Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 07 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL GRANDE ORECCHIO DI OBAMA


REPUBBLICA.IT
NEW YORK - Barack Obama, messo in croce anche dal New York Times ("su questo ha perso ogni credibilità") sullo scandalo del sistema pervasivo di intercettazioni di ogni forma di comunicazione negli Usa, ha ribattuto duramente alle accuse spiegando che il Congresso lo aveva autorizzato e che l’organo legislativo americano è stato costantemente informato. Il presidente ha anche rassicurato che nessuno ha ascoltato o sta ascoltando le telefonate degli americani e ha garantito che i dati sono conservati al sicuro da ogni intrusione esterna. Obama ha anche affermato che il sistema di tracciamento delle email e dell’attività sul web non si applica ai cittadini statunitensi o alle persone che vivono negli Usa. Il presidente ha aggiunto che all’inizio era scettico sul programma di sorveglianza ma che alla fine ha concluso che avrebbe aiutato a prevenire attacchi terroristici. Il controllo dati compiuto dall’intelligence statunitense è "una modesta invasione della privacy". Obama ha anche parlato del problema legato al rapporto che c’è tra privacy e sicurezza: "dobbiamo trovare un bilanciamento tra i due elementi e aprire un dibattito su questa questione". Tutto quello che viene fatto, ha assicurato, "è sotto stretta supervisione del Congresso".
Le rivelazioni del Guardian sulle telefonate "spiate" dalla National Security Agency (Nsa) rischiano comunque di travolgere l’amministrazione americana. E l’ondata di critiche nei confronti della Casa Bianca è destinata a crescere. Sul caso si è espressa anche la Ue, per bocca del commissario agli affari interni Cecilia Malmstroem: "Siamo naturalmente preoccupati per le possibili conseguenze sulla privacy dei cittadini europei, ma è presto per trarre delle conclusioni", ha detto Malmstroem, aggiungendo: "Contatteremo la nostra controparte americana per avere ulteriori informazioni.
Secondo il Washington Post, infatti, Nsa e Fbi hanno accesso diretto anche ai server di nove società internet - Microsoft, Yahoo!, Google, Facebook, PalTalk, Aol, Skype, Youtube e Apple - e possono estrarre video, audio e foto che consentono di "seguire" i movimenti e i contatti di milioni di cittadini, di controllarne potenzialmente la vita. E’ emerso anche che oltre ai clienti di Verizon, una delle principali compagnie telefoniche Usa, ad essere spiate erano anche le utenze di altri due big del settore: AT&T, con 107,3mln di clienti per la telefonia mobile e servizi wireless e 31,2mln per la telefonia fissa, e Sprint, con 55 milioni di utenti in tutto.
E se il controllo sui tabulati telefonici è recente (l’ordinanza giudiziaria top secret di cui il Guardian è entrato in possesso risale al 25 aprile scorso) il programma per il web, nome in codice Prism, è stato creato nel 2007 ed è una delle fonti primarie della Nsa. "Sembra simile a quello controverso voluto dal presidente George W. Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre", scrive il quotidiano, secondo il quale Microsoft è stata la prima azienda a diventare partner di Prism, nel maggio 2007.
Ai dati del programma Prism ha avuto accesso anche l’agenzia governativa britannica che si occupa della sicurezza, almeno dal giugno 2010. Secondo una serie di documenti di cui è venuto in possesso il Guardian, nel 2012 la GCHQ ha elaborato almeno 197 rapporti di intelligence usando i dati del programma americano.
Di solito le informazioni raccolte in questo modo vengono passate all’MI5 e all’MI6, i servizi segreti di sua maestà. L’agenzia per la sicurezza elettronica, spiega il quotidiano, è riuscita in questo modo ad aggirare le autorizzazioni necessarie per accedere a materiale personale come e-mail, fotografie e video, gestito da società web che hanno sede al di fuori del Regno Unito. In un comunicato inviato al giornale, la GCHC ha dichiarato di aver rispettato le regole e di aver agito in un contesto legale.
Il Wall Street Journal rivela invece che l’Nsa avrebbe messo sotto controllo anche le carte di credito. Il quotidiano finanziario sottolinea come nell’ambito della sua attività di ’spionaggio’ per individuare possibili sospetti terroristi, l’agenzia raccoglierebbe anche tutti i dati relativi agli acquisti compiuti con le carte, avendo garantito l’accesso a tutte le informazioni in mano alle banche e alle società emittenti.
Per quel che riguarda le società web, per aprire i loro server alle autorità e acquisire l’immunità da azioni legali devono ottenere una direttiva dal procuratore generale e dal direttore nazionale dell’intelligence. In pratica - afferma il Washington Post - hanno spazio di manovra, come dimostra il fatto che Apple ha resistito per anni prima di entrare a farne parte. Le aziende interessate smentiscono. Google precisa di comunicare "i dati al governo nel rispetto della legge". Secondo un portavoce: "Google si preoccupa seriamente della sicurezza dei dati degli utenti. Forniamo dati ai governi in conformità con la legge e rivediamo con grande attenzione tutte le richieste che ci vengono fatte. Di tanto in tanto qualcuno avanza la supposizione che abbiamo creato una ‘back door’, ossia un accesso privilegiato per consentire al governo l’accesso ai nostri sistemi, ma Google non ha una ‘back door’ attraverso cui il governo possa accedere ai dati privati degli utenti". Sulla vicenda si registra anche la presa di posizione del social più diffuso: "Per Facebook proteggere la privacy e i dati dei propri utenti è una priorità assoluta", fa sapere un portavoce del colosso fondato da Mark Zuckerberg: "Facebook non fornisce ad alcuna associazione governativa l’accesso diretto ai propri server. Quando vengono richieste informazioni o dati relativi a individui specifici, Facebook analizza con estrema attenzione ogni richiesta di questo tipo per verificarne la conformità a tutte le leggi applicabili e fornire informazioni solo nelle misure previste dalla legge".
Il New York Times dedica alla vicenda un editoriale al vetriolo che mette sotto accusa direttamente il presidente Barack Obama parlando di un "abuso di potere che richiede vere spiegazioni". Il governo federale "ha perso ogni credibilità su questo tema", scrive il comitato editoriale del giornale, uno dei più influenti degli Stati Uniti, tradizionale sostenitore delle politiche del capo della Casa Bianca. E come se non bastasse, l’amministrazione ha risposto "con le stesse banalità che ha usato ogni volta che il presidente Obama è stato sorpreso a eccedere nell’uso dei suoi poteri".
Duro anche il sito progressista Huffington Post che apre con un titolo provocatorio a tutta pagina "George W. Obama" e sotto un fotomontaggio di una faccia frutto della fusione delle foto dell’attuale presidente e del suo predecessore.
L’amministrazione Obama si difende dicendo che questo tipo di sorveglianza rientra nella "lotta al terrorismo". E un alto esponente del governo federale trinceratosi dietro l’anonimato assicura che il programma Prism riguarda esclusivamente cittadini non americani che vivono fuori dagli Stati Uniti e osserva che la legge che autorizza questo tipo di raccolta dati non permette il controllo di cittadini Usa. Si tratta - sottolinea la fonte - della "più importante mole di dati d’intelligence mai accumulati, usati per proteggere la Nazione da molteplici minacce".
Linea ribadita più tardi dallo stesso capo della Nsa, James Clapper, che ha definito "pieni di errori" gli articoli del Guardian e del Wp e ha deplorato una fuga di notizie che mette a rischio la sicurezza nazionale. Il numero uno dell’agenzia ha quindi annunciato che alcuni dettagli del programma saranno resi noti per permettere agli americani di capire meglio e correggere le impressioni sbagliate create dai resoconti dei due quotidiani.
(07 giugno 2013)

PRISM (REPUBBLICA.IT)
’Prism’ è la fonte principale delle informazioni che le agenzie di intelligence forniscono nel rapporto che ogni mattina viene consegnato al presidente degli Stati Uniti. E’ stato citato 1.447 volte nel rapporto al presidente solo lo scorso anno.
Il programma creato dall’intelligence americana è entrato nei server di nove giganti della Rete e ne ha tirato fuori, secondo il Washington Post, "audio, video, fotografie, e-mail, documenti, password e username per continuare a tracciare nel tempo l’attività degli americani sulla rete" ma "focalizzandosi sul traffico di comunicazione straniero, che spesso utilizza i server statunitensi.
Si tratta di Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, Paltalk, AOL, Skype, YouTube e Apple. Ma le società in questione negano. "Nessun accesso diretto ai nostri server" è il coro unanime delle aziende, secondo The Guardian, ma solo - come previsto dalla legge - risposte a specifiche richieste legali su singoli individui.
Quando ci arriva una richiesta del genere, la valutiamo attentamente e forniamo informazioni compatibili con quanto la legge prescrive", ha spiegato Joe Sullivan, capo della sicurezza di Facebook, mentre Steve Dowling, portavoce di Apple, tiene a precisare di "non aver mai sentito parlare" di "Prism".
The Guardian ha avuto accesso a un file Powerpoint della Nsa con 41 slides, con tanto di loghi delle aziende interessate, in cui si parla di raccolta di dati su basi legali ma con "l’assistenza dei providers
americani"
Dietro questo software potrebbe esserci una startup californiana finanziata dalla Cia e dal Pentagono. Palantir, prendendo il nome dalla roccia magica del Signore degli Anelli che permette la visione a distanza, include tra i suoi prodotti un software chiamato Prism, proprio come il programma di spionaggio. Il software permette di integrare rapidamente banche dati esterne, esattamente il tipo di azione che la agenzia di intelligence americana avrebbe posto in atto su siti come Facebook e Google. La startup, che ha una valutazione da 5 miliardi di dollari e impiega ex 007 come Michael Leiter, è in grado di raccogliere una marea di dati disparati restituendo all’utilizzatore una storia completa. "A seconda di cosa pensi in materia di libertà civili e sicurezza nazionale, la tecnologia di Palantir è spaventosa o eroica", aveva scritto nel 2011 Business Week in un articolo sulla società di Silicon Valley.

CORRIERE.IT
Non solo telefonate, contatti informatici, social network e email. La National Security Agency aveva messo sotto controllo anche le carte di credito di migliaia di cittadini americani. Il Wall Street Journal rivela come nell’ambito della sua attività di spionaggio per individuare possibili sospetti terroristi, l’agenzia abbia raccolto anche tutti i dati relativi agli acquisti compiuti con le carte, avendo garantito l’accesso a tutte le informazioni in mano alle banche e alle società emittenti. Si allarga così a dismura la sfera di ingerenza nella privacy dei cittadini del programma Prism, un programma segreto lanciato nel 2007 dall’allora presidente George W. Bush e poi proseguito da Barack Obama.
LA REAZIONE DELLA CASA BIANCA - Lo scandalo cresce, e la marea di indignazione sobillata dai principali commentatori politici, rischia di investire Obama. Il New York Times scrive che il presidente «ha perso ogni credibilità». Nella serata di venerdì Obama è costretto a intervenire. Il presidente ha ricordato che il Congresso lo aveva autorizzato ed è stato costantemente informato. Inoltre ha rassicurato che nessuno ha ascoltato o sta ascoltando le telefonate degli americani e ha garantito che i dati sono conservati al sicuro da ogni intrusione esterna. Obama ha anche affermato che il sistema di tracciamento delle email e dell’attività sul web non si applica ai cittadini statunitensi o alle persone che vivono negli Usa. Il presidente ha aggiunto che all’inizio era scettico sul programma di sorveglianza ma che alla fine ha concluso che avrebbe aiutato a prevenire attacchi terroristici».

LE ALTRE COMPAGNIE COINVOLTE - Il programma sarebbe partito dall’analisi del flusso dati del colosso telefonico americano Verizon, ma sarebbe stato poi esteso anche a quelli di altre due grandi aziende telefoniche e internet provider: AT&T - con 107,3mln di clienti per la telefonia mobile e servizi wireless e 31,2mln per la telefonia fissa - e Sprint, con 55 milioni di utenti in tutto.

INFORMATI ANCHE GLI INGLESI - Anche l’agenzia per la sicurezza elettronica britannica, la Gchq, ha avuto accesso segreto dal giugno 2010 ai dati del programma di sorveglianza americano Prism con cui l’Fbi e la Nsa carpivano informazioni dalle maggiori aziende di internet.

I COLOSSI DELLA TECNOLOGIA - Le rivelazioni dei media statunitensi, tra indiscrezioni e conferme, descrivono un quadro sempre più inquietante della mega operazione di spionaggio. Pare certo, ad esempio, che l’intelligence statunitense abbia avuto accesso diretto ai server di nove colossi informatici . Da Microsoft a Yahoo, da Google a Facebook, da PalTalk a Aol, a Skype e Youtube, fino ad Apple. Nessuno dei principali soggetti della comunicazione digitale sarebbe escluso. Questa volta è il Washington Post a rivelarlo. Secondo il quotidiano, la National Security Agency e l’Fbi hanno avuto accesso a chat video e audio, a fotografie, email, documenti e a tutti i dati utili a ricostruire la vita e i rapporti sociali di ogni individuo e a rintracciare le persone sospette. Le società coinvolte hanno tutte dichiarato di non aver consentito l’accesso ai propri informatici, se non dietro ordini del giudice attentamente vagliati. In particolare, Google ha rimarcato di avere a cuore«la sicurezza dei dati degli utenti. Forniamo dati ai governi in conformità con la legge e rivediamo con grande attenzione tutte le richieste che ci vengono fatte».

IL CONGRESSO SOLIDALE CON OBAMA - I media e i social network sono insorti contro l’amministrazione Obama per la grave violazione alla privacy di milioni di cittadini. Ma l’indignazione non contagia il congresso americano. Non solo i democratici, ma anche i repubblicani sostengono il governo di fronte alle polemiche. I deputati, in particolare, osservano che gli strumenti adottati dalla National Security Agency sono necessari per difendere la sicurezza nazionale dalla minaccia terroristica. Così ad attaccare Barack Obama e il suo programma di sorveglianza sulle utenze dei cellulari e del web sono rimasti alcuni ’liberal’ progressisti da sempre contrari al Patriot Act e alcuni estremisti vicini al Tea Party, apertamente contrari ad ogni intervento del governo nella vita di cittadini, figuramoci del controllo del web.

QUALCHE COMMENTO SU CORRIERE.IT
Se vogliamo proteggerci dobbiamo accettare alcune "intrusioni" nella privacy. E’ lo stesso problema delle delle telecamere di sorveglianza, che ormai sono piazzate un pò dappertutto. Nel caso degli Stati Uniti, mi pare che le leggi siano state rispettate, i dati sono adeguatamente protetti, proprio non riesco a vedere il problema.
Autorizzat?
07.06|20:20 Rigoletto26

1. Gli USA non sono uno Stato di diritto 2. Dire che il Congresso ha autorizzato qualcosa non vuole dire niente, dato che sono le stesse persone corrotte che controllano il paese. 3. A quest stregua, Stalin e la sua URSS erano anche loro democratici 4. Noi in Europa dobbiamo finalmente vedere le cose come sono. Gli USA sono con i loro scugnizzi (GB, ecc) una potenza che se ne frega di tutti e tutto, se cio’ serve ai loro scopi. 5. Che Obama sia un fallito in ogni senso (o un doppio giochista) oramai e’ un fatto appurato. 6. Gli USA accusano gli altri di spionaggio, ma quante cose hanno spiato per la loro industria e non solo per "terrorismo" dove non hanno mai avuto alcun successo?
Controlli obbligatori
07.06|20:09 antonpaco

L’11 settembre 2001 l’America e’ crollata contro il terrorismo proprio a causa della mancanza di controllo da parte dell’intelligence. Secondo voi come si fa a prevenire un attacco terroristico o sventare un attentato senza intercettazioni? Poi quando scappa il morto tutti a prendersela con i governi accusandoli di non aver fatto nulla. Ben vengano le intercettazioni, chi non ha nulla da nascondere dovrebbe esserne felice.

PEZZO DEL CORRIERE DI STAMATTINA
MASSIMO GAGGI
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK — Controlli di un’ampiezza senza precedenti sui telefoni americani: per la prima volta viene alla luce che i dati di tutte le chiamate, anche quelle all’interno degli Stati Uniti, devono essere forniti dai grandi operatori di telecomunicazioni alla National Security Agency (Nsa), l’agenzia federale che ha la supervisione di tutte le attività di spionaggio, comprese quelle della Cia. Ma, dopo la pubblicazione della notizia da parte del britannico Guardian e le prime ammissioni ufficiose della Casa Bianca, ecco il colpo di scena: «È così ormai da sette anni ed è tutto regolare» dicono, all’unisono, i responsabili delle commissioni di controllo dei servizi segreti del Congresso: la senatrice democratica Dianne Feinstein e il senatore repubblicano Saxby Chambliss. Passano alcune ore e si aggiunge la rivelazione del Washington Post: dal 2007 Nsa ed Fbi raccolgono dati provenienti dai server di nove società Internet Usa (Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, PalTalk, AOL, Skype, YouTube, Apple) nell’ambito di un programma top secret, nome in codice «Prism», che utilizza audio, video, foto, email, chiavi d’accesso. E in un durissimo editoriale il New York Times scrive: «Abuso di potere che richiede vere spiegazioni. L’Amministrazione Obama ha perso ogni credibilità».
Parlamento per una volta compatto nel sostenere le scelte di sicurezza del governo: «C’è molta gente che cerca di colpire l’America, il terrorismo è una minaccia costante — spiega la Feinstein —. È il motivo per cui l’Fbi ha ormai diecimila agenti impegnati nella sorveglianza antiterrorismo. Sono cose che servono a sventare gli attacchi prima che avvengano: è un’attività che si chiama proteggere l’America». Si fa sentire anche il presidente della commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti, Mike Rogers: «Negli ultimi anni questo programma è stato utilissimo per bloccare gli attacchi al nostro Paese. Lo sapevamo, è una cosa legale e di grande valore».
Il caso esplode all’alba con la pubblicazione sul sito del giornale britannico del testo integrale di un ordine segreto della Foreign Intelligence Surveillance Court (la magistratura che sorveglia le attività antiterrorismo e quelle di intelligence del governo) a Verizon, uno dei quattro giganti delle telecomunicazioni americane: l’obbligo di fornire per tre mesi, dal 25 aprile al 19 luglio, tutti i dati sulle telefonate. Non solo quelle provenienti o destinate all’estero, come nel caso che venne fuori durante la presidenza Bush (criticatissimo dai democratici), ma per tutte le chiamate, comprese quelle interne. La Casa Bianca ammette subito, attraverso un anonimo funzionario dell’amministrazione Obama, che sono stati effettivamente emanati ordini di questo tipo. Non dice se oltre a Verizon siano interessate anche le altre compagnie (AT&T, Sprint, T-Mobile), né specifica la durata dei controlli, ma chiarisce che la raccolta di un enorme volume di dati sulle conversazioni (esclusa, però, la registrazione del loro contenuto), è «necessaria per proteggere gli americani da possibili attacchi terroristici».
Nulla di illegale: azioni di questo tipo sono possibili in base al Patriot Act, votato dal Congresso dopo l’attacco di Al Qaeda dell’11 settembre 2001. La procedura rimane, per ovvi motivi, segreta, ma ci sono più livelli di autorizzazione e controllo. L’anonimo portavoce della Casa Bianca spiega che i dati richiesti riguardano provenienza e destinazione di ogni chiamata sia da telefono fisso che cellulare e la sua durata, ma non il contenuto della conversazione né l’identificazione di chi ha risposto a una determinata utenza. La stampa entra subito in agitazione: da qualche settimana c’è tensione tra l’amministrazione Obama e il sistema dei media per le intercettazioni segrete disposte all’Associated Press e alla rete televisiva Fox, dopo che queste organizzazioni giornalistiche hanno pubblicato o trasmesso servizi contenenti notizie che avrebbero dovuto rimanere segrete. Si comincia a parlare subito di un presidente che continua ad allargare il raggio dei controlli e delle interferenze sui media. Altri si chiedono il perché di un intervento di sorveglianza iniziato il 25 aprile, pochi giorni dopo le bombe di Boston: una caccia ai complici dei fratelli Tsarnaev?
La sortita dei leader del Congresso, però, toglie drammaticità alla vicenda: «Per quello che capisco — dice la Feinstein — si tratta del rinnovo trimestrale di controlli che vanno avanti ininterrottamente da sette anni e che sono stati molto efficaci». I parlamentari non ne possono parlare perché sono tenuti a rispettare il segreto in materia di sicurezza dello Stato, ma sono stati informati e hanno verificato che nessun cittadino onesto è stato danneggiato. Le decisioni vengono poi formalmente prese da un organismo diverso dal governo: una Corte federale, anche se si tratta di una magistratura speciale, anch’essa segreta, che si occupa di problemi di intelligence. Tutto regolare, insomma. Salvo la scoperta che la privacy dei cittadini Usa è ancora inferiore a quella già ridotta di cui si era parlato finora. E la consapevolezza che la segretezza dell’operazione è finita con la pubblicazione sui giornali.
Massimo Gaggi

CORRIERE DI STAMATTINA
GUIDO OLIMPIO
WASHINGTON — Sono miliardi i dati che l’agenzia di spionaggio elettronico Nsa raccoglie e i collettori hanno bisogno di una casa per il Grande Fratello. La stanno costruendo nel deserto a Bluffdale, nello Utah, tra montagne e mormoni. Il super protetto «Data Center» — questo il suo nome — dovrà custodire le informazioni intercettate, il flusso telefonico, le email, i messaggini, eventuali dialoghi radio dei cittadini americani e stranieri. È qui che finiranno domani i dati che l’Fbi ha ottenuto dalla compagnia telefonica Verizon. L’ultima breccia (di molte) alla privacy dell’individuo.
Tutto reso possibile da un ordine riservato di un giudice e dal Patriot Act, che è approvato dal Congresso americano. Molti sono convinti che la storia sia molto più ampia, legata alla «tradizione» di tenere d’occhio i cittadini. In nome di una «buona ragione». Dai bisbigli piccanti captati dai federali di J. Edgar Hoover alle operazioni sotto Bush e proseguite da Obama.
I rastrellatori puntano alla creazione di un archivio pensando al futuro e non all’oggi. Una misura preventiva che mette tutti nello stesso canestro. L’innocente e il bandito. Nel caso succeda qualcosa gli investigatori apriranno il file del signor Smith e vedranno quali sono stati i suoi contatti. Chi ha chiamato, quante volte, chi gli ha telefonato, a che ora.
Un tabulato di numeri che però l’Nsa è in grado di combinare con altri elementi. Poiché negli Usa ormai è quasi tutto online e ognuno ha una sua vita digitale, è possibile incrociare il flusso telefonico con l’accesso al bancomat, l’acquisto di medicine, le spese al supermercato, i viaggi, le vacanze, il pieno di benzina, il cinema. Ed ecco che esce il profilo della persona, le sue abitudini, il tenore di vita e, talvolta, i rapporti con il crimine e il terrorismo.
Nel caso Verizon la richiesta dell’Fbi riguarda un periodo preciso — aprile/luglio — e i clienti del settore business della compagnia telefonica, dunque società e compagnie. Gli analisti spiegano: forse vogliono costruire un archivio di «ditte» che potrebbero saltare fuori in indagini sullo spionaggio o il riciclaggio. E le ipotesi sono tutte valide. I sabotatori iraniani. I cinesi copioni. I narcos lavatori. C’è poi l’eterno fronte del terrorismo. La Casa Bianca, nella prima reazione, ha spiegato la necessità di tutelare il paese. E allora i «pescatori» federali vogliono essere sicuri di sapere tutto del network sociale di un estremista vero o potenziale. Non è storia recente, va avanti dal 2006.
Il punto, però, è che in questi anni il problema della lotta all’eversione jihadista non è stata la mancanza di informazioni, bensì l’opposto. A forza di raccogliere si rischia di essere sommersi di dati e si perde di vista il target vero. Si può diventare «interessanti» agli occhi della giustizia anche se si acquistano cosmetici in quantità eccessive: alcuni prodotti sono usati per fare le bombe artigianali. Non si contano più i casi di terroristi segnalati, inseriti nelle liste e poi dimenticati o trascurati perché ritenuti non pericolosi.
In questa condizione c’erano anche quelli di Boston. Con l’aggravante di «censire» anche le persone che non hanno fatto nulla di male. Chi difende il sistema se la cava con la frase «se serve che controllino pure, non ho nulla da temere». E dimenticano che questa volta l’Nsa ha ottenuto quello che cercava con un ordine, ma se vuole è in grado di prenderlo da sola con una rete di «sensori» sparsi per tutta America.
Guido Olimpio

PEZZO DI REPUBBLICA DI STAMATTINA
MASSIMO VINCENZI
La presidenza Usa difende i controlli: hanno evitato attacchi terroristici
NEW YORK
— Le telefonate di milioni di americani sono segretamente controllate per anni. La notizia è emersa solo ora grazie a uno scoop del britannico Guardian. Le associazioni Usa per la difesa dei diritti civili gridano allo scandalo. E l’amministrazione Obama cerca di gettare acqua sul fuoco affermando che si tratta di «uno strumento fondamentale » nella lotta al terrorismo.

DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK
— Milioni di telefonate, decine di milioni. Ma non solo: e-mail, audio, video, post sui social network, documenti word riservati e persino cancellati, password e username. In pratica tutto quello che c’è dentro un computer. Per l’intelligence americana, in particolare per la Nsa, l’Agenzia per la sicurezza nazionale, e per l’Fbi non c’è più alcun segreto nei cassetti digitali dei suoi cittadini. Almeno dal 2007, ogni foglia che si muove sotto il cielo d’America e non solo viene registrata, decriptata
e archiviata. Il nome in codice è “Prism” e apre scenari che il Grande Fratello di Orwell in confronto è un boy scout. Nove tra le maggiori aziende della Silicon Valley hanno aperto le porte dei loro server agli occhi e alle orecchie dell’intelligence Usa. L’elenco basta a capire come la parola privacy sia in questo contesto solo un eufemismo: Microsoft, Yahoo!, Google, Facebook, PalTalk, Aol, Skype, Youtube e Apple. Ovvero il mondo di Internet (tranne Twitter). Il
Washington Post
ci apre il sito alla fine di una giornata convulsa, destinata a rimanere nella storia degli Stati Uniti.
La inizia il
Guardian
con il suo scoop. Il 25 aprile, dieci giorni dopo gli attacchi di Boston quando l’Fbi sta cercando eventuali complici dei fratelli ceceni, Roger Vinson, giudice della Foreign Intelligence Surveillance Court firma l’ordine (in vigore sino al 19 luglio) che impone a Verizon, il più grande gestore telefonico degli Stati Uniti di consegnare alla Nsa ogni giorno milioni di dati sulle telefonate di utenze americane (nella sezione Business). Un’enorme pesca a strascico di informazioni sensibili: vengono raccolti i numeri di entrata e uscita delle chiamate sia nazionali che verso l’estero, i rispettivi identificativi, le notizie sulla localizzazione, gli orari e la durata, ma – come ripetono più volte fonti di Washington - non i contenuti delle conversazioni. Anche se poi in presenza di anomalie l’Fbi può chiedere di avere accesso alle registrazioni e ascoltare quello viene detto. Ma non è noto se e in quanti casi sia stato dato il via libera, così come non si sa se la stessa procedura è stata chiesta anche agli altri gestori telefonici.
La rivelazione del quotidiano britannico accende la polemica. L’articolo infatti dimostra per la prima volta che sotto l’Amministrazione Obama le registrazioni delle comunicazioni (di ogni genere) di milioni di persone vengono raccolte in maniera indiscriminata, in massa e senza che ci fossero nelle utenze monitorate qualche notizia di reato.
La Casa Bianca per un po’ tace poi esce allo scoperto il
portavoce John Earnst: «Noi dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti utili per combattere il terrorismo. Esiste un consolidato regime legale che sovrintende
all’uso da parte del governo dei poteri previsti nel Patriot Act e lo rende compatibile con la Costituzione». E poi ancora: «Regole severe che riflettono il desiderio del presidente di assicurare il giusto equilibrio tra la protezione della nostra sicurezza nazionale e delle libertà civili». E altre fonti anonime aggiungono: «Questa pratica è assolutamente cruciale per prevenire attentati e il Congresso è costantemente informato di quanto sta avviene». Come confermano i leader del Senate Intelligence Commitee, la democratica Dianne Feinsten e Saxby Chambliss, repubblicano: «Non c’è nulla di nuovo, è tutto legale. Nessun cittadino si è mai lamentato e anzi tutto questo va a favore dei nostri investigatori che lavorano per la sicurezza di tutti noi».
Il
Washington Post
osserva che il documento sembra un atto di routine, una conferma quasi in automatico di una disposizione che va datata almeno al 2006 e così i numeri dei dati raccolti sono destinati
a crescere e infatti il giornale scatena i suoi reporter. Il
New York Times
racconta che un primo allarme su un eventuale abuso di intercettazioni era stato lanciato l’anno scorso da due senatori con una lettera al ministro della giustizia Eric Holder (che non commenta): «Siamo convinti che gli americani sarebbero sbalorditi se venissero a sapere i dettagli di come alcune corti abbiano interpretato la sezione 215 del Patriot Act».
E, nonostante la sicurezza sia argomento delicato, non mancano le critiche pesanti, con in prima fila le associazioni per i diritti civili che gridano allo scandalo. O come Al Gore che su Twitter scrive: «Nell’era digitale la difesa della privacy è fondamentale. Sono solo io a trovare oltraggiosa e scandalosa questa sorveglianza segreta? ». Ma un altro senatore repubblicano Mike Rogers difende il programma con un controscoop: «In questo modo è stato sventato un significativo attentato terroristico nel nostro paese». La stoccata di Ari Fleischer, il portavoce della precedente Amministrazione sembra un colpo pesante per il presidente: «Droni, intercettazioni telefoniche, Guantanamo, commissioni militari: stanno portando avanti il quarto mandato di Bush». Niente in confronto a quello che scrive sul suo sito in serata in
New York Times:
“Obama ha perso ogni credibilità, il presidente ha risposto con le stesse banalità che usa ogni volta che viene bacchettato per un abuso di potere. Questa volta invece servono spiegazioni vere e convincenti”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
FOTO:REUTERS
È stato l’inglese “The Guardian” a rivelare la registrazione delle chiamate dei cittadini americani da parte dell’Nsa e autore dello scoop è Glenn Greenwald, giornalista attivista gay da sempre impegnato sul tema della privacy violata

LA STAMPA
PAOLO MASTROLILLI
Siamo tutti sotto controllo, oltre l’immaginazione di qualunque Grande Fratello. Abbiamo avuto la conferma mercoledì sera, quando il giornale britannico Guardian ha pubblicato l’ordine con cui un giudice americano obbliga la compagnia telefonica Verizon a girare ogni informazione sulle chiamate dei suoi clienti alla National Security Agency. L’amministrazione Obama si è subito difesa, dicendo che sono misure legali e necessarie per proteggere i cittadini dal terrorismo. Ma sono giustificazioni molto simili a quelle che usava già il presidente Bush, e quindi è scoppiata la polemica: «oscena» violazione della privacy, come l’ha definita Al Gore, o indispensabile male minore?
L’ordine pubblicato dal Guardian è stato firmato il 25 aprile scorso da Roger Vinson, giudice della Foreign Intelligence Surveillance
Court, un tribunale segreto che autorizza gli atti di spionaggio sulla base del Foreign Intelligence Surveillance Act del 1978, e del Patriot Act, che ne ha allargato gli scopi dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
Il testo, destinato a restare segreto, chiede alla compagnia di fornire fino al 19 luglio prossimo «tutti i dettagli delle chiamate o “telephony metadata”, creati dalla Verizon per comunicazioni tra gli Stati Uniti e l’estero, o interamente negli Usa, incluse le telefonate locali».
L’operazione deve proseguire «su base quotidiana per la durata dell’ordine», e includere «le informazioni identificative della sessione, il numero di origine e destinazione, la durata di ogni chiamata, i numeri delle calling cards, i trunk identifiers, l’International Mobile Subscriber Identity (IMSI)».
Non si richiede di ascoltare i contenuti delle telefonate o registrarle, ma incrociare questi “metadata” significa sapere con esattezza chi ha chiamato chi, quando, da dove, e altre informazioni personali. Verizon ha 121 milioni di clienti, e quindi più di un terzo dell’intera popolazione americana. Non è noto se ordini simili siano stati emessi anche per altre compagnie telefoniche, ma è molto probabile.
Dieci giorni prima della richiesta del giudice Vinson, a Boston era avvenuto l’attentato della Maratona. I fratelli Tsarnaev erano stati identificati come i colpevoli, e ricostruire le loro comunicazioni poteva essere la spiegazione dell’ordine.
Non è detto che sia così, però, perché la senatrice democratica Diane Feinsten, capo della Commissione Intelligence, l’ha descritta come un’operazione di routine: «Per quanto ne so, questo è il rinnovo trimestrale di un atto che si ripete da sette anni. E’ stato autorizzato in base al Patriot Act, perciò è legale, e il Congresso era informato».
La Casa Bianca ha usato gli stessi argomenti: «E’ legale, rispetta la Costituzione e i diritti civili. Informazioni di questo tipo sono state uno strumento critico per proteggere gli Stati Uniti dalle minacce terroristiche, perché consentono al nostro personale di scoprire se terroristi noti o presunti sono stati in contatto con altre persone che potrebbero aver svolto attività terroristiche, in particolare localizzate negli Usa».
Queste pratiche erano cominciate durante l’amministrazione Bush, e naturalmente i repubblicani le difendono. Ad esempio per bocca del senatore Lindsey Graham: «Non ho alcun problema. Se non lo facessimo, saremmo pazzi». Niente scandalo, dunque, a differenza delle polemiche esplose nei giorni scorsi per i controlli del dipartimento della Giustizia sui giornalisti.
Obama però aveva promesso di cambiare linea rispetto a Bush, garantendo la trasparenza, e quindi le critiche più feroci vengono proprio dal campo democratico. Per l’ex vice presidente Al Gore, ad esempio, «è sorveglianza segreta a tappeto, oscenamente oltraggiosa». La domanda sul tavolo resta quella a cui gli americani faticano a rispondere dall’11 settembre: quanta libertà e privacy sono disposti a sacrificare, per avere sicurezza?

LA STAMPA
GIANNI RIOTTA
Capire bene la vicenda del traffico telefonico americano controllato sotto l’amministrazione democratica di Barack Obama, ci permette di intravedere non solo il futuro politico americano, ma anche la nostra vita quotidiana prossima.
La questione è semplice solo in apparenza: il quotidiano inglese The Guardian rivela che, da aprile, la Casa Bianca fa controllare la rete di telefonate della grande compagnia Verizon, grazie alla legge Patriot Act contro il terrorismo approvata ai tempi del repubblicano George W. Bush.
Non si tratta, guardatevi dall’errore diffuso, di tradizionali intercettazioni: le autorità dello spionaggio Nsa, National Security Agency, non ascoltano il contenuto dei dialoghi ma, connettendo tra loro le informazioni – in gergo metadata, dati sui dati - creano un identikit perfetto degli individui, delle loro relazioni, movimenti, affari e, nel caso dei terroristi, intrighi e trame.
Il presidente Obama ha ieri difeso la pratica sostenendo, tramite un portavoce, che né si ascoltano voci, né si schedano cittadini. Le organizzazioni di tutela della privacy, come l’Aclu, si ribellano, il Congresso si divide, qualcuno – come il National Journal - irride la «Casa Bianca Bush-Obama», sostenendo che, al di là della propaganda, tra bombardamenti con i droni, Guantanamo, controllo ai reporter Ap, inchiesta fiscale sui Tea Party, Grande Fratello Nsa, lo stile non è cambiato.
Il chiasso politico sarà forte, ma non dobbiamo farcene distrarre. La questione centrale è: opporre alla vicenda Casa Bianca - Nsa - Verizon un concetto primitivo di privacy, per intenderci precedente il web, la telefonia mobile e i social media, è come voler fermare le cascate del Niagara col secchiello da spiaggia. Una generazione fa si intercettava una telefonata per costruire un processo, registrando legalmente, o illegalmente. Oggi i dati esistono «comunque», già a disposizione delle compagnie telefoniche, informatiche, dei motori di ricerca. Le aziende li analizzano di routine e spesso non si tratta di dati carpiti in segreto, ma di informazioni che i cittadini rendono pubbliche volontariamente, via Facebook, Twitter, blog.
Chi è «padrone» di questi dati? Noi? Le aziende che ci offrono un servizio pubblico gratuito, Facebook, Twitter, YouTube, Google Gmail, proprio in cambio di notizie da rivendere ai pubblicitari? E se Verizon, un ospedale, una scuola, una biblioteca, Amazon, conservano dati a valanghe, non ha diritto lo Stato a controllarli per tutelare la nostra sicurezza? Non è l’analogo informatico delle umilianti perquisizioni cui ci sottoponiamo partendo in aeroporto? Fate attenzione alla differenza: non sono informazioni che occhiuti 007 collezionano di nascosto, sono dati già schedati dalle compagnie: è giusto o no contribuiscano a difenderci da attentati?
Ieri la Casa Bianca ha ribadito che il Patriot Act tutela i controlli Nsa e ha negato che l’intelligence conosca l’identità dei cittadini coinvolti, disegnandone via data visualization solo la rete. Purtroppo entrambe le dichiarazioni di Obama suscitano interrogativi. Come scrive il giurista dell’Università di Harvard Noah Feldman, la Corte che assicura la legalità dell’operato di Obama, l’interpretazione giuridica del Patriot Act stesso, sono tutelate dal segreto della legge, quindi i critici, e perfino gli avvocati, non hanno accesso trasparente alle norme. Il dettaglio fa infuriare l’ex vicepresidente Al Gore, ma permette a Obama di schivare i controlli, lasciando i cittadini in balia dello Stato.
È vero che l’analisi dei metadata è fruttuosa contro i terroristi: per fare un esempio di casa nostra, lavorare sui metadata sarebbe cruciale per scovare gli evasori fiscali, a patto di avere un sistema informatico all’altezza. E per questo molti americani non protesteranno poi troppo contro le rivelazioni del Guardian. A patto però di essere coscienti, oggi in America e domani in Italia, che dalla mappa del traffico della rete, all’identificazione dei cittadini stessi via smartphone, i passi sono pochissimi e banali.
Un saggio apparso su Scientific Reports, firmato da studiosi del Mit e dell’Università di Lovanio, ha analizzato 1.500.000 telefonate da cellulari in Europa in 15 mesi: usando solo 4 coordinate spazio-tempo ha identificato ben 95 cittadini su 100. Basta coordinare, per esempio, la chiamata da una certa località con un post su Facebook o Twitter, e il gioco è fatto. Se due ricercatori, un dottorando e un assistente universitario ci riescono con i mezzi limitati dell’Università, immaginate cosa non riesce a fare il dominio di computer Nsa.
Il caso Nsa - Verizon - Casa Bianca illumina dunque il mondo in cui abbiamo scelto di vivere nel XXI secolo, smartphone in tasca. Una sfera dove «pubblico» e «privato» non hanno più confini e dove i «dati» sulla nostra vita sono già raccolti, esaminati e schedati da burocrazie commerciali o politiche, in gran parte dati offerti da noi stessi. Gridare al Grande Fratello di Orwell non serve, scrivere leggi da Cyber-Azzeccagarbugli che la tecnologia aggirerà domani stesso, neppure. Servono coscienza dei cittadini sulla nuova realtà (e coraggio di studiare il futuro per chi si occupa dei media), trasparenza per politici e magistratura. Perché fanno più danni una legge segreta e un tribunale opaco, di tutti i metadata del mondo.

LA STAMPA
MAURIZIO MOLINARI
La richiesta trimestrale dell’Fbi a Verizon di ottenere i tabulati delle telefonate di tutti gli utenti conferma che Barack Obama ha fatto propri i metodi della guerra segreta al terrorismo ereditati dal predecessore George W. Bush, ma con una differenza: accrescendone l’intensità di impiego.
Simili richieste alle compagnie telefoniche sono iniziate nel 2006, sotto Bush, quando l’intelligence decise di creare a Fort Mead, in Maryland, una cittadella di palazzine dove immagazzinare i «Big Data» raccolti con la sorveglianza elettronica delle comunicazioni sul territorio nazionale. Questa scelta della Casa Bianca fu adottata assieme a Robert Muller, il direttore dell’Fbi che si insediò pochi giorni prima dell’11 settembre 2001 e terminerà a fine estate un mandato di 12 anni: è lui il primo tassello per comprendere la continuità d’azione fra Bush e Obama nella caccia senza quartiere ai terroristi interni. Obama si insediò il 20 gennaio 2009 e nel primo anno di presidenza sembrò avverarsi - dalla strage di Fort Hood agli arresti in North Carolina fino all’imam yemenita-americano Anwar Al Awlaki - il peggior incubo di George W. Bush: la proliferazione dei jihadisti interni. Ne seguì un aumento di intensità dei metodi di indagine che l’Fbi aveva definito dopo l’11 settembre, quando il capo del commando di Al Qaeda, Mohammed Atta, aveva operato a lungo in libertà sul territorio nazionale. Da qui la mega-operazione di sorveglianza della polizia di New york nei confronti degli studenti musulmani nel Nord-Est, l’incremento delle infiltrazioni fra i jihadisti e l’accumulazione massiccia dei «Big Data» - telefonici e digitali per poter dare agli analisti della «National Security Agency» più informazioni possibili da setacciare, affinando così la caccia al nemico. Si spiega con questo potenziamento di attività anche l’approccio più aggressivo dell’amministrazione Obama nel perseguire penalmente le fughe di notizie sulla sicurezza invocando l’«Espionage Act» del 1917 ovvero la complicità con il nemico: se in 8 anni Bush lo fece 3 volte, il successore è già a quota 6, incluse le indagini che hanno portato a mettere sotto controllo buona parte della redazione dell’Ap e un giornalista di Fox News. La scelta di Obama di affidare l’eredità di Muller a James Comey, che fu viceministro della Giustizia sotto John Ashcroft seguendo la genesi di molte operazioni di sorveglianza, lascia intendere la volontà di continuare sulla stessa strada anche se a guidare il ministero c’è un liberal come Eric Holder. D’altra parte il jihadismo interno ha prodotto «lupi solitari» come gli attentatori ceceni di Boston, avvalorando la necessità di controlli sempre più minuziosi.
L’ala sinistra del partito democratico e l’Unione per le libertà civili americane percepiscono tali scelte di Obama come un oltraggio alla Costituzione ma in realtà sono il risultato di una svolta che iniziò quando Leon Panetta, da poco nominato capo della Cia, convinse nella primavera del 2009 il presidente democratico che interrompere la pratica degli «interrogatori rafforzati» sui terroristi non poteva comportare perseguire penalmente chi li aveva condotti perché, gli disse, «si tratta di agenti in prima linea nella difesa della nazione». E ancora: se Bush diede nel 2004 alla Cia l’autorizzazione di usare i droni per eliminare i terroristi di Al Qaeda i 47 attacchi condotti durante la sua presidenza impallidiscono rispetto agli oltre 300 avvenuti - solo in Pakistan - sotto Obama, la cui accelerazione si accompagna al debutto della «Kill List», l’elenco dei nemici da eliminare ovunque nel mondo. A ideare la «Kill List» è stato un altro veterano dell’amministrazione Bush in forza a quella Obama ovvero John Brennan, che nel 2004-2005 guidò il controterrorismo ed oggi è il capo della Cia nonché il più importante consigliere di Barack sulla sicurezza.
Droni, sorveglianza elettronica e incriminazione delle fughe di notizie sono i tre aspetti della guerra segreta al terrorismo che Obama ha ereditato e rafforzato, combinandoli con una politica estera che ha invece accelerato la conclusione dei confitti tradizionali in Iraq e Afghanistan.

LA STAMPA
Per molti anni il suo soprannome è stato No Such Agency, l’agenzia inesistente, e questo dice molto sul ruolo della National Security Agency. Un colosso di fronte al quale anche la Cia impallidisce, in termini di risorse e personale, e con un peso in costante crescita, grazie all’avvento di Internet e la moltiplicazione dei canali di comunicazione digitale.
L’idea di creare un’agenzia specializzata nello spionaggio tecnologico era venuta proprio al capo della Cia, Walter Bedell Smith, dopo la Seconda Guerra Mondiale. All’epoca esisteva la Armed Forces Security Agency (Afsa), ma non funzionava bene, non possedeva gli strumenti adatti, ed era minata dalla difficoltà di far lavorare insieme i vari rami delle forze armate. Allora il presidente Truman, rendendosi conto di quanto fosse veloce il progresso delle telecomunicazioni, accettò l’idea di fondare questa nuova struttura, completamente dedicata alle intercettazioni. L’operazione era così segreta che non venne annunciata in alcun modo, e per quasi vent’anni il governo americano ha negato la stessa esistenza della Nsa. Nel frattempo i suoi agenti erano stati protagonisti di grandi successi, come quando nel 1964 ascoltarono in diretta le comunicazioni dei cinesi che si preparavano a far scoppiare la loro prima bomba atomica, e di grandi fiaschi, come quando in Vietnam avevano sbagliato ad interpretare i segnali raccolti sull’incidente del Tonchino.
Ora sappiamo che l’agenzia esiste, ma poco di più, almeno ufficialmente. Ha sede a Fort Meade, in Maryland, e la sua riservatezza è rimarcata anche dal fatto che sull’autostrada che porta alla base c’è un’uscita dedicata ai suoi dipendenti: «Nsa Employees Only», recita il cartello. La comanda il generale Keith Alexander, e il capo precedente, Michael Hayden, era poi diventato direttore della Cia e della National Intelligence. Il bilancio è segreto, ma si parla di una cifra tra 8 e 12 miliardi di dollari, ben superiore a quella della Central Intelligence Agency. Anche il numero dei dipendenti è riservato, ma nel parcheggio di Fort Meade ci sono 18.000 posti. Qualche tempo fa è girata la voce che fosse in costruzione una nuova struttura, poco distante dal quartier generale, perché la sede centrale con le sue apparecchiature aveva saturato la disponibilità di energia elettrica nella zona. Secondo il Washington Post, infatti, ogni giorno la Nsa intercetta e archivia 1,7 miliardi di mail, telefonate e altre comunicazioni. La cosa più vicina possibile al «Grande Fratello», ma ben oltre l’immaginazione di Orwell sul piano tecnologico.
In teoria, l’agenzia avrebbe il compito di raccogliere informazioni solo all’estero, lasciando in pace gli americani. Pochi ci credevano, però, e da ieri sappiamo ufficialmente che nessuno è escluso dal suo orecchio.

LA LEGGE NATA DOPO L’11 SETTEMBRE (PATRIOT ACT)
Il Patriot Act, sulla cui base vengono effettuati i controlli a tappeto sul traffico telefonico dei cittadini americani, è una legge molto discussa. Acronimo di Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act of 2001, è una legge federale statunitense, concepita dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, che rinforza il potere dei corpi di polizia e di spionaggio statunitensi, quali Cia, Fbi e Nsa, con lo scopo di ridurre il rischio di attacchi terroristici negli Stati Uniti, intaccando di conseguenza la privacy dei cittadini. Le associazioni per i diritti umani contestano diminuzione dei diritti dei cittadini, violazione della privacy, riduzione della libertà d’espressione.