Raffaello Masci, La Stampa 7/6/2013, 7 giugno 2013
CONSUMI GIU’, PIANGE ANCHE IL TELEFONINO
Ma quanto ce piace parla’» diceva in romanesco stretto Sabrina Ferilli in uno popolare spot pubblicitario di un gestore telefonico. Bene: questa smania - così ben sintetizzata dalla bella attrice - non possiamo più permettercela, tant’è che da un mese all’altro - aprile 2013 su marzo c’è stato un crollo della spesa per «beni e servizi della comunicazione» del 2,5%. Certo il dato è provvisorio, certo è una «stima» come si premura di dire il centro studi di Confcommercio che l’ha diffuso, certo è congiunturale, misurato cioè un mese sull’altro, quindi passibile di essere aleatorio e smentito al mese successivo, ma sta di fatto che nell’ambito della crisi più generale dei consumi, siamo arrivati a tagliare anche su questo segmento che finora aveva resistito: meno telefonini, meno tablet, meno smartphone, meno chat, meno traffico, meno sms, meno Internet, meno apparecchi ultimo grido, meno elettronica di consumo.
«Non è un fenomeno nuovo - dicono all’ufficio studi di Confcommercio - è, semmai, l’ultimo step di un percorso di riduzione globale dei consumi che va avanti dall’inizio della crisi». E fanno esempi a iosa: «L’abbigliamento è ormai in una crisi stabile al punto tale che le famiglie hanno “ricomposto” i consumi, nel senso che hanno radicalmente cambiato le modalità di scelta dei prodotti. L’alimentare stesso, che sembrava una spesa incomprimibile, ha subito forti contrazioni. Per non parlare dei beni durevoli, come automobili, arredamento, elettrodomestici». Dunque se anche il telefonino piange - secondo Confcommercio - è perché la crisi non potendo più mordere altrove ha preso di mira anche questo «consumo» in cui eravamo campioni del mondo.
Ma a leggere dentro questo fenomeno, «si capisce che a cedere quote di mercato non sono tanto i servizi, quanto gli strumenti - spiega Massimiliano Trovato dell’Istituto Bruno Leoni -. Per dirla semplice: noi continuiamo a telefonare, chattare, messaggiare, inviare e-mail e navigare su internet. Semmai non compriamo più l’ultimo modello di tabet o di telefonino, oppure ne differiamo l’acquisto, per cui a livello congiunturale il mercato ne soffre. D’altronde - aggiunge il ricercatore - se il servizio è ormai indispensabile al nostro modo di vivere e lavorare, gli strumenti che il mercato offre non richiedono un avvicendamento obbligatorio così accelerato. Molte famiglie si tengono l’aggeggio che hanno, e invece di comprare l’ultima novità, a questo punto, aspettano quella ancora successiva ma già annunciata».
Questo (momentaneo?) autunno delle tecnologie della comunicazione è inserito peraltro, secondo Confcommercio, all’interno di una raggelata severa dei consumi che registra ad aprile 2013 una diminuzione del 3,9% su base annua e una riduzione dello 0,1% rispetto a marzo. Confcommercio ritiene che «il deteriorarsi delle condizioni occupazionali e reddituali delle famiglie stia determinando una dinamica della domanda, in questa prima parte del 2013, ancora più negativa rispetto ai primi mesi del 2012». Delle comunicazioni si è detto, ma a soffrire moltissimo sono il comparto alimentare (-6,2%), l’abbigliamento e le calzature (-6,7%), ma il dato più preoccupante è ancora quello relativo ai «beni e servizi per la mobilità» la cui domanda registra una contrazione del 7,5% su base annua, il che sta a indicare che i trasporti e i carburanti restano la voice di spesa che maggiormente pesa sul bilancio delle famiglie.
In questo clima non meraviglia il disperato appello del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, per evitare l’aumento dell’Iva «programmato dal precedente governo Monti e finora confermato dall’attuale esecutivo» che si configurerebbe come «un “De profundis” dei consumi e porterebbe ad un’ulteriore restrizione della domanda con la conseguente chiusura di altri esercizi commerciali».