Tommaso Cerno e Susanna Turco, l’Espresso 7/6/2013, 7 giugno 2013
I DOLORI DI GRILLO
A Montecitorio c’è chi cita una variante della celebre freddura di Mark Twain sulla propria presunta morte: «La notizia non è falsa, ma fortemente prematura». E il riferimento va al goffo tentativo del fu segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che in streaming cercò i voti per un governo con il M5S. Forse la prospettiva non era falsa. Forse, era solo (parecchio) prematura. Ci voleva un flop elettorale, i sondaggi in calo, gli scontri interni, e insomma un generale imbastardimento della creatura pentastellata, per cominciare a intravederla. Ci volevano i dolori del non più giovane (nemmeno politicamente) Grillo, e i timori di una sinistra sterilizzata dalle larghe intese con Berlusconi. E così, oggi che - defunta l’ipotesi Bersani - a palazzo Chigi siede Enrico Letta con una maggioranza di governo che si regge sulla traballante alleanza Pd-Pdl, cresce paradossalmente il fronte dei pontieri, deputati e senatori che giorno dopo giorno, tra commissioni, tavoli di lavoro, incontri più o meno riservati, cuciono i lembi di un dialogo, magari di un’intesa. Forti dei sondaggi che dimostrano come quasi il 35 per cento degli elettori dell’ex comico giudichino il no al Pd un’occasione persa.
Tutto questo succede perché il monolite a Cinque Stelle non è più così monolitico. E perché il suo leader infallibile non è più così infallibile. E qualche errore l’ha fatto pure lui. Per quanto abbia insistito sulla grande vittoria anche alle amministrative, Grillo si trova troppi fronti aperti: la trasparenza del suo movimento (lo statuto, i gangli di comando, la gestione del denaro); i meccanismi decisionali anche nel rapporto con la Rete (tra gli eletti si moltiplicano insofferenze e ribellione, sul Web non c’è più il tifo unanime e fioriscono le critiche); e soprattutto il dove portare una formazione politica che è troppo grande per poter essere solo opposizione e troppo giovane per restare compatta. Quasi perfetto tre mesi fa, nella sua entrata in scena nel gioco parlamentare, M5S vive (e soffre) una sorta di normalizzazione schizofrenica. Dall’alto, quella di un leader che tuona contro tv e giornalisti ma intanto mette in piedi con il socio Casaleggio una scuoletta per studenti meritevoli di finire davanti alle telecamere. Dal basso, per così dire, quella di parlamentari che sono ormai abituati (orrore, per Grillo) ad attaccare bottone coi giornalisti, che magari (vedasi il pur allineatissimo Alessandro Di Battista) cominciano a trovare interessante lo studio antropologico di personaggi come il pidiellino Fabrizio Cicchitto, o che addirittura (è il caso del “traditore” Tommaso Currò) spiegano, «affascinati dalla democrazia parlamentare», che «bisogna frenare gli slogan ed entrare nella complessità». È questo il bivio davanti a cui è fermo Beppe Grillo. Un bivio che sembra ormai impossibile ignorare dopo il flop alle amministrative (meno del 13 per cento a Roma) e i sondaggi che lo danno in calo anche nelle proiezioni nazionali (vedi box sotto). Da una parte il “contagio” con la politica tradizionale (dialogo e alleanze al governo e sul territorio), dall’altra un “uno contro tutti” che però, finora, non sembra avere pagato. Eppure, mentre il guru lancia anatemi, in Parlamento sembrano avviarsi già le prove generali. Fra dem allergici alle larghe intese, vendoliani a caccia di nuovo sangue e nuovi voti e pentastellati in odor di ribellione, con la scure di nuove espulsioni sempre sul collo, qualcosa a sinistra si muove. Per qualcuno è il seme di chissà quali nuovi gruppi parlamentari, capaci di ribaltare l’ordine attuale e mettere sotto scacco il Cavaliere, per altri è solo una strategia del Pd per spaccare il M5S e fargli perdere voti, per altri ancora sono convergenze isolate, su singoli temi, che non avranno nessun respiro politico. Eppure, da Pippo Civati a Giorgio Airaudo, dal giovane Alessandro Zan alla grillina ad honorem Laura Puppato, da Giulio Marcon al prodiano Sandro Gozi il fronte dei cacciatori di grillini s’allarga. E, a leggere bene fra le scartoffie del Palazzo, spuntano già i primi progetti a firma congiunta: M5S da una parte, Pd e Sel dall’altra. Dagli Ogm, all’acqua pubblica, dalla Tav agli F35.
INTESE EXTRA LARGE
Nel Pd il “non allineato” per eccellenza è proprio Civati da Monza, che negli ultimi due mesi - da sempre distante dal mainstream del Pd - ha scongelato più di tutti il blocco grillino, costruendo rapporti personali con i deputati più inclini al dialogo con i democratici, da Currò a Adriano Zaccagnini. A fargli da sponda in Senato, la collega Puppato da Montebelluna, il piccolo comune veneto di cui è stata sindaco e che già dal 2007 varava delibere contro le emissioni di Co2 in atmosfera, tanto da guadagnarsi gli elogi pubblici di Beppe Grillo, allora in veste da comico, sui palcoscenici. Forte di questa medaglia, la neo-senatrice rivendica un ruolo di pontiere e sta mettendo in fila a palazzo Madama più di qualche alleato grillino, assieme alle colleghe Nicoletta Favero e Elena Ferrara, passando per Walter Tocci e Lucrezia Ricchiuti, «senza troppo sforzo», aggiunge lei, «perché sarebbe la nostra strada naturale, visti i temi su cui stiamo lavorando insieme». A portare acqua alla convergenza extralarge della sinistra, ci sono pure i pescatori vendoliani. Primo fra tutti Giorgio Airaudo, ex dirigente della Fiom, che dalla sua Val di Susa ormai da anni sfila insieme ai grillini sotto le bandiere No-Tav. Ma a chi parla di scouting il sindacalista-onorevole ribatte, forse più per strategia che per convinzione, con una massima cara a Grillo: «Quello che unisce sono i problemi concreti, i temi ambientali, il disarmo, il lavoro. Io non ho mai visto nascere nulla di buono da qualcosa che si rompe, basta ricordare il governo D’Alema nato con Cossiga. Qui facciamo politica, non campagna acquisti». Sarà, ma guarda caso anche la capogruppo in Senato, Loredana De Petris, è attentissima a ogni possibile intesa con gli stellati . Tanto che i bene informati ripetono che dietro agli ammiccamenti c’è il progetto concreto - e ben più dirompente - di un nuovo gruppo al Senato, composto di fuoriusciti, ribelli ed espulsi dal guru Beppe. A spingere in questa direzione anche il deputato padovano Alessandro Zan, in prima linea su ambiente e diritti civili, assieme a Giulio Marcon, animatore dei tavoli di lavoro su pace e disarmo. In sintonia pure con gli stellati Giovanni Barozzino e Alessia Petraglia.
NON CHIAMATECI RIBELLI
Sul fronte grillino c’è chi ascolta più degli altri. «Ma non chiamateci traditori», ripetono. Il più attivo, in cima alla lista degli indiziati per “eresia” da dialogo, è proprio Currò, fisico messinese, ex elettore del Pd. Primo tra i dissidenti pentastellati in Parlamento, si è battuto per un governo col Pd, per scegliere «insieme» il presidente della Repubblica, ha poi tentato di depotenziare la battaglia sulla diaria («Il vero tema è la linea politica»), spiegato che il flop alle amministrative è colpa delle «promesse tradite», insomma si è talmente distinto che ormai si dice che gli incontri coi piddini di Civati avvengano a casa sua. Appena un rigo sotto ci sono Zaccagnini, il deputato laureato in scienze politiche, definito dalla ex capogruppo Roberta Lombardi «un contadino », fan delle «menti pensanti che non siano schiave dei mass media e della moralità» e dunque predestinato a cercare un altro ordine possibile; Alessio Tacconi, che da tempo predica «un dialogo serio e strutturato con le altre forze politiche»; Walter Rizzetto, neo-deputato friulano che, prima dell’infatuazione per Grillo, si professava elettore di An, Lega e poi Antonio Di Pietro, abituato, dunque, all’elasticità. Gente che per lo più rimpiange di non aver potuto «incidere sul governo», di essersi «tagliata fuori da sola». E c’è chi più di altri lavora ad entrare nel gioco del dialogo. Come Federica Daga, che è passata dal bere solo acqua di rubinetto a occuparsi in modo intensivo del tema “acqua” a livello parlamentare, o Elena Fattori, concentrata al dialogo sugli Ogm. E ancora Paola De Pin, che appena arrivata al Senato dal trevigiano ex feudo leghista disse: «Non siamo un movimento del no, le cose di buon senso si votano», e ora segue questa scia alla faccia degli strepiti del capo.
IN NOME DELLA LEGGE
Su alcuni temi, in effetti, le strade fatalmente si incrociano. Anche fisicamente, come accade ogni volta con i No-Tav: una protesta su cui il valsusino a cinque stelle Marco Scibona non si distingue dall’ex Fiom Airaudo, il quale marciandogli a fianco per la stessa battaglia appunto spiega che «la distanza tra grillini e centrosinistra non è incolmabile ». Non incolmabile per una parte dei cinque stelle, almeno. La fetta che nei conversari tra vendoliani viene definita di sinistra: «Li riconosci subito, sono quelli che invece di attaccare gli avversari politici polemizzano fra loro», ironizzano con sarcasmo. I segni dell’incrocio possibile, del resto, si fanno visibilissimi, col nome in codice di “intergruppo”. Come è accaduto per la mozione contro gli F35, quella che porta a prima firma il Sel Marcon, ma sulla quale si è dato molto da fare anche il cinque stelle Paolo Bernini. Scorrendo l’elenco delle 158 firme, la prima pagina pare una sinfonia: un deputato di Sel, uno Cinque Stelle, uno del Pd. Poi, esauriti i 13 firmatari democratici, si passa all’alternanza Sel-Cinque Stelle, e infine alla voce sola dei Cinque Stelle (che alla Camera sono più di Sel). Poi certo, ciascuno deve fare i conti con i problemi di casa propria: per cui alla conferenza stampa di presentazione della mozione i democratici si sono dileguati e, quando si è trattato di rintuzzare il ministro della Difesa Mauro, i Cinque Stelle sono rimasti in silenzio - richiamati all’ordine dai responsabili comunicazione del movimento. Ma tant’è. Intanto, in pista c’è la mozione No-Tav, presentata anche quella in rigorosa alternanza Sel-Cinque stelle. E convergenze più piccoline, quasi si direbbe di bottega. Come quella su Cividale, che vede uniti il dialogante Rizzetto, friulano, con il dialogante democratico Ettore Rosato, triestino, a chiedere al governo se «intenda promuovere con pubblicità istituzionale l’avvenuto inserimento nel patrimonio Unesco». Grande accordo? Macché, ironizzano i fan del governissimo con il Cavaliere. Finisce per fare un favore al Pdl. Nella cittadina longobarda governa il centrodestra.