Fabio Chiusi, l’Espresso 7/6/2013, 7 giugno 2013
CHI HA PAURA DELLA E-DEMOCRACY
Se la democrazia come la conosciamo funziona poco e male (e sempre più cittadini disertano le urne) si moltiplicano in Italia gli esperimenti per sostituirla o integrarla con nuove forme di partecipazione attraverso la Rete. È la cosiddetta "democrazia liquida" o "interattiva" promossa attraverso piattaforme informatiche come Liquid Feedback, ideata dai Pirati tedeschi, IdeaScale o le italiane Airesis e OpenDCN.
Gli obiettivi divergono: per Beppe Grillo, ad esempio, si tratta di realizzare «una iperdemocrazia senza partiti, con al centro i cittadini» che si autogovernano direttamente; per il presidente del Consiglio Enrico Letta, di apportare un più modesto «oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa».
L’interesse è trasversale, visto che vi hanno fatto ricorso gli attivisti del MoVimento 5 Stelle in Sicilia, prima, e del Lazio poi (in tutto, sono 29 i gruppi locali che lo implementano); ma anche Umberto Ambrosoli e Nicola Zingaretti, nella campagna per le elezioni regionali del 2013; e perfino Mario Monti, in qualche modo, durante le ultime politiche.
Lo strumento più usato è proprio Liquid Feedback. La trasmissione "Servizio Pubblico" di Michele Santoro aveva addirittura lanciato l’idea di un "partito liquido" (con tanto di logo registrato). Risultato? Diecimila iscritti, mille partecipanti. Ma è soltanto l’inizio. Michele Boldrin di Fare ha dato vita a una "costituente liquida" in cui discutere, tramite la piattaforma a codice aperto, struttura organizzativa, manifesto, codice etico e programma nell’era post-Giannino. Anche Laura Puppato (Pd) sta sperimentando con il software dei Pirati. L’iniziativa, presto on line, si chiama "TuParlamento". Al lavoro insieme alla Fondazione delle reti civiche milanesi, la senatrice democratica sostiene che il suo orizzonte ideale sarebbe «vedere queste piattaforme informatiche gestite direttamente dalle istituzioni», ma per rinnovare, e non distruggere, i partiti.
Di un vero e proprio Parlamento elettronico parlano invece gli attivisti del M5S nel Lazio. La proposta è la più strutturata tra quelle viste finora: si dettagliano due assemblee (una per le regole interne, una per l’attività legislativa e la "cosa pubblica"), se ne definiscono i criteri di appartenenza, si spiegano con estrema perizia meccanismi di reputazione, votazione e discussione sulla piattaforma. E si lancia anche qualche stilettata a Grillo e al suo staff, che promettono da mesi un equivalente a livello nazionale senza tuttavia far seguire alle parole i fatti, almeno finora. Nel frattempo, scrive l’ex candidato alla Regione Davide Barillari, «il movimento si è fino a ora trascinato in un limbo in cui non è né gerarchico né democratico: praticamente il Far West».
Altro motivo di attrito è la richiesta dei laziali di implementare un programma a codice aperto, idea che a Casaleggio e i suoi piace poco. Parlando con "l’Espresso", Barillari non cede di un passo: «Per noi l’open source è fondamentale e l’unica strada possibile». La sfida, prosegue, è semmai «creare l’interfaccia più semplice possibile, per coinvolgere la fascia di popolazione (penso agli anziani) che ha meno dimestichezza con l’informatica». Prevista anche una applicazione per tablet e smartphone.
Il team dei Cinque Stelle, con la collaborazione dell’Università di Bologna e del Parlamento europeo, dice Barillari, sta anche cercando di predisporre un tutorial che «guidi i cittadini nella scrittura di una legge» on line. L’obiettivo è passare dai 484 utenti che hanno partecipato alla stesura del programma per le regionali a «600 mila, se non di più». Una sfida non da poco, dato che al momento non esistono prove sul campo della praticabilità del sistema con numeri simili. La fase di test è alle ultime battute, presto ne sapremo di più.
In Liquid Feedback non si possono soltanto fare proposte (vincolanti o meno, dipende dalla scuola di pensiero), discutere quelle altrui, votarle e integrarle con suggerimenti e commenti. A cambiare è anche e soprattutto l’istituto della delega. Che diventa, appunto, "liquida": revocabile, cioè, in ogni momento. Così da scaricare parte del peso decisionale su chi si ritenga abbastanza competente sulla materia oggetto della deliberazione. E cambiare idea, in caso di ripensamenti, nei voti successivi.
I primi esperimenti, tuttavia, suggeriscono che questa caratteristica centrale del nuovo sistema partecipativo è usata poco o nulla. Secondo l’analisi dei dati raccolti tra gennaio e febbraio 2013 sulla piattaforma di Ambrosoli da Fiorella De Cindio e Stefano Stortone, del dipartimento di Computer Science dell’Università di Milano, il 25 per cento dei 134 partecipanti (a fronte di 1.320 iscritti) non sapeva nemmeno esistesse. Il 20 per cento, poi, non ne ha compreso il significato e il 13 per cento l’ha trovata utile ma senza sapere a chi delegare. «Nessuno sostanzialmente l’ha usata», riassumono gli autori in un saggio di prossima pubblicazione. Motivo? «Riteniamo che questo risultato si sia prodotto perché la delega è in qualche modo una caratteristica inaspettata all’interno di un’iniziativa di partecipazione civica, ed è pure inusuale in un Web 2.0 in cui le persone sono abituate a votare direttamente tutto ciò che "piace"».
Diversi gli esiti dell’esperimento della stessa De Cindio nella successiva consultazione in stile "quirinarie" del M5S (Ambrosoli era uno dei "grandi elettori" chiamati a rappresentare la Lombardia), nella quale sono stati inseriti tra i candidati anche i nomi di Massimo D’Alema e Giuliano Amato. L’intento era capire se gli utenti si sarebbero avvalsi o meno della funzionalità del software che consente di dire anche chi o che cosa non si preferisce. E lo hanno fatto eccome, spiega la docente: «Una conferma che Liquid Feedback permette di tracciare anche il dissenso». Limitando così eventuali derive plebiscitarie.
L’impressione che si ricava dalla valutazione degli esperimenti di democrazia digitale nel nostro Paese è che tutto o quasi sia ancora da fare, ma che le potenzialità non manchino. Dipende tuttavia dall’obiettivo. Pensare che la tecnologia possa sostituire la politica è un’utopia che si può rovesciare troppo facilmente nel suo contrario. Tanto più che «l’idea di rendere vincolante quello che emerge dalla consultazione è una forzatura costituzionale», dice De Cindio.
L’altro lato della medaglia, il valore meramente consultivo, è tramutare la partecipazione in Rete in un accessorio ignorato o quasi nei reali processi decisionali. L’ennesima vetrina propagandistica per una politica che ha tutto l’interesse a mostrarsi il più digitale e trasparente possibile. Solo per poi procedere nei consueti metodi di gestione della cosa pubblica. La ricerca di una fruttuosa via di mezzo è appena cominciata.