Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 07 Venerdì calendario

IL PD NON SAREBBE DOVUTO NASCERE

Le larghe intese sono un affare da Jena. Il governo del Pd con l’odiato B., le fatiche, i dubbi, le crisi di nervi che ne sono seguite e ne stanno seguendo, sono un tema su cui sentire Riccardo Barenghi, l’implacabile fustigatore della politica patria in generale ma della sinistra in particolare. La sua rubrica quotidiana su La Stampa si dice sia capace di cambiare il mood di tanti leader politici, particolarmente quelli che stanno a Largo Nazareno, sede nazionale dei democrat.

Se si alza il latrato sinistro della fiera della savana, se la fantasia corrosiva dell’ex direttore del Manifesto colpisce, per alcuni è come il sale sulle ferite. «Il Pd è pronto a tutto se Berlusconi fa saltare il tavolo, perfino a riperdere», ha scritto pochi giorni fa. Un genio. Romano, classe 1957, cronista politico di razza, Barenghi arrochisce la voce con l’ennesima sigaretta mentre risponde al telefono.

Domanda. Dunque queste larghe intese, per il Pd sono una sofferenza vera.

Risposta. Più che una sofferenza, un tormento. Anzi, una tortura oraria, sottile, sotto le ossa, estenuante. Perché quasi tutti non la volevano fare questo accordo, per cui la gran parte soffre come un deportato di Guantanamo, a cui passino la ciotola d’acqua.

D. Ad accuire la sofferenza di alcuni, il fatto che Matteo Renzi, ogni due per tre, gli sbatta in faccia la contraddizione: davano a lui del «berluschino» e poi con Berlusconi hanno fatto un governo_

R. Certo, Renzi, si toglie il sassolino dalla scarpa. Però un attimo_

D. Un attimo...

R. Renzi, deve dimostare sul serio alternativo a Silvio Berlusconi. E non basta la gherminella di dire che prima si deve fare la legge elettorale quando l’altro, il Cavaliere, sostiene che ci voglia il presidenzialismo. Sono entrambe posizioni strumentali.

D. Il presidenzialismo di B. non le pare sincero?

R. Berlusconi vuole il presidenzialismo così questo governo dura il più possibile. Poi magari, nella sua megalomania, anche considerando che il personaggio non muore mai, accarezza l’idea di finirci lui al Quirinale. Ma questo viene un attimo dopo.

D. E la strumentalità di Renzi, dove sta?

R. Che vuole la riforma elettorale perché, una volta fatta, è evidente che parlamento, eletto col vecchio sistema, sia di colpo delegittimato, per cui bisognerebbe andare nuove elezioni. Entrambi, direi, guardano molto al loro futuro. Personale e politico.

D. Ma Renzi che cosa deve fare?

R. Deve dimostrare alternativo alla filosofia berlusconiana. Per ora non mi pare lo sia troppo: la cena ad Arcore, la partecipazione ad Amici, ora anche il pranzo con Flavio Briatore. Sceneggiate francamente berlusconiane.

D. E invece ci vorrebbe?

R. Ci vogliono proposte politiche, sociali, che dicano che la pensa in modo diverso. Anzi che dicano che la pensa il qualche modo. Perché mi pare che, ancora, manchi un programma, che proceda ancora molto a battute. C’era la rottamazione e ora non c’è più nemmeno quella_

D. Ma lei crede a quest’ultima dichiarata disponibilità di Renzi a fare il segretario?

R. Il problema non è se ci credo io, ma se ci crede lui. Decidesse. Stiamo qua e la situazione si va facendo grottesca, ridicola. Col Pd ridotto com’è.

D. Appunto, com’è ridotto il Pd?

R. Ma siamo alle correnti personali: un uomo, una corrente, ormai. O si dà una sveglia, questo partito, o sono guai seri. Certo c’è Guglielmo Epifani, ottima persona, dirigente serio. Ma lui stesso dice d’esserea a termine, non mi pare che riesca a dare una scossa.

D. Chi può essere allora?

R. Bella domanda. Può essere Renzi? Può essere Gianni Cuperlo? O anche Fabrizio Barca? Chiunque sia, occorre un’idea,un programma, una squadra, una politica, una prospettiva. Perché così, non si è capito dove il Pd voglia andare. Perché Enrico Letta, se non sbaglio, stamane ha detto di voler durare cinque anni_

D. Parrebbe così..

R. Prima il tempo necessario per fare alcune riforme, poi 18 mesi, ora siamo a cinque anni. E nel frattempo il Pd che fa? Cosa dice agli elettori che torneranno ai seggi? Che hanno governato cinque anni con B. perché non sapevano che cosa fare?

D. Un nome fra quelli da lei citati, Barca, dopo aver suscitato molte speranze, pare essersi eclissato. Perché?

R. L’apparato del partito non ha gradito. Barca non ha riscosso un grande risultato col suo documento. È stato sentito come il professore che fa la sua lezioncina, come quello che viene da fuori a dire che cosa fare: recuperate le sezioni, organizzate la struttura ecc. Classica reazione: «Vabbè, e chi sei?». Dico il dirigente medio eh, io lo conosco e lo stimo da tanto. Questa reazione sorda e un po’ ostile sembra dire: «Prima devi sporcarti le mani col congresso».

D. A proposito di congresso, è iniziato il tormentone della necessità che il segretario sia distinto da candidato premier. Che gliene pare?

R. Problema irrilevante. Così non vanno da nessuna parte. Ma dico io: se uno è leader del partito, perché non può essere candidato premier? Non ne trovano neanche uno, figurati due. Ne trovassero uno almeno, uno! Si sono attaccati all’ex segretario della Cgil per fargli traghettare il partito, non si sa dove. Mi pare ci sia una grande confusione.

D. Ad aumentare la confusione c’è un ex segretario, Pier Luigi Bersani, che pare essersi ributtato subito nell’agone. Non era meglio prendersi una pausa, come avevano fatto, a suo tempo, Massimo D’Alema e Walter Veltroni?

R. Ma quale pausa? Veltroni si è autorottamato ma poi ha fatto libri, riempie teatri, rilascia interviste. C’è sempre stato. D’Alema poi non è mai uscito. Ma è giusto, è il loro lavoro_

D. Secondo qualcuno l’aver dilapidato un patrimonio di consenso, come nel caso di Bersani, doveva suggerire di stare un po’ fermo un giro_

R. Intendiamoci Bersani ha sbagliato la campagna elettorale, ha le sue responsabilità, ma ricordiamoci della Dc, un grande partito che non ho mai amato: c’erano leader che, in certi momenti, erano in auge, in altri prendevano le botte. Ma stavano lì. Erano dei dirigenti. E così Bersani, al quale non sono attaccato, ma il punto è che lì dovrebbe essere la nuova leva del partito. Gente che dicesse: «Adesso basta, facciamo noi e vi chiamiamo se abbiamo bisogno». La vede? I giovani sono tutti legati qualcuno.

D. Insomma Bersani ha fatto bene a rifarsi sotto...

R. Ma che si deve uccidere? Avrà diritto di parlare? E infatti il gruppo dirigente di Epifani, mi pare che ricalchi abbastanza il suo.

D. E anche nel governo, ci sono i suoi uomini.

R. Questo è sbagliato? Probabilmente sì. Si era dimesso, hanno scelto Epifani. Ma, ripeto, il problema è che non il ricambio non c’è.

D. Allora ha ragione D’Alema a ironizzare sui Giovani Turchi, che han cominciato a fare cose buone ma_

R. _ a Istambul, appunto. Certo che ha ragione. Dicevano «mai con Berlusconi, mai con Berlusconi» e Andrea Orlando va a fare il ministro, Stefano Fassina il viceministro. Ora, so bene che coerenza e politica non vanno insieme ma c’è un limite.

D. Che doveva fare Fassina, quando Letta l’ha chiamato?

R. Mettersi di lato, insomma. Per mesi e mesi hai detto basta con B., che vuoi smacchiare il giaguaro e ci governi assieme.

D. Qualcuno, un mese fa, aveva cominciato a vagheggiare di un nuovo partito a sinistra: pezzi di Pd con Nichi Vendola, per riaggregare un mondo. Lei ci crede?

R. Mah, intanto Vendola ha preso il 3%, s’è dimesso da deputato, ed è tornato in Puglia. Il peso di Sel è di poco superiore a quello di Rifondazione. Quando, non tanto tempo fa, avevano, insieme, quasi l’8%. No, Vendola è messo peggio del Pd che, almeno, ha una struttura, ha una forza del 25%. Spiegare il tracollo di Sel non è semplice: le primarie in cui si è dissanguata, certo, ma Vendola paga i suoi errori d’aver appoggiato acriticamente Bersani. Non ha mai avuto niente da dire.

D. Per cui un’altra cosa a sinistra la vede difficile?

R. Boh, e con chi? Un pezzetto di Pd? La strada vecchia è dissestata e piena di buche ma prima di lasciarla ci penseranno non una ma 150 volte.

D. Fra le righe di molte sue risposte, si può leggere come il nodo da sciogliere sia il Pd. Un partito che non sembrerebbe aver mai superato la somma delle due eredità politiche che l’hanno costituito e non aver assunto una sua personalità autonoma_

R. Con me sfonda una parta aperta. Ho detto e scritto, tante volte, che il Pd non doveva proprio nascere e che fu un errore madornale unire roba che non riesce a stare insieme. Ci voleva una forza di sinistra, moderata ma moderna, tranquilla, solida dal punto di vista ideologico, mi scusi il termine. Una cosa che c’è in tutta Europa. E poi allearsi con la Margherita. Questo non hanno fatto ma adesso dividersi rischierebbe di diventare ancora peggio. D’Alema disse una volta che è mancato l’amalgama. Per me non è mai esistito.

D. In tutto questo, sul manto del giaguaro aumentano le macchie anziché sparire_

R. Il giaguaro non muore mai. È una bestia fortissima, terribile. Vediamo le sentenze e le probabili condanne. Ma io ho una convinzione_

D. E qual è?

R. Che al grosso del popolo italiano non gliene freghi più niente. Certo, B. ha perso voti, parecchi, quasi sette milioni, ma ormai s’è assestato. Poi ci saranno strilli e urla ma B non affossa il governo, tiene il Pd per il collo e meglio così non poteva andargli. Era morto, prima delle elezioni, e il suo obiettivo era semplicemente non far vincere il centrosinistra.

D. Obiettivo raggiunto_

R. Eh sì, volevano fare il governo con Beppe Grillo e lui, B., a dire: «Siamo pronti». Geniale, da parte sua. E ora sta lì. Letta dice ancora per cinque anni.