Gloria Mattioni, D, la Repubblica 1/6/2013, 1 giugno 2013
PAURA DI GLORIA?
Solo a sentirla nominare, si rizzano i capelli in testa a molti “intoccabili”: a divi come Charlie Sheen, Eddie Murphy, Rob Lowe, Robert Blake, (si rizzavano anche al defunto Michael Jackson), e poi a star dello sport come O.J. Simpson, Mike Tyson,Tiger Woods... Ognuno di loro ha dovuto imparare che fama e potere non possono proteggere dalle conseguenze delle cattive azioni. Ognuno l’ha imparato a colpi di milioni di dollari di risarcimento alle proprie vittime: donne usate e sfruttate, oppure bambini privati del diritto all’innocenza.
Si, perché Gloria Allred è una paladina degli svantaggiati, degli offesi, degli oppressi, dei discriminati ingiustamente, e scende in aula come un gladiatore. Per vincere usa qualsiasi mezzo (lecito): dai sit-in di protesta negli uffici del procuratore distrettuale di Los Angeles, quando non voleva riceverla, alle conferenze stampa-scoop. Abilissima nel manovrare i media («sono un’ottima comunicatrice, ho condotto per anni un talk-show tv che mi ha fatto vincere tre Emmy Award, e la mia autobiografia pubblicata nel 2006, Fight Back and Win, si è piazzata subito tra i bestseller del New York Times»), è perfettamente a suo agio sotto la luce dei riflettori. Difatti non esita a utilizzare effetti speciali e colpi di scena: al senatore californiano John Schmitz, un repubblicano conservatore e bigotto che proponeva una legge per regolare la contraccezione e proibire l’aborto legale, consegnò una cintura di castità da regalare a sua moglie Mary; nel 1987, in lotta contro l’esclusione delle donne dal club privato Friars, a Beverly Hills, non esitò a entrare in un bagno turco affollato di uomini nudi, armata di righello centimetrato e cantando Is That All There Is di Peggy Lee.
L’elenco potrebbe continuare. I 35 anni di carriera legale di Gloria Allred, oggi settantunenne, sono costellati di vittorie e scene madri. Alcune, memorabili, hanno addirittura cambiato la legislazione su argomenti fondamentali come le molestie sessuali ai bambini. Altre hanno avuto gli onori della cronaca internazionale, quando erano coinvolti personaggi celebri o istituzioni come la Chiesa cattolica. Ma più spesso si è trattato di conclusioni in sordina, con accordi monetari stipulati prima che il caso arrivasse in tribunale. «Il 90% dei casi di cui ci occupiamo sono risolti in maniera confidenziale», mi informa prima della nostra intervista, scortandomi per i corridoi dello studio legale Allred, Maroko e Goldberg (suoi partner da sempre). «Non è colpa mia se pubblico e media sono più sensibili alla battaglia legale tra Tiger Woods e la sua amante che alle rivendicazioni delle contadine».
All’ufficio di Gloria Allred si accede attraverso una galleria di suoi ritratti fotografici, in compagnia di vari presidenti americani che le consegnano onorificenze. Due cose colpiscono subito: un manichino vestito con la divisa di un bobby inglese («per ricordare che quando le donne manifestavano in Inghilterra per il voto, venivano arrestate») e una placca con la scritta «Siate ragionevoli. Fate come voglio io». La targa ci ricorda una storia raccontata da sua figlia Linda Bloom, avvocato ed editorialista giudiziaria per il telegiornale ABC News: «Certe madri incoraggiano le figlie a collezionare porcellane da tè. La mia era invece orgogliosa della mia collezione di adesivi e distintivi con slogan femministi. “Una donna senza un uomo è come un pesce senza bicicletta”, o il mio favorito, “Le donne che vogliono l’eguaglianza con gli uomini mancano di ambizione”.
Sulla scrivania. Gloria Allred tiene anche le foto di famiglia con figlia e nipoti. Ma la mamma e la nonna in questione è l’avvocato femminista più temuto e controverso d’America. Una che spacca l’opinione pubblica.
O la ami o la odi. Gloria Allred. È vestita con uno dei tailleur che hanno caratterizzato il suo stile, giacca di maglia rossa (il suo colore preferito) e pantaloni neri, al collo un filo di perle, make up impeccabile nonostante sia appena scesa da un aereo, di ritorno da Washington. «Il 26 marzo ho partecipato alla veglia a lume di candela davanti alla Corte Suprema insieme alle mie clienti Robin Tyler e Diane Olson, che ho rappresentato nel 2004 in uno dei primi casi in difesa del matrimonio per coppie dello stesso sesso. Ascoltare con loro il discorso del giudice Sonia Sotomayor, che stracciava le obiezioni contro il matrimonio gay, è stato molto emozionante».
Racconta che la sua devozione alla difesa delle donne ha motivazioni biografiche. «Viene dalla mia storia personale, che è uguale a quella di tante altre. Una ragazza senza mezzi che ha dovuto faticare il doppio di un uomo per studiare e lavorare, che è stata pagata meno dei colleghi maschi nello stesso ruolo. Una madre adolescente che si è ritrovata presto sola, con un ex marito che non pagava la sua parte. Una donna che è stata violentata sotto la minaccia di una pistola». Sa perfettamente che l’hanno definita un mastino in tribunale, che la ricordano come l’avvocato che osa sfidare i potenti, che spesso la percepiscono come un crociato che si arruola per le cause degli oppressi. «Ma io mi sento un guerriero in lotta per il cambiamento. Una femminista con una grande passione per la giustizia, ma dotata di senso dell’umorismo. Sono rimasta una cheerleader. Faccio il tifo per le squadre femminili».
Non difende mai uomini, Gloria Allred? «Certamente si. A patto che non abbiano mai usato, o abusato di, donne e bambini. Il nostro studio si occupa anche di diritti dei lavoratori, maschi o femmine non ha importanza». Confida che il suo cliente ideale sarebbe stato Davide. Contro Golia. E si sente immune da qualsiasi pregiudizio morale. Davvero? Sta facendo forse riferimento al caso recente di Jolsyn James, l’amante diTigerWoods che ha rinunciato alla sua carriera di attrice porno per colpa della gelosia del campione di golf? «Ma certo! Nessun pregiudizio morale. Non discuto mai le scelte professionali dei miei clienti, purché non facciano del male ad altri. Ho difeso prostitute violentate o picchiate perché credo che chiunque abbia diritto a vivere la sua vita senza pericoli. Nella causa che ha opposto Jolsyn James a Tiger Woods, ho difeso i diritti di una donna che aveva fatto scelte che avrebbero condizionato il suo futuro economico, sulla base di promesse non mantenute da un uomo ricco e famoso. Del resto, accetto solo casi in cui credo. Soprattutto devo credere che un’eventuale vittoria in quel particolare caso possa beneficiare molti. Creare un precedente. Insomma, aiutare altri nelle stesse condizioni a trovare il coraggio di lottare».
Chiarissimo. Le chiediamo allora un esempio di cause che le sono state particolarmente a cuore. «Gliene dico due, visto che è italiana. Comincio dallo scandalo che nel 1984 alzò il velo sulle molestie sessuali perpetrate in segreto dai preti cattolici. La mia cliente era Rita Milla, la prima donna a fare causa alla Chiesa, nella fattispecie all’arcidiocesi di Los Angeles. Sette preti avevano abusato di lei da quando aveva 16 anni e Rita aveva anche concepito e partorito una figlia di cui non avrebbe mai conosciuto la paternità. I preti predatori scomparvero dalla circolazione per evitare il processo, e oggi abbiamo le prove che l’arcivescovo Mahony menti quando dichiarò al Los Angeles Times di non sapere dove si trovassero: documenti di cui siamo entrati in possesso soltanto il mese scorso». L’altro caso? «Una storia altrettanto orribile, e un’altra donna vittima, Toni Dykstra. Una giovane madre in lotta con il padre della sua figlia più piccola, l’italoamericano Carlo Ventre, per la custodia legale della loro bambina. Venne trovata morta il 28 luglio 1998 nell’appartamento di Roma del Ventre, dove si era recata in cerca della figlia rapita. Lui aveva disubbidito agli ordini del tribunale americano e se l’era portata via, chiamando Toni dall’Italia per dirle che se lo ostacolava non avrebbe mai più rivisto la figlia Santina. Quella storia mi fece andare avanti e indietro tra Roma e Los Angeles per anni, inferocita all’idea che un tribunale potesse trovare idoneo alla custodia un padre accusato di aver ucciso la madre della loro figlia di neanche 3 anni. La battaglia fu lunga e stremante ma il ritorno di Santina negli Usa stabili un precedente importante. Toni Dykstra almeno non era morta invano. Carlo Ventre finì in prigione per il rapimento e anni dopo, nel 2006, venne anche processato per omicidio di primo grado».
I più informati ricordano che non ci fu un verdetto, perche l’accusato mori di crepacuore mentre testimoniava.