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 2013  giugno 07 Venerdì calendario

L’ADDIO AL LIBOR SCUOTE LA CITY

LONDRA. Dal nostro corrispondente
No, non si trasformerà in un improbabile Pibor – Paris interbank offered rate – eppure la consolazione non basta per calmare l’ansia britannica sui destini prossimi venturi del Libor – London interbank offered rate - il disgraziato riferimento del tasso interbancario "minacciato" da Bruxelles. La notizia che la Commissione sta valutando il trasferimento delle attività di regolamentazione di diversi benchmark, oggi sottoposti alla supervisione di organismi nazionali, alla corte dell’Esma (European securities markets authority) con vista sulla Senna, scuote la City e si riverbera sul dibattito politico nazionale dominato, come mai prima d’ora, dall’irrisolvibile euroincertezza britannica. Se almeno l’Esma avesse sede in una capitale minore e non a Parigi, l’impatto sull’immaginario londinese sarebbe meno violento.
Prende, invece, corpo, una volta di più, il timore che dall’altro lato della Manica, e dal continente tutto, possano muovere attacchi all’industria finanziaria, pietra angolare di servizi che stanno dando a Londra la sensazione di un rimbalzo economico assai solido, molto oltre le attese. Sono di due giorni fa i dati Pmi che indicano la più consistente crescita registrata nell’ultimo anno dal settore chiave per l’economia del Regno. E servizi, in Gran Bretagna, significa sostanzialmente finanza e indotto, a cominciare dalle attività degli studi legali.
La coincidenza di una congiuntura tanto positiva con la volontà europea di sottrarre a Londra la regolamentazione ultima del Libor, è bastata per indurre un influente eurodeputato, Sharon Bowles capo della Commissione affari economici e monetari dell’Europarlamento, a definire "invadente" l’idea del commissario Michel Barnier. «Ogni forma di regolamentazione esterna - ha argomentato interpretando il pensiero prevalente a Westminster - tocca corde molto sensibili». Nel caso Libor in particolare, anche se va precisato che l’iniziativa europea non è mirata esclusivamente sul benchmark del tasso interbancario, ma verso «tutti quegli indici che sono critici per gli interessi di diversi stati membri...e pertanto possono essere meglio amministrati dall’Esma», come precisa il documento della Commissione secondo quanto riportato da fonti britanniche. E questo significa che potrà riguardare quelli sulle materie prime e non solo, amplificando la sensazione di "scippo" europeo su un tesoretto tradizionalmente britannico, se non altro perchè è quassù che i traders operano. E lo fanno con eccessi di zelo come si è visto in una sequela di scandali senza fine, esplosi nel caso Libor che ha messo in relazione, in ultima istanza, la retribuzione del banker con il fixing di un tasso che regola 300mila miliardi di dollari di transazioni globali. L’odore di marcio s’è levato alto e forte attorno al tasso interbancario londinese imponendo a tre banche coinvolte nel fixing – Rbs, Barclays, Hsbc – una multa dei regolatori anglo-americani che supera in totale i due miliardi e mezzo di dollari. E costringendone una – Barclays – a liquidare l’intera prima linea di management, dal presidente al ceo, reinventandosi un modello di banking lontano dalla attività di investimento care a Bob Diamond. Il Libor è stato un terremoto su Londra e proprio per questo sarebbe stato legittimo attendersi l’accoglimento senza eccessive polemiche della "sentenza" europea. Il Tesoro, ufficialmente, fa sapere di essere tranquillo. E lo è, crediamo, sulla scorta di almeno due considerazioni: in primo luogo la Gran Bretagna s’è purgata, avviando un ripensamento globale del sistema di fixing delineato nel Wheatley report che assegna ad una nuova authority, la Fca, la supervisione del benchmark; in secondo luogo perchè è convinta che nella forma attuale le proposte della Commissione non passeranno mai.
E’ possibile, ma non è affatto scontato anche perchè alcuni spunti messi a fuoco da Bruxelles sono incontenstabili come la necessità che il tasso sia il frutto di transazioni autentiche e non di ipotetiche previsioni come prevedono le norme lasse del vecchio regime, gestite dalla British banking authority. Il destino della riforma europea del Libor avrà ripercussioni politiche oltre che strettamente finanziarie. Anzi prevalentemente politiche. Il premier conservatore David Cameron è sotto schiaffo, come mai prima d’ora, dall’ala euroscettica che vuole Londra fuori dall’Unione. Ha già ceduto all’offensiva neo-isolazionista impegnandosi in un referendum sull’adesione all’Ue, sperando di rintuzzare l’avanzata del fronte eurofobico dell’United Kingdom Independence party. Calcolo sbagliato: il consenso continua ad aumentare mentre influenti ministri si sono espressi contro l’abbraccio dell’Unione. In uno scenario del genere accettare la partenza del Libor, simbolo potente della finanza di Londra, dalla stessa Londra, ha il sapore di un azzardo. Per questo la Gran Bretagna è oggi, forse, "tranquilla", ma già pronta a una nuova battaglia.