Manuela M. Ravasio, Sette 7/6/2013, 7 giugno 2013
SE VUOI LA FAMIGLIA PERFETTA PRENDI ESEMPIO DAL PINGUINO IMPERATORE
L’aptenodytes forsteri è il più grosso pinguino esistente. Per questo è detto l’Imperatore: non vola, ma è un eccellente nuotatore. Quando, per procurare cibo ai suoi piccoli, la madre, dopo aver deposto l’uovo, si spinge nelle acque ghiacciate dell’Antartide per 80 chilometri fino a raggiungere l’oceano aperto, alla cova ci pensa il padre.
Indifferente e immobile ai venti che sfiorano i 200 chilometri orari a una temperatura che scende a meno 60 gradi, scalda l’uovo tenendolo sopra le zampe protetto dal proprio ventre: non lo lascia mai, disposto a digiunare per oltre due mesi. E quando mamma pinguino ritorna, entrambi i genitori continuano a nutrire insieme il piccolo fino alla sua indipendenza. Secondo Coface, la Confederazione delle organizzazioni delle famiglie europee, l’Imperatore è, in natura, l’esempio di una collaborazione familiare perfetta. Scambio di ruoli, condivisione intelligente. Per questo, sul manifesto che annuncia il 2014 come l’anno europeo della conciliazione tra la vita familiare e professionale campeggia questo straordinario animale.
Dice Agnès Uhereczky, la direttrice di Coface: «È tempo di definire che cosa serve per una conciliazione sostenibile e duratura: risorse adeguate per le famiglie, servizi per la prima infanzia, disabili o anziani, armonizzazione e flessibilità dei tempi di lavoro. Un lavoro che sta cambiando soprattutto per la diffusione delle nuove tecnologie, ma che spesso non trova legislazioni e politiche adeguate. Certo, non c’è una soluzione che possa andare bene in ogni situazione, in ogni Paese, ma l’impegno non può che essere comune. Ecco perché a sostenere
il 2014 ci sarà una alleanza di associazioni che presenterà i risultati degli studi, e le relative raccomandazioni, alla fine dello stesso anno. Bisogna individuare le questioni chiave ed elaborare una politica consensuale a livello europeo per i prossimi anni».
La nostra arretratezza. L’anno europeo della conciliazione cade nel semestre della presidenza italiana, e di politiche in materia l’Italia ha fame e sete. Secondo il rapporto Bes (acronimo di Benessere equo e sostenibile) 2013, voluto dal Cnel e dall’Istat, l’Italia ha uno dei divari di genere più elevati all’interno dell’Unione europea. A farne le spese sono soprattutto le donne, le più insoddisfatte del rapporto tra vita professionale e privata, qualità dell’occupazione e pendolarismo. Donne sovraccariche, ma anche uomini sempre più scontenti perché, pur pronti a fare il grande salto, si trovano in un contesto con leggi inadeguate. «In Europa, l’Italia è il Paese che rivolge le minori attenzioni e risorse alla famiglia sia in termini di finanziamento sia di legislazione. La laicissima Francia, per esempio, dal 1945 usa il quoziente familiare per agevolare fiscalmente chi ha più figli, mentre noi, bravissimi con la retorica, concepiamo la famiglia solo come luogo degli affetti e dei lavori di cura svolti in nome di un generico principio di solidarietà. Insomma, una mucca da mungere e non un soggetto produttivo». Parole di Stefano Zamagni, autore, insieme alla moglie Vera, di Famiglia e lavoro (edizioni San Paolo) nonché presidente del comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio Nazionale della Famiglia. «Anche la delega quasi totale dei lavori di cura alla donna», aggiunge, «è conseguenza di questa idea della famiglia tanto che, più che di conciliazione, preferisco parlare di armonizzazione non essendoci, in realtà, alcun conflitto tra lavoro e famiglia». Non solo, tutti gli studi recenti dimostrano che le aziende capaci di favorire il buon equilibrio tra i tempi di vita e di lavoro, si assicurano dipendenti più leali e produttivi e riescono, a fronte dei servizi forniti, persino a ridurre i costi. È quello che si chiama “secondo welfare”, un modo socialmente responsabile di fare impresa da molti considerato la strategia più efficace per arginare le mancanze del pubblico. La Regione Veneto, per esempio, è la prima ad aver adottato l’Audit famiglia e lavoro, la certificazione internazionale per le aziende che adottano politiche del personale orientate alla famiglia, creata dalla Fondazione Berufundfamilie di Francoforte. Dice Barbara Trentin, presidente del consiglio direttivo di Elisan, il network europeo sulle politiche sociali fondato dal Veneto e dalla Francia nel 2006 e che il 13 novembre prossimo organizzerà a Bruxelles il convegno sulla conciliazione in vista dell’anno europeo: «In Germania è obbligatorio, per le aziende pubbliche e private, sottoporsi a questo processo di valutazione per verificare la reale presenza di conciliazione tra tempi di vita familiari e professionali. Noi abbiamo iniziato l’anno scorso con alcune realtà del nostro territorio e, in tre anni, aziende importanti e in crescita come Dressing, Tecsa, Keyline, i cui due amministratori delegati – marito e moglie con sei figli – si alternano ogni sei mesi nella gestione dell’impresa, saranno perfettamente allineate agli standard europei. Da pochi giorni, poi, la giunta regionale del Veneto ha anche approvato un disegno di legge per le politiche dedicate alla famiglia: un capitolo importante prende in carico il tema della conciliazione con finanziamenti ad hoc». E quando le leggi non arrivano, le aziende procedono da sole.
Il coinvolgimento degli uomini. L’Ibm ha fatto della flessibilità oraria il principio guida della sua organizzazione aziendale; Nestlé, che già promuove un congedo di paternità per i propri dipendenti integrando sino al 100 per cento dello stipendio, ha un piano specifico di formazione per il management sui temi del benessere dei collaboratori e, una volta al mese, organizza una riunione informale con un centinaio di dipendenti per discutere sull’equilibrio fra vita personale e professionale. I benefit messi in gioco dalle aziende sono i più diversi: accesso a servizi di assistenza agli anziani, disbrigo delle pratiche burocratiche, risorse per genitori soli e counseling universitario per i figli. Ma se il welfare aziendale può far molto per le prassi di conciliazione, per cambiare le radici e i modelli culturali che delegano alle sole donne i ruoli assistenziali all’interno del nucleo familiare, la presenza dello Stato è indispensabile. Ogni giorno, in Europa, l’80 per cento delle ore dedicate ai lavori di cura vengono svolte gratuitamente, e per la maggior parte, da donne. Donne che passano con i figli tre volte il tempo degli uomini, perché se già nel 2007 in Svezia c’erano 77 padri su 100 che usufruivano del congedo di paternità, in Italia siamo ancora fermi a 7. «Lavorare sull’obbligatorietà dei giorni di paternità è un passo fondamentale per mandare un messaggio culturale forte», dice Alessia Mosca, firmataria del primo disegno di legge sulla paternità obbligatoria assorbito dalla riforma Fornero. «La proposta originaria prevedeva in realtà quattro giorni e non uno, come poi concesso. Il vero problema del nostro Paese, però, è che sono pochissimi i padri che usufruiscono del congedo facoltativo tanto che la vera sfida è lavorare sugli incentivi per il loro utilizzo». Come dire che, senza la partecipazione degli uomini, ogni politica di conciliazione è nulla. Per questo l’Eige, l’Istituto europeo per l’eguaglianza di genere, da anni lavora sul coinvolgimento degli uomini e sulle strategie specifiche da applicare, nonostante la parità di genere non sia proprio nell’agenda di tutti Paesi dell’Unione o che da alcuni sia ancora vista come questione esclusivamente femminile. «Eppure», dice Zamagni, «le nuove generazioni sono disponibili a collaborare, non hanno più preconcetti. Bisogna quindi lavorare sull’educazione e su una legislazione del lavoro che favorisca i congedi parentali».
E non è una questione di secondaria importanza, una cosa che si può rimandare a tempi migliori, a crisi finita. È, come ripete Uhereczky, un’assoluta necessità, visto che la mancanza di conciliazione ha come conseguenza la povertà e l’esclusione sociale, la scarsa produttività e un mercato e una cultura del lavoro arretrati e, soprattutto, una drammatica diminuzione della “generatività”, ovvero della nostra capacità di sopravvivere, di riprodurci. Se il tasso di fertilità italiano è di 1,3 rispetto al 2,4 dei Paesi nordici, è tutta l’Europa che si trova nel mezzo di una profonda trasformazione demografica. Dal 1990, il rapporto tra chi era in età lavorativa per ogni persona oltre i 65 è sceso da quattro a uno a tre a uno. E nel 2025 si scenderà a un rapporto di due a uno con un significativo impatto sul lavoro, sul sistema pensionistico e sulle nostre vite. Perché se non faremo spazio alla famiglia, ai figli, non ci sarà più tempo nemmeno per noi.