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 2013  giugno 01 Sabato calendario

SE IL FENOMENO DAN BROWN LAVORA PER NOI

Un privilegio di chi abita a New York consiste nel poter osservare da vicino la grande macchina del marketing culturale americano. Per quanto uno sappia che esiste, un conto è leggerne sui giornali, altra cosa è trovarsi risucchiati nel suo vortice, nell’occhio del ciclone. Un simile ciclone è passato letteralmente vicino a casa mia, quando Dan Brown è “apparso” qui per il lancio mondiale del suo nuovo libro, Inferno. Premetto subito - per onestà e non per snobismo, credetemi - che non sono un lettore di Dan Brown. So che l’affermazione mi farà dei nemici, visto che statisticamente la maggioranza di chi legge qualcosa... legge Dan Brown. Pazienza, sopportatemi anche se ho altri gusti. Ma ho comunque subìto l’attrazione dell’Evento. Come non essere soggiogati da un simile dispiegamento di potenza? Al Lincoln Center, nell’Upper West Side, l’intera Avery Fisher Hall era stata prenotata per l’occasione.

Avery Fisher Hall, a fianco della Metropolitan Opera, è la sede della New York Philarmonic. Con 2.738 posti, è una delle più grandi sale da concerti del mondo. Per la discesa dal cielo di Dan Brown era a malapena sufficiente, nonostante l’ingresso fosse a pagamento. Oltre al pubblico pagante, oltre ai Vip del cinema accorsi a farsi vedere (Inferno è già stato scritto come una sceneggiatura per il prossimo film), naturalmente c’eravamo “noi”: giornalisti e soprattutto troupe tv, selve di telecamere, squadre di operatori dal mondo intero. La poderosa industria del marketing editoriale aveva “comandato” una copertura mediatica che ti aspetteresti per l’Inauguration Day di un presidente. E poi c’erano tanti editori venuti anch’essi dal mondo intero, perché il lancio avveniva in perfetta sincronizzazione globale per tutte le traduzioni.

Poiché questa è New York e “business is business”, tutto l’Evento era soffuso di un’eccitazione molto speciale, pervaso da un ottimismo di fondo: l’idea che un fenomeno da 200 milioni di copie (tante ne ha vendute Brown con i libri precedenti) merita rispetto perché fa bene a tutti. Fa tornare la gente nelle librerie - spiegano gli esperti - e così magari gli stessi lettori attratti da Inferno finiscono per comprare pure qualcos’altro. Così un po’ tutti gli autori possono sentire un effetto di traino, fossero pure le briciole (in proporzione).

Con un volumone venduto a 28 dollari in America e 25 euro in Europa, Inferno viene insomma paragonato a una mini-manovra economica in favore dell’editoria. Nientemeno. Ma se alla fine della serata ho pensato di avere speso bene il mio tempo, è per un’altra ragione. Nel promuovere il proprio libro, Brown ha voluto rendere un omaggio entusiasta alla Divina Commedia, che gli è servita d’ispirazione. Lo ha fatto con un vigore ingenuo tipico di tutti quegli americani che adorano il nostro paese. Ha cantato le lodi di quel poema definendolo «il più influente e forse per molti secoli perfino il più letto, dopo la Bibbia». Ha sottolineato che nell’immaginare le loro versioni di Inferno, Purgatorio e Paradiso, per secoli gli artisti di tutta l’Europa hanno attinto dai “paesaggi” descritti da Dante. L’intervento di Brown era stato preceduto da un filmato che mostrava l’autore in giro per Firenze, in pellegrinaggio alla fonte, nei luoghi danteschi. Oltre a Firenze, l’altra città dove si dipana la trama di Inferno è Venezia. Insomma, quell’evento mondiale generato dalla sapiente regìa americana, si è trasformato anche in un bello spot pubblicitario per l’Italia. Ne avrà nuovo impulso quel filone del turismo “tematico”, già fiorito ai tempi del Codice da Vinci.

Certo, istintivamente preferisco un’operazione di cultura alta come quella fatta dal nostro Benigni con le sue letture della Commedia (peraltro, nuovamente tradotta in un’edizione moderna anche qui in America). Ma di recente mi sono imbattuto in una statistica un po’ deprimente: fra i 10 musei più visitati del mondo, non ce n’è uno solo italiano. La Galleria degli Uffizi appare solo al 21 posto. Se la gioiosa macchina da guerra del marketing culturale di Manhattan può aiutarci dove non riesce lo Stato italiano, cioè nel ravvivare il flusso di turismo straniero nelle nostre città d’arte, allora ben venga un autore da 200 milioni di copie.