avviando il proprio miracolo economico, o «wirtschaftswunder»). Il letto­re non sia indotto in inganno: secondo le agenzie di rating, anche le rinegoziazioni volon­taristiche configurano una si­tuazione di default, non solo il mancato rimborso del capita­le e degli interessi (la Grecia nel 2012 e l’Argentina nel 2001 insegnano in tal senso). Il risul­tato ottenuto dai tedeschi dal­la negoziazione fu davvero notevole: 1) l’esposizione debitoria fu ridotta considerevolmente: se­condo alcuni calcoli, la riduzio­ne concessa alla Germania fu nell’ordine del 50% del debito complessivo!
2) la durata del debito fu este­sa sensibilmente (peraltro in notevole parte anche su debiti che erano stati non onorati e dunque giunti a maturazione già da tempo). Il rimborso del debito fu «spalmato» su un oriz­zonte temporale di 30 anni; 3) le somme corrisposte annualmente ai creditori furono legate al fatto che la Germania disponesse concretamente delle risorse economiche ne­cessarie per effettuare tali tra­sferimenti internazionali.
Sempre secondo gli accordi del ’53, il pagamento di una parte degli interessi arretrati fu subordinata alla condizione che la Germania si riunificas­se, cosa che, come noto, avven­ne nell’ottobre del 1990. Non solo: al verificarsi di tale condi­zione l’accordo del 1953 si sa­rebbe dovuto rinegoziare, quantomeno in parte. Un ter­zo default, di fatto. Secondo Al­brecht Frischl, uno storico del­l’economia tedesco, in una in­tervista concessa a Spiegel, l’al­lora cancelliere Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accor­do. A eccezione delle compen­sazioni per il lavoro forzato e il pagamento degli interessi arre­trati, nessun’altra riparazione è avvenuta da parte della Ger­mania dopo il 1990.
Una maggiore sobrietà da parte dei tedeschi nel commentare i problemi altrui sarebbe quanto meno consigliabile. Ancora Fritschl, precisa me­glio il concetto: «Nel Ventesi­mo secolo, la Germania ha da­to avvio a due guerre mondiali, la seconda delle quali fu una guerra di annientamento e ster­minio, eppure i suoi nemici annullarono o ridussero pesante­mente le legittime pretese di danni di guerra. Nessuno in Grecia ha dimenticato che la Germania deve la propria pro­sperità alla generosità delle altre nazioni (tra cui la Grecia, ndr)». È forse il caso di ricorda­re inoltre che fu proprio il lega­me debito-austerità-crisi che fornì linfa vitale ad Adolf Hitler e alla sua ascesa al potere, non molto tempo dopo il primo de­fault tedesco.
Tre default , secondo una contabilità allargata. Non ma­le per un Paese che con una di­screta periodicità continua a emettere giudizi moralistici sul comportamento degli altri governi. Il complesso da pri­mo della classe ottunde la memoria e induce a mettere in sof­fitta i propri periodi di difficol­tà. «Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio». Era un tem­po la «bocca di rosa» di De An­dré, è oggi, fra gli altri, la bocca del Commissario europeo Ot­tinger (e qualche tempo fa del ministro delle Finanze tede­sco Wolfgang Schauble). A suo avviso, Bruxelles «non si è an­cora resa abbastanza conto di quanto sia brutta la situazione» e l’Europa invece di lottare con­tro la crisi economica e del debi­to, celebra «il buonismo» e si comporta nei confronti del re­sto del mondo come una mae­strina, quasi un «istituto di rieducazione». Accidenti, da qua­le pulpito viene la predica.