Minxin Pei, l’Espresso 7/6/2013, 7 giugno 2013
INDIA E CINA INSIEME PER IL BUSINESS
Stando alle dichiarazioni ufficiali in occasione della visita a New Delhi del nuovo premier cinese, Li Keqiang, si direbbe che i due giganti asiatici, rivali a livello geopolitico nella regione del mondo a più rapida crescita, siano sul punto di mettere da parte le divergenze e si accingano a dare avvio a una nuova era di amicizia e cooperazione. Li e il suo corrispettivo indiano, Manmohan Singh, hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui si afferma che la Cina e l’India sono «partner, non concorrenti». Inoltre hanno siglato una serie di accordi commerciali e di memorandum di intesa mirati a rafforzare i legami commerciali tra i due Paesi, promettendo di portare gli scambi bilaterali dai 68 miliardi di dollari del 2012 a 100 miliardi di dollari nel 2015. Li si è impegnato a incrementare le importazioni di prodotti indiani e a ridurre il deficit commerciale che l’India registra attualmente nei confronti della Cina, pari a 29 miliardi di dollari.
I due Paesi hanno addirittura compiuto dei passi avanti nei difficili rapporti in materia di sicurezza. Entrambi i leader si sono detti pronti a rinnovare gli sforzi per risolvere le dispute sui confini. Inoltre è stata annunciata l’intenzione dei due Paesi di rafforzare la cooperazione marittima e di programmare una nuova tornata di esercitazioni militari congiunte.
Gli esiti della visita del premier cinese in India sono senza dubbio positivi agli occhi di chi guarda con preoccupazione il recente deteriorarsi dei rapporti sino-indiani. L’aspetto più straordinario non sta nell’altisonante comunicato congiunto, ma nel semplice fatto che la visita di Li abbia avuto luogo. Un mese prima del previsto arrivo del premier cinese a New Delhi, circa 50 militari cinesi hanno attraversato la linea non demarcata di effettivo controllo che separa i due Paesi, accampandosi 19 chilometri all’interno del territorio indiano, dove sono rimasti fino ai primi di maggio. Se questo incidente non fosse stato pacificamente risolto, senza dubbio la visita di Li sarebbe stata cancellata.
La penetrazione delle truppe cinesi in territorio indiano è valido simbolo delle divergenze e della profonda diffidenza che caratterizza i rapporti tra Cina e India. Finché esisterà questa frattura, Washington non dovrà preoccuparsi di una possibile alleanza tra Pechino e Nuova Delhi.
A dispetto delle rassicurazioni espresse da Li e dal premier indiano Singh durante la visita, la realtà è che i rapporti sino-indiani continuano a essere improntati alla rivalità strategica. Gli analisti cinesi vedono l’India come pedina del piano americano per contenere l’influenza della Cina e come minaccia alle linee marittime di comunicazione vitali per la il gigante asiatico (in quanto la marina indiana può facilmente interdire il passaggio delle petroliere dirette in Cina nell’Oceano Indiano). I vertici della sicurezza nazionale in India invece considerano la Cina una minaccia assai più seria del Pakistan e la accusano di sostenerne il programma nucleare e di rafforzarne le capacità militari. Nessun leader indiano poteva vedere di buon occhio la scelta di Islamabad come tappa successiva a Nuova Delhi del viaggio di Li (anche se non vi è stato siglato l’accordo nucleare sino-pakistano di cui si vociferava, evitando un grave dissidio diplomatico tra Pechino e Nuova Delhi).
La sensazione di minaccia incombente ha influenzato la strategia difensiva di entrambi i Paesi. Quanto alla Cina, l’impegno a garantirsi la sicurezza energetica è in parte motivato dal timore che l’India sia in grado di impedire l’accesso cinese ai carichi di petrolio provenienti dal Medio Oriente. Di conseguenza la Cina non solo sta investendo in una flotta oceanica (e costruendo vettori aerei), ma cerca anche un appoggio strategico in Pakistan e Sri Lanka, dove fornisce assistenza per la costruzione di porti destinabili ad uso militare o a reindirizzare le forniture di petrolio. L’India ha dedicato le sue limitate risorse di difesa a rafforzare i presidi armati lungo i 3.500 chilometri di confine schierando caccia avanzati e truppe ben addestrate.
Pur non potendo eguagliare le spese militari cinesi rupia su rupia (la sua economia equivale al solo 20 per cento di quella cinese) l’India ha incrementato l’acquisto di sistemi d’arma avanzati dall’Occidente per rispondere alla modernizzazione militare cinese. Sarà forse esagerato parlare di una corsa agli armamenti tra Pechinio e Delhi, ma che i rapporti sino-indiani abbiano carattere di competizione è reale e palese.
La diffidenza a livello strategico ha inoltre limitato il potenziale economico tra Cina e India. Benché gli scambi siano passati da 2 miliardi di dollari nel 2002 a 68 miliardi nel 2012, continuano a sussistere radicate barriere al commercio e agli investimenti. Gran parte delle esportazioni indiane verso la Cina è costituita da materie prime, come minerali di ferro, mentre la Cina vende all’India più prodotti elettronici ad alto valore aggiunto e manufatti. I prodotti indiani competitivi, come i farmaci e i servizi informatici, sono oggetto di restrizioni commerciali mentre i produttori di dispositivi telefonici a basso costo, come Huawei e Zte, incontrano rigide limitazioni alle attività e agli investimenti in India perché preoccupano i legami che intrattengono con il governo cinese. In parte a motivo del timore indiano nei confronti della Cina, solo 500 milioni di dollari di investimenti diretti cinesi si sono indirizzati verso l’India , una goccia nel mare degli investimenti diretti cinesi all’estero.
È poco probabile che la diffidenza e la rivalità profondamente radicate nei rapporti tra Cina e India mutino in tempi brevi. Per gli Stati Uniti può essere un bene e un male.
Da un lato Washington non deve preoccuparsi troppo di perdere l’India come partner nel tentativo di arginare l’influenza cinese in Asia. Il timore nei confronti della Cina farà sì che l’India conti sempre sull’appoggio statunitense per il mantenimento dell’equilibrio strategico in Asia.
D’altro canto il balletto diplomatico tra Pechino e Nuova Delhi dovrebbe costringere Washington a ripensare il legame Usa-India nel contesto della competizione strategica americano-cinese. Alcuni vertici statunitensi da tempo accarezzano l’idea di usare l’ India come strumento di equilibrio strategico contro la Cina. Questa posizione ha spinto l’amministrazione di George W. Bush a offrire all’India un accordo sul nucleare civile di portata storica, seppur discusso (che di fatto garantisce all’India lo status di potenza nucleare). Ma questi signori ignorano una realtà fondamentale del pensiero strategico indiano: Nuova Delhi non vuole essere pedina di nessuno. L’India massimizzerà i vantaggi derivanti dai più stretti legami con gli Usa, ma non seguirà Washington a occhi bendati. Lo dimostra la decisione di preferire agli F-16 i caccia francesi Rafale nell’appalto da 20 miliardi di dollari per la modernizzazione della sua flotta aerea.
Nel gestire i rapporti effimeri con Pechino nel contesto della partnership strategica Usa-India, Delhi si è impegnata a fondo per raggiungere un delicato compromesso. La cosa migliore per l’India è intrattenere rapporti amichevoli con gli Usa senza inasprire la rivalità con la Cina. I leader indiani comprendono perfettamente che, dato il potere cinese e la sua capacità di ledere gli interessi indiani, sarebbero folli a subordinare la politica indiana nei confronti della Cina agli interessi strategici americani. Il risultato di questo esercizio di equilibrio è che l’India si manterrà, quanto meno in superficie, in rapporti operativi con la Cina.
Questa politica di buon senso in realtà è utile agli interessi americani. Washington potrà anche sperare di cooptare l’India come potenziale alleato nel confronto con la Cina, ma al momento, finché i rapporti Usa-Cina si manterranno relativamente stabili, l’ultima cosa che gli States auspicano è un rapporto ostile e teso tra le due potenze asiatiche. Un’ostilità dichiarata tra Cina e India non solo destabilizzerebbe l’Asia, ma costringerebbe gli Usa ad assumere una posizione, una decisione che i vertici americani non desiderano prendere alla leggera. Quindi, invece di perdere il sonno per la visita di Li a Delhi, Washington farebbe bene a tirare un sospiro di sollievo e invidiare gli indiani per l’astuzia diplomatica.