Giovanni Vigo, Sette 7/6/2013, 7 giugno 2013
RE E SANTI FACEVANO I FURBI CON I PRESTITI DI GUERRA
Nell’età moderna la fluttuazione del debito pubblico ha sempre rispecchiato molto da vicino le vicende militari. Quando la guerra incombe la necessità di rastrellare risorse diventa urgente: e ci si rivolge a chi è disposto a prestare denari senza badare troppo alle condizioni. Fortunatamente non tutti gli anni erano caratterizzati da costose operazioni militari, ma il debito accumulato nei momenti più critici era destinato a incidere sulle finanze pubbliche nel lungo periodo.
Jacques Le Goff ritiene che Luigi IX di Francia (il futuro San Luigi) sia stato il primo re dell’indebitamento. In un primo tempo il monarca francese si era illuso di poter evitare la trappola del debito finanziando le sue crociate con il bottino di guerra e non con i tributi imposti ai propri sudditi. Il peggio è che si erano illusi anche i banchieri che finanziarono generosamente le sue spedizioni militari. Ma, come si sa, le illusioni durano lo spazio di un mattino: nel 1255 incominciarono a manifestarsi i primi scricchiolii e nel 1259 la banca maggiormente esposta, quella genovese dei Leccacorvo, aveva cessato di esistere. San Luigi trovò un’elegante giustificazione per il suo rifiuto di rimborsare i debiti: cosa potevano pretendere i banchieri genovesi più del prestigio e della salvezza eterna ottenuti grazie al finanziamento della guerra contro gli infedeli?
Un caso esemplare, quello di San Luigi, che dimostra come nel lungo periodo il debito non poteva essere un’alternativa alla tassazione a meno di non rinnegare la parola data dichiarando la bancarotta. Si poteva scegliere una via di mezzo: aumentare un po’ la pressione fiscale, sospendere temporaneamente il pagamento degli interessi e rinviare alle calende greche il rimborso dei debiti. Era però una via costosa che sollevava le proteste dei sudditi e aumentava i rischi per i prestatori che non sapevano se e quando avrebbero potuto rivedere i loro soldi e richiedevano perciò un tasso di interesse più elevato. Diventava allora vantaggioso ricorrere a strumenti che consentivano di rastrellare denaro senza accrescere il debito, com’era il caso della vendita degli uffici, o a espedienti ingegnosi come quello utilizzato dallo Stato Pontificio che nel 1486 mise in vendita alcune cariche pubbliche alle quali non corrispondeva nessuna funzione ma veniva remunerata mascherando in tal modo il pagamento degli interessi. La rivoluzione finanziaria del XV secolo aveva messo nelle mani degli Stati strumenti sempre più raffinati per raccogliere denaro ma non per restituirlo.
Il denaro dei sudditi. Col passar del tempo anche questi molteplici rivoli non riuscivano però a frenare l’aumento della pressione fiscale. Chi poteva far sentire la propria voce non tardò a lamentarsi. Nel 1484 i deputati degli Stati generali francesi denunciarono la tendenza dei tributi istituiti in tempo di guerra a diventare “immortali”. Carlo VIII proclamò a malincuore il principio della loro transitorietà ma nello stesso tempo ribadì il diritto del re a ricorrere al denaro dei sudditi “per essere in grado di intraprendere grandi iniziative e di difendere il regno”. Le grandi iniziative alle quali alludeva Carlo VIII diventavano sempre più costose perché era necessario mettere in campo eserciti di dimensioni crescenti e meglio armati, e perché le guerre duravano più a lungo.
Per avere un’idea di quanto la rivoluzione militare del XVI secolo abbia inciso sulla finanza pubblica basta ricordare qualche cifra. Nel 1470 l’esercito spagnolo era composto da circa 20.000 uomini; nel 1630 i militari erano 300.000. In Francia l’aumento fu più contenuto ma il numero dei soldati passò dai 40.000 del 1470 ai 150.000 del 1630. Quelle per gli eserciti erano le spese più grosse ma non erano le sole a gonfiare le uscite. Secondo Theodore K. Rabb fra il 1520 e il 1670 la popolazione europea raddoppiò mentre l’apparato burocratico aumentò di quattro volte con la conseguente moltiplicazione degli oneri.
Quando consideriamo le entrate, le uscite, i debiti e i crediti non dobbiamo dimenticare che il Cinquecento fu il secolo della “rivoluzione dei prezzi”. Tuttavia l’inflazione non spiega interamente l’espansione delle spese e la crescita del debito pubblico. Il livello generale dei prezzi aumentò approssimativamente di quattro o cinque volte, le uscite di almeno nove volte. Ciò vuol dire che in termini reali la spesa pubblica raddoppiò: una crescita che non poteva essere coperta dalle sole imposte. Ci fu anche qualche colpo di fortuna. La Spagna, per esempio, poté contare sull’argento americano cosa che tuttavia non impedì la rapida ascesa del debito pubblico. Come ricorda Geoffrey Parker, nel «1574 le entrate correnti coprivano soltanto la metà del denaro sborsato dal tesoro castigliano: il resto era stato ottenuto con prestiti».
Dopo la metà del Cinquecento il governo di Madrid si trovò quasi sempre sull’orlo della bancarotta: nel 1557 fu costretto a convertire il debito a breve in rendite annuali a lungo termine; nel 1560 sospese il pagamento dei prestiti fatti alla corona negli ultimi tre anni; in seguito dovette ricorrere più volte allo stesso espediente. E non avrebbe potuto fare altrimenti se è vero che appena dopo la metà del XVII secolo il 70% delle entrate erano destinate al pagamento degli interessi. «Gli Asburgo di Spagna», ricorda ancora Geoffrey Parker, «avevano preso a prestito troppo denaro per troppo tempo. Difficilmente qualsiasi Stato del tempo avrebbe potuto sopportare un debito equivalente a 10-15 anni di entrate fiscali».
La Spagna costituisce un caso esemplare di debito pubblico insostenibile. Ma anche la Francia fu costretta a ripudiare il debito nel 1599, a dichiarare la bancarotta dopo le rivolte del 1623 e a sospendere tutti i pagamenti nel 1648. Anche l’Inghilterra non se la passava molto meglio. Nel 1659 il debito pubblico aveva superato i due milioni di sterline e il pareggio fra le entrate e le uscite era ancora molto lontano. Negli ultimi anni del governo di Cromwell il segretario di Stato John Thurloe scrisse: «Ciò di cui abbiamo massimamente bisogno è il denaro ed è per questo che in tutte le nostre faccende ci mette con le spalle al muro».
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