Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 07 Venerdì calendario

NELLE MANI DI OBAMA TUTTI I DATI TELEFONICI DI 121 MILIONI DI CITTADINI

Siamo tutti sotto controllo, oltre l’immaginazione di qualunque Grande Fratello. Abbiamo avuto la conferma mercoledì sera, quando il giornale britannico Guardian ha pubblicato l’ordine con cui un giudice americano obbliga la compagnia telefonica Verizon a girare ogni informazione sulle chiamate dei suoi clienti alla National Security Agency. L’amministrazione Obama si è subito difesa, dicendo che sono misure legali e necessarie per proteggere i cittadini dal terrorismo. Ma sono giustificazioni molto simili a quelle che usava già il presidente Bush, e quindi è scoppiata la polemica: «oscena» violazione della privacy, come l’ha definita Al Gore, o indispensabile male minore?

L’ordine pubblicato dal Guardian è stato firmato il 25 aprile scorso da Roger Vinson, giudice della Foreign Intelligence Surveillance

Court, un tribunale segreto che autorizza gli atti di spionaggio sulla base del Foreign Intelligence Surveillance Act del 1978, e del Patriot Act, che ne ha allargato gli scopi dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.

Il testo, destinato a restare segreto, chiede alla compagnia di fornire fino al 19 luglio prossimo «tutti i dettagli delle chiamate o “telephony metadata”, creati dalla Verizon per comunicazioni tra gli Stati Uniti e l’estero, o interamente negli Usa, incluse le telefonate locali».

L’operazione deve proseguire «su base quotidiana per la durata dell’ordine», e includere «le informazioni identificative della sessione, il numero di origine e destinazione, la durata di ogni chiamata, i numeri delle calling cards, i trunk identifiers, l’International Mobile Subscriber Identity (IMSI)».

Non si richiede di ascoltare i contenuti delle telefonate o registrarle, ma incrociare questi “metadata” significa sapere con esattezza chi ha chiamato chi, quando, da dove, e altre informazioni personali. Verizon ha 121 milioni di clienti, e quindi più di un terzo dell’intera popolazione americana. Non è noto se ordini simili siano stati emessi anche per altre compagnie telefoniche, ma è molto probabile.

Dieci giorni prima della richiesta del giudice Vinson, a Boston era avvenuto l’attentato della Maratona. I fratelli Tsarnaev erano stati identificati come i colpevoli, e ricostruire le loro comunicazioni poteva essere la spiegazione dell’ordine.

Non è detto che sia così, però, perché la senatrice democratica Diane Feinsten, capo della Commissione Intelligence, l’ha descritta come un’operazione di routine: «Per quanto ne so, questo è il rinnovo trimestrale di un atto che si ripete da sette anni. E’ stato autorizzato in base al Patriot Act, perciò è legale, e il Congresso era informato».

La Casa Bianca ha usato gli stessi argomenti: «E’ legale, rispetta la Costituzione e i diritti civili. Informazioni di questo tipo sono state uno strumento critico per proteggere gli Stati Uniti dalle minacce terroristiche, perché consentono al nostro personale di scoprire se terroristi noti o presunti sono stati in contatto con altre persone che potrebbero aver svolto attività terroristiche, in particolare localizzate negli Usa».

Queste pratiche erano cominciate durante l’amministrazione Bush, e naturalmente i repubblicani le difendono. Ad esempio per bocca del senatore Lindsey Graham: «Non ho alcun problema. Se non lo facessimo, saremmo pazzi». Niente scandalo, dunque, a differenza delle polemiche esplose nei giorni scorsi per i controlli del dipartimento della Giustizia sui giornalisti.

Obama però aveva promesso di cambiare linea rispetto a Bush, garantendo la trasparenza, e quindi le critiche più feroci vengono proprio dal campo democratico. Per l’ex vice presidente Al Gore, ad esempio, «è sorveglianza segreta a tappeto, oscenamente oltraggiosa». La domanda sul tavolo resta quella a cui gli americani faticano a rispondere dall’11 settembre: quanta libertà e privacy sono disposti a sacrificare, per avere sicurezza?