Stefano M. Torelli, Sette 7/6/2013, 7 giugno 2013
C’È L’ORO SOTTO LA SABBIA
L’Egitto continua ad attraversare una grave crisi economica e di legittimità politica, come effetto dell’onda lunga dell’instabilità iniziata nel 2011 con la caduta di Mubarak. I livelli di crescita non sono soddisfacenti e la popolazione sembra addirittura impoverirsi, mentre il Fondo monetario internazionale ancora non sblocca il prestito di quasi 4 miliardi di euro, necessario per ridare linfa vitale al sistema egiziano. Eppure un tesoro c’è, nonostante non venga sfruttato o, nel migliore dei casi, venga sfruttato in maniera illegale. Si tratta delle ricche riserve di oro che si celano nell’Egitto sud-orientale, tra il deserto e il Mar Rosso. Le terre di confine con il Sudan – ancora oggi oggetto di rivendicazioni territoriali tra i due governi – tra Shalateen e Hala’ib conterrebbero circa 60.000 tonnellate di oro. Mentre la soglia di povertà in Egitto tocca livelli del 20%, e nelle aree periferiche come questa il tasso tende ad alzarsi, si può dire che gli abitanti siano letteralmente circondati da montagne d’oro. Il problema è che, in parte per via delle contese territoriali e in parte per la mancanza di visione strategica del governo, tali miniere non vengono di fatto esplorate. In molti chiedono allo Stato un intervento mirato a sfruttare al meglio questa ricchezza naturale, in modo tale da portare più introiti nelle casse statali e creare posti di lavoro per combattere la disoccupazione, soprattutto tra i giovani. Ma in assenza di politiche strutturate, c’è chi è dedito alla ricerca fai da te. Armati di metal detector, alcuni ricercatori battono l’area intorno ad Hala’ib e, di fatto, espropriano l’Egitto di ricchezze che potrebbero essere sfruttate in altro modo. Il fenomeno sembra essere piuttosto diffuso, al punto che già nel gennaio scorso il ministero del Petrolio e l’Autorità per le Risorse minerarie avevano dichiarato di voler in qualche modo legalizzare la pratica. Ciò avrebbe consentito, oltre che di garantire entrate economiche e dare occupazione, anche una maggiore sicurezza dell’area, abitata da tribù beduine in alcuni casi dedite ad attività illegali. Anche loro potrebbero diventare una risorsa, se fossero meno dimenticate dal governo del Cairo.