Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 6/6/2013, 6 giugno 2013
MEA CULPA FMI: TROPPI ERRORI SULLA GRECIA
L’Fmi ha ammesso di aver sbagliato di grosso nel salvataggio di Atene sulla «sostenibilità del debito» e di aver «pesantemente sottovalutato i danni dell’austerità contenuti nel piano di aiuti concessi alla Grecia».
Si tratta del secondo capitolo di quell’errore di valutazione sul peso delle misure di rigore che già aveva adombrato il capo economista del Fondo, Olivier Blanchard, quando aveva ammesso che l’Fmi aveva usato un moltiplicatore sugli effetti delle politiche recessive sulla crescita dello 0,5, mentre quello vero era dell’1.
Un mea culpa tardivo che potrebbe condurre al fatto che i futuri salvataggi non saranno più legati a condizioni tanto severe nella tempistica quanto quelle che Atene ha dovuto subire.
Nel documento gli autori sostengono comunque che il salvagente lanciato nel 2010 ad Atene «ha dato tempo all’area euro per costruire una cortina di protezione a beneficio di altri Paesi membri vulnerabili, evitando effetti potenziali gravi per l’economia globale». Un aiuto costato 47 miliardi di dollari al Fondo, il maggiore sostegno mai effettuato rispetto alla grandezza del Paese. In più occasioni, vari membri del Fondo, così come il numero uno Christine Lagarde, hanno detto apertamente che quel debito era «sostenibile». Ma dal documento emerge una realtà ben diversa: che le incertezze legate al salvataggio greco erano «così significative che lo staff era incapace di garantire che il debito pubblico fosse sostenibile con una elevata probabilità». Elemento che, secondo lo statuto, avrebbe dovuto impedire al Fondo d’intervenire.
Il Fondo ammette di essere stato troppo ottimista sulla capacità di Atene di tornare ad accedere al mercato dei capitali.
Una tesi che si contrappone a quanto detto in un’intervista martedì sera dallo stesso direttore generale del Fondo, Christine Lagarde, secondo cui «Atene potrebbe tornare sul mercato dei capitali nel 2014».
L’istituto critica a posteriori soprattutto i ritardi della ristrutturazione del debito greco, arrivato solo nel maggio del 2012, due anni dopo il via libera al primo salvataggio da 110 miliardi di euro: una ristrutturazione tempestiva sarebbe costata meno ai contribuenti europei e avrebbe eliminato prima l’effetto del contagio.
Il Fondo non risparmia critiche anche alla Commissione Ue: «non aveva avuto esperienza nella gestione di crisi» e ha «riscontrato successo limitato nell’implementazione (delle condizioni di prestito, ndr)». La Commissione era focalizzata più «sul rispetto delle normative Ue che sull’impatto alla crescita» e «non era in grado di contribuire nell’identificazione di riforme strutturali a sostegno della crescita». Infatti, nella troika c’erano «differenze sostanziali sulle stime di crescita». L’Fmi aveva originariamente previsto che il Pil greco sarebbe sceso del 5,5% tra il 2009- 2012. La flessione fu invece del 17%. Il piano prevedeva la disoccupazione al 15%. È stato del 25%. Insomma una débâcle.
Infine non maca una critica anche al governo di Atene che ha spalmato i sacrifici sociali dell’austerity in modo ineguale.