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 2013  giugno 07 Venerdì calendario

COSÌ PARLÒ MCEWAN

Ci incontriamo per caso poco prima dell’appuntamento per l’intervista sulla strada che conduce al suo appartamento londinese. Siamo a Bloomsbury, nei pressi del British Museum: la zona prediletta di Virginia Woolf e, da allora, di tutti gli scrittori. Blue jeans, camicia bianca e giacca beige, Ian McEwan ha l’aria un po’ affaticata dopo il viaggio in automobile dalla residenza di campagna, ma questo non intacca la sua eleganza naturale. E si illumina subito parlando di vacanze: «Domani partiamo per Venezia, non vedo l’ora! Viene anche Julian Barnes, andiamo a trovare un amico comune che ha acquistato una casa vicino all’Arsenale. Certo che pasticcio politico avete in Italia. Lo trovo straordinario, il Paese ha i riflettori di tutto il mondo puntati continuamente addosso, eppure non cambia mai nulla».
Dentro casa un arredamento sobrio e moderno, piuttosto minimalista, e la vista su un vicolo privato. Un’oasi di pace e tranquillità al centro di Londra: il sogno di ogni scrittore. Ci accoglie la moglie di McEwan, Annaleena McAfee. Anche lei giornalista e scrittrice (Einaudi ha pubblicato di recente il suo romanzo "L’esclusiva"), di origini scozzesi come McEwan, conobbe lo scrittore poco dopo il suo divorzio dalla prima moglie durante un’intervista per il "Financial Times", di cui dirigeva il supplemento culturale. La MacAfee porta un vassoio con il tè e si ritira a lavorare nel suo studio.
Romanziere, conferenziere e collaboratore del "Guardian", McEwan è da molti anni uno degli scrittori più amati, letti e venduti al mondo. I suoi romanzi, tutti pubblicati in Italia da Einaudi (dal primo, "Amsterdam", premiato con il Booker Prize, fino al recente "Miele", storia di un’avvenente ma ingenua spia dei servizi segreti britannici, Serena Frome), collezionano premi e trasposizioni cinematografiche. «Per "Miele" c’è un’opzione di Miramax sui diritti», annuncia l’autore: «E stanno per inziare le riprese del mio libro precedente, "Chesil Beach". Doveva dirigerlo Sam Mendes, ma poi è stato chiamato per James Bond. Ora abbiamo Mike Newell». McEwan è anche uno degli ospiti più ambiti dai festival letterari. Il 6 luglio parlerà in Piemonte, per il festival "Collisioni" che si tiene a Barolo («È uno dei miei vini preferiti! Non per niente Serena lo beve con il suo professore-amante in "Miele"!»). E non è l’unico impegno italiano: «Ho scritto delle canzoni jazz che saranno eseguite il 4 luglio da Angela Hewitt, cara amica e pianista fantastica, nel corso del "Festival Jazz del Trasimeno". Stiamo provando in questi giorni qui a Londra».
Anche queste canzoni parlano d’amore? È uno dei temi principali dei suoi romanzi; amore tra fratelli, eterosessuale, omosessuale, incestuoso, psicotico.
«L’amore è sempre importante per gli scrittori. Se vogliamo raccontare la società e la natura umana in tutta la sua bellezza e bruttura abbiamo bisogno di un campo da gioco: di un’arena, direi. E il rapporto amoroso tra due persone costituisce la più vasta arena per un romanziere: possiamo riempirlo di tradimenti, speranze, idealismi, malintesi, mancata comunicazione - la lista è infinita. Pensi a un classico come "Clarissa" di Samuel Richardson: un’arena che si estende per ben sette volumi».
E per quanto riguarda i rapporti amorosi nella sua fiction?
«Proprio in "Miele" i due protagonisti, Serena e Tom, incarnano quello che per me è una coppia perfetta. Le spiego. La loro relazione parte su una base fragilissima: Tom spia l’ignara Serena, che di professione è una spia e che lo ama senza sospettarlo. La relazione evolve in modo imprevedibile e alla fine Serena legge finalmente il manoscritto di Tom che è il romanzo che ha sempre sognato: quello romantico, che si conclude con una domanda di matrimonio, da parte del pentito e innamorato Tom. Come scrittore ho lasciato aperto il finale, ma come lettore direi che Serena accetta».
Sta parlando come autore e lettore insieme. Il rapporto tra autore e lettore è una costante nei suoi romanzi: sempre in "Miele", ma soprattutto in "Espiazione". È un tema che la tocca da vicino?
«In effetti Serena e Tom rappresentano due tipologie opposte di lettore. Serena non è un’intellettuale, ma una lettrice curiosa, ama la finzione letteraria e le storie d’amore, ma in modo meno esigente rispetto a Tom. Essendo anche scrittore, oltre che bugiardo di professione, Tom incarna il tipico narratore, interessato anche al lato intellettuale della storia. Per me, in quanto scrittore, uno scambio tra questi due tipi diversi di lettore è l’ideale».
E che lettore è, Ian McEwan? Qual è l’ultimo libro che ha letto?
«L’ultimo di John Le Carré, "A delicate truth": fantastico, mi è piaciuto molto».
Ha detto che meriterebbe il Booker Prize.
«Sì. Piace anche agli italiani, sebbene sia così inglese? Anzi, devo mandargli una lettera di ringraziamento per questo libro».
Lei scrive anche per i giornali. Come cambia il lavoro del romanziere che scrive un articolo?
«In realtà non amo molto scrivere per la stampa. Lo faccio solo quando l’argomento mi riguarda o mi tocca da vicino. È stato il caso del decesso del mio amico John Updike o della controversa Margaret Thatcher. Il pezzo sulla Thatcher l’ho scritto seduto sul letto di una camera d’albergo nel Gran Canyon. Mi hanno dato un’ora per scrivere 10 mila parole: e anche se mi piace avere scadenze precise, per tutta quell’ora ho continuato a chiedermi perché stavo lì a scrivere e non ero fuori a far trekking con gli altri».
Lei partecipa spesso ai festival letterari. Che, secondo un’opinione abbastanza diffusa, non sono altro che operazioni di marketing.
«Ma no, affatto! Per me sono occasioni non solo per parlare con il pubblico ma anche per rivedere amici scrittori di vecchia data. Mi piace l’entusiasmo dei lettori, e persino la fila a volte interminabile che fanno per avere un autografo. Sono scambi umani molto belli e produttivi, per chi sa ascoltare. Sarei un ottimo organizzatore di festival: ho sviluppato un’infallibile strategia per convincere scrittori riluttanti a partecipare. Basta invitare amici dell’autore in questione, in particolare quelli che vivono lontano. Ad esempio, se si vuole avere Paul Auster, basta invitare anche il suo migliore amico, Tobias Wolff, e il gioco è fatto. Un elemento meno piacevole è il viaggio, sempre più difficile e faticoso, e anche l’interruzione del processo creativo della scrittura. Se non ho terminato il mio lavoro, non vado da nessuna parte: è troppo difficile ritrovare la concentrazione dopo tanta distrazione».
Il festival "Collisioni" ha una struttura particolare, promuove insieme musica e letteratura. Cosa ne pensa?
«Sono uno sostenitore sempre più convinto del dialogo tra musica e letteratura. Non a caso ho scritto di recente un libretto d’opera, "Per te", per la musica di Michael Berkeley, e ora queste canzoni per la Hewitt».
Qual è la differenza tra scrittura di testi jazz e fiction?
«La musica esprime idee e trasmette significati in modo molto diverso dalla letteratura. Alla fine di un concerto il pubblico avrà impressioni e opinioni molto diverse sulle melodie ascoltate. La letteratura esprime idee, trasmette messaggi e significati in modo oggettivo. Se scrivo: "C’è una bottiglia di vino sul tavolo", questo passaggio esprime una realtà oggettiva. Se il mio amico Michael volesse esprimere la stessa immagine in musica, be’ le lascio immaginare. La musica mi ricorda un passaggio di Philip Larkin: "Leaves coming on a tree: something almost being said..." ("Foglie che spuntano su un albero: come qualcosa di quasi detto...", ndr.). La stessa cosa avviene al cinema: il visivo è molto più oggettivo dell’astrazione musicale».
E il suo prossimo lavoro allora cosa sarà? Un libro o un altro libretto?
«Sto preparando un nuovo romanzo, il protagonista è un giudice. Ma la gestazione come sempre sarà lunga: passo molto tempo a pensare, sono molto lento. Per ora sto leggendo tutto quello che trovo sull’argomento. Ma non c’è molto: c’è letteratura in abbondanza su poliziotti e spie di tutte le nazionalità, su studi di avvocati abilissimi e indomiti, ma quasi nessuno parla dei giudici. E invece giudici e scrittori hanno un compito simile, in fondo: prendono decisioni che determinano destini umani».