Antonio Carlucci, l’Espresso 7/6/2013, 7 giugno 2013
PER GLI USA IL PERICOLO GIALLO È MILITARE
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha saputo che cosa vuole il nuovo presidente della Cina Xi Jinping da Tom Donilon, il consigliere per la sicurezza nazionale: Xi aspira a «un nuovo tipo di relazione tra due grandi potenze». La formula è il riassunto che Donilon ha fatto degli incontri avuti a Pechino con il generale Fan Chang Long, il numero uno della Commissione militare centrale del Partito comunista, per preparare l’incontro di due giorni (7 e 8 giugno) tra Obama e Xi nel ranch californiano di Sunnyland. Ed è chiara e ambigua al tempo stesso: chiara perché rivela come i cinesi vogliano dire che di super potenze non ne esiste solo una, ovvero gli Stati Uniti, e dunque vogliono essere trattati come tali da ogni punto di vista; ambigua perché il percorso attraverso cui arrivare al "nuovo tipo di relazione" è sconosciuto e tutto da inventare. Ma sicuramente i due pilastri su cui si reggerà sono i rapporti economici e quelli militari. I legami economici tra Stati Uniti e Cina sono ancorati profondamente al fatto che Pechino possiede una fetta importante del debito pubblico americano: 1.250 miliardi di dollari, e questo dice quanto i due Paesi siano oggi interconnessi. Washington dipende dall’economia cinese più di quanto Pechino da quella americana: le esportazioni Usa verso la Cina valgono oltre 110 miliardi di dollari, mentre le importazioni hanno superato abbondantemente i 315 miliardi di dollari. Per evitare che questo scarto diventi ancora più marcato l’amministrazione Obama ha rivisto il modo di fare politica attraverso il commercio: la visione globale del tavolo di Doha è stata sostituita da un approccio regionale e multilaterale. Così sono nate le Trans-Pacific Partnership, tutte dedicate ai Paesi dell’Asia, più Australia e Nuova Zelanda, che sottintendono la volontà di aprire linee preferenziali con singole nazioni e gruppi di nazioni. Negli accordi sempre più spesso compaiono regole che favoriscono le relazioni economiche solo se esistono standard riconosciuti sul costo del lavoro, sull’ambiente nei luoghi di produzione, sulle libertà dei lavoratori. Tutti dettagli che mettono in difficoltà i cinesi che non sono pronti a seguire modelli di sviluppo più democratici. Queste attività si accompagnano a una pressante politica di rapporti bilaterali in cui Washington cerca di espandere la sua influenza nel continente asiatico. Si vedano gli ultimi successi con l’ex dittatura della Birmania e con il Vietnam. Molto più complicata è la partita dei rapporti strategici e militari. I cinesi vogliono il riconoscimento del loro nuovo corso militare. Gli americani non intendono perdere l’influenza che hanno in tutta l’area, a cominciare dalla libertà di navigazione nel Mar Giallo e nel settore occidentale dell’Oceano Pacifico. Il dossier militare si fonda sulla decisione di Pechino di avviare (ormai un decennio fa) una massiccia politica di investimenti militari: la spesa per la difesa di Pechino ha toccato nel 2012 quasi 110 miliardi di dollari con un incremento rispetto all’anno precedente dell’11 per cento. Poco in confronto a quella americana che nel 2012 valeva 664 miliardi di dollari, molto se si considera che la priorità è dotarsi di una flotta di alto mare, di una portaerei, di aerei Stealth: una scelta che evidenzia la volontà di controllare i mari intorno alla Cina che sono anche il luogo di alcuni contenziosi con Paesi limitrofi come Giappone, Corea del Sud e Taiwan per il controllo di alcune isole e, soprattutto, di giacimenti di idrocarburi e gas. Ci saranno mosse e contromosse nel campo delle relazioni militari, arretramenti e improvvise aperture. Se gli americani poggiano tutto il loro potere sulla Settima Flotta e sulle basi militari in Giappone e Corea del Sud, nelle mani del presidente cinese Xi c’è un regalo che Washington vorrebbe subito. Ovvero che Pechino decida di non consentire più alla Corea del Nord di presentarsi come una minaccia alla pace, salvo poi fare marcia indietro una volta ottenuti prestiti e finanziamenti. Anche da Washington.