Carlo Bonini, la Repubblica 7/6/2013, 7 giugno 2013
DAL SANGUE SUI PANTALONI AI SEGNI DEL PESTAGGIO QUELLE PROVE IGNORATE IN AULA
ROMA — Se si ha la pazienza di rileggere gli atti del processo Cucchi, se ne comprende l’esito sconvolgente. La sentenza della terza Corte di Assise che derubrica le responsabilità della morte di Stefano alla sola negligenza dei medici dell’ospedale Sandro Pertini, elidendo come irrilevante quanto accaduto nei sotterranei del palazzo di giustizia, è figlia infatti della decisione del collegio di assumere in toto le conclusioni della perizia di ufficio. Un lavoro che ha richiesto sei mesi, che ha riscritto la “verità” sull’agonia e la morte di un ragazzo di trent’anni, accompagnandola su un binario cieco. Una “verità” che, all’osso, suona così. Stefano Cucchi muore per «una sola causa». Per «sindrome di inanizione», vale a dire di fame e di sete. È vero — concedono i periti — la sua colonna vertebrale presentava una frattura al coccige. Ma solo quella e non invalidante. È vero — aggiungono — il suo corpo mostrava segni di traumi recenti.
Ma in nessun modo collegabili in un rapporto di causa-effetto al precipitare del suo quadro clinico e comunque «compatibili» con «una caduta dalle scale», piuttosto che con un pestaggio. Dunque, se responsabili ci sono in questa storia, sono due. I medici del Pertini che non si sono accorti che stavano perdendo un paziente per auto-consunzione. Nonché il fisico fragile e minato da un passato di tossicodipendenza della vittima. Detta altrimenti: Cucchi sarebbe potuto morire anche da solo se sottoposto a un regime alimentare simile a quello che ebbe nei suoi cinque giorni di ricovero. Ebbene, almeno quattro circostanze accertate processualmente raccontano un’altra storia.
LESIONI DA PESTAGGIO
Che Stefano Cucchi sia stato pestato prima dell’udienza di convalida a palazzo di Giustizia è una circostanza che appare pacifica. Ne riferisce ai pm un testimone oculare (Samura Yaya), che lo vede e lo sente gemere sotto una gragnuola di pugni, prima, e di calci, poi. Sferrati alla schiena, quando è già in terra. Ne riferiscono ai pm, gli agenti della penitenziaria che lo traducono a Regina Coeli e che qui lo accolgono (ricorda La Rosa: «Ho 30 anni di servizio. Ho visto tante persone pestate. Cucchi era pestato». Dice l’agente Mastrogiacomo: «Quando lo vidi alla matricola, dissi al ragazzo: “Che hai fatto, un frontale contro un treno?” »). Lo comprende da subito il dottor Ferri, il medico che visita Cucchi al palazzo di Giustizia: «Mi riferì in modo evasivo di essere caduto dalle scale. E io guardando come era conciato gli risposi: “Dovevano essere strane scale”».
Le lesioni riportate da Cucchi interessano la zona lombo-sacrale. E anche qui i ricordi dei medici che lo visitano il 16 e 17 ottobre al Fatebenefratelli sono tetragoni. Le ecchimosi e il dolore lancinante che provocano consigliano infatti non solo radiografie, ma anche un immediato ricovero. Stefano, infatti, non può più camminare, né urinare spontaneamente, tanto che gli viene applicato un catetere. Di più, quando la salma di Stefano sarà riesumata per la perizia di ufficio, lungo il tratto vertebrale verranno ritrovate copiose tracce di sangue nella zona lombare, indice di quei traumi che non si vogliono vedere. Anche qui, la risposta dei periti è singolare. Si tratta di sangue che, sfidando la legge di gravità, è «risalito dal basso verso l’alto» a causa del trauma nella zona del coccige. Quella interessata dalla “caduta” sulle scale.
PANTALONI MACCHIATI
Per i periti di ufficio quelle lesioni non esistono. I testi che ne riferiscono — argomentano — sono “suggestionati”. Le cartelle cliniche non ne forniscono la prova. In realtà, le cartelle cliniche ne riferiscono eccome. Non solo: esiste una prova regina, che conferma il pestaggio ma che i periti non prendono in considerazione. I pantaloni che Stefano indossa al momento del pestaggio presentano striature di sangue all’interno. Una circostanza formidabile che conferma i ricordi di Samura Yaya, il testimone
oculare. Una circostanza, va aggiunto, che dimostra l’impossibilità che le lesioni siano l’esito di una caduta sulle scale. Come è possibile infatti cadere di sedere su dei gradini e ferirsi gli stinchi?
Anche qui, i periti della Corte pattinano. Le ferite agli stinchi sono risalenti nel tempo, dicono. Ma perché, allora, se sono così antiche hanno lasciato tracce di sangue sui pantaloni che Stefano indossava nei sotterranei del palazzo di giustizia?
INDICE DI MASSA CORPOREA
Cancellata ogni rilevanza delle lesioni, i periti concludono che la morte per fame e sete di Cucchi è facilitata dal suo basso indice di massa corporea. L’indice BMI di Stefano al momento dell’arresto (il rapporto tra l’altezza, 1 metro e 65, e il peso, 50 kg) è di 18,4. Il che, a loro dire, lo rende «un uomo sull’orlo del precipizio». La Parte civile obietterà che Zou Chiming, pugile medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra del 2012, ha un indice BMI di 17,64. «Anche lui — chiede l’avvocato Fabio Anselmo — è caduto nel baratro senza saperlo?».
VESCICA
Del resto, c’è un dato non confutato da nessuna letteratura scientifica che rende la causa di morte per fame e sete singolare. Un corpo che si spegne non restituisce più nulla. Come si spiegano allora i 1.400 centimetri cubi di urina di cui era gonfia la vescica al momento della morte? Come si spiega che, al momento dell’autopsia, nessuno degli organi interni presentasse segni tipici di quel tipo di decesso?