Pier Andrea Canei, Style 30/5/2013, 30 maggio 2013
CAROLYN MCCALL
È uno spettacolo edificante vedere una delle 100 donne più potenti d’Inghilterra (secondo il programma Women’s Hour di radio Bbc), Carolyn McCall, inglese classe 1961 e Ceo della compagnia aerea low-cost easyJet, che baratta la sua borsa Bottega Veneta con un sacco della spazzatura arancione, e percorre le 26 file (per complessivi 156 posti) di uno degli Airbus A319 in servizio inaugurale sulla rotta più trafficata e redditizia d’Italia raccattando cartacce, bottigliette, bicchieri di plastica e briciole varie.
Dopo aver colonizzato l’intero terminal 2 di Malpensa, il vettore inglese ha incominciato pure ad aggredire lo scalo di Linate, roccaforte di Alitalia e dei voli business, per lanciare la sfida sulla tratta tra Milano e Roma, gallina dalle uova d’oro dell’aviazione commerciale italiana. Siamo tutti per il risparmio, signora McCall, ma per la pulizia dell’aeromobile non bastavano le solite hostess? «È diventato un rito a ogni evento inaugurale da quando, istintivamente, m’è venuto di farlo sul mio primo volo easyJet da capoazienda. Quasi una scusa per parlare con tutti; il personale di bordo si rilassa, e chiacchiera. I passeggeri mi parlano, brontolano o elogiano. Poterli incontrare senza mediazioni, fuori da focus group o sondaggi, è prezioso».
Lei proviene dalla poltrona di Ceo del gruppo del Guardian di Londra. Dalla carta agli «aeroplanini». Come dire, via dalla nave che affonda? Non proprio. Il Guardian e molto ben posizionato per affrontare con successo la battaglia dei nuovi media e per finanziare il proprio futuro. Non che la cosa venga molto riconosciuta, perché gli altri giornali non amano quel gruppo, così ben articolato e integrato; ne fanno parte canali tv, radio, magazine, molto web. È un «people business» adrenalinico: si lavora contro il tempo. EasyJet non è da meno.
Come si fa filare una linea aerea? Ci vuole una disciplina militare. Il capo delle operazioni è come un comandante. Nessuno deve temere di venir incolpato, ma tutti devono rispettare il rigore. È essenziale per ottenere una performance all’altezza.
I posti assegnati. Le priorità d’imbarco. E adesso il traffico sulla Linate-Fiumicino. Vi state pian piano distaccando dal modello low-cost per insidiare le compagnie di bandiera.
Un attimo, Alitalia è un gigante. Noi facciamo cinque voli sulla tratta MilanoRoma, loro 17. Per noi ha senso quella tratta perché è breve e parecchio richiesta, si possono fare molti voli ammortizzando le spese aeroportuali, e garantisce profitti. Per i consumatori poi c’è il vantaggio di avere una scelta: le nostre tariffe partono da 29,75 euro.
Non è mai facile trovare davvero i prezzi più bassi reclamizzati. Noi siamo fedeli a un principio: il dieci per cento dei posti è acquistabile alla tariffa minima pubblicata. Almeno. Certo poi alcune tratte sono più richieste di altre e ciò può far salire il costo del biglietto, ma ci sarà sempre un bel divario tra i nostri prezzi e quelli di Alitalia.
Già, Alitalia. I vostri migliori nemici... Non vedo le cose in questi termini. Ogni cambiamento strutturale comporta vincitori e vinti; anche alla Sea mi confermano che i mutamenti del settore dell’aviazione commerciale sono irreversibili. I costi si sono innalzati troppo, non scenderanno più. I margini si son ridotti, e le compagnie di bandiera tradizionali ne risentono, perdono soldi, sono costrette a tagliare costi. Noi guadagniamo, sulle tratte brevi anche bene: è quel che siamo nati per fare. Lavoriamo ai bordi delle piste d’atterraggio, in un hangar dell’aeroporto londinese di Luton, siamo giovani dinamici e snelli. Una compagnia tradizionale può implementare un nuovo piano di business ma difficilmente potrà adottare una nuova mentalità come la nostra.
Ma quella del lungo raggio low-cost cos’è, un’utopia? Di certo non è il nostro focus, noi puntiamo su tratte brevi in Europa. Ci sono posti di frontiera che raggiungiamo, come Reykjavik o Amman o Mosca... Apriamo interi mercati. Detto questo il core business restano tratte come MalpensaMadrid, Londra-Berlino, Parigi-Tolosa. Gli aeroporti primari. Solo il cinque per cento delle nostre rotte sono stagionali.
La clientela d’affari per ora è al 20 per cento, ma sembra destinata a crescere. Del resto, sempre meno aziende fanno viaggiare i dipendenti in classe business. È vero, le corporation iniziano a considerarci, dicono: perché non provarci visto che costa meno? Poi si rendono conto che siamo diventati efficienti, affidabili e non tornano più indietro. Abbiamo accordi in ogni Paese, qui da voi anche con Confindustria.
Di quali numeri aziendali è più orgogliosa? Customer satisfaction 85 per cento, puntualità 86 per cento. Il fatto che i nostri dipendenti siano orgogliosi e felici di lavorare in easyJet. E i fatturati, che crescono bene, 375 milioni di euro lo scorso anno, con un margine del 12 per cento.
Un altro bestseller easyJet: quei panini al bacon, grassi e apprezzatissimi. Sono la prima a ordinarne uno. Spesso prendo il primo volo del mattino e ne mangio uno magari alle 6 e mezzo, che poi non so quando (e se) riuscirò a pranzare.
È la sua dieta regolare? Cerco di stare il più attenta possibile. Anche sui nostri aerei: mi sono sincerata che non manchino mai frutta, insalate, il porridge. Cose sane.
Tutta questa disciplina militare intorno a lei: riflette la sua educazione? Sono nata in India, non un posto disciplinato, e cresciuta tra Singapore e il Derbyshire. Ciò mi ha reso semmai flessibile e aperta ai cambiamenti.
È stata nominata tra le 100 donne più potenti d’Inghilterra. Si sente orgogliosa? Marjorie Scardino, prima donna manager di una azienda Footsie (le 100 aziende top della borsa inglese, ndr), è stata un modello. E sono contenta di avere nel mio team signore in gamba come la responsabile del mercato italiano, Frances Ouseley. Ma non mi preoccupo tanto di essere donna d’affari, più di essere in affari. Facendo un buon lavoro.
E dopo il lavoro? Tiene tre pupi. Già, l’equilibrio nella vita. A volte esco presto, li vado a prendere a scuola, preparo la cena e li metto a letto. E torno a lavorare. Però chiedetelo pure al capo di Alitalia, come fa.
Style non è un mensile business, lo chiederemmo a chiunque. E fate bene a domandarlo anche agli uomini di potere. L’equilibrio tra lavoro e famiglia riguarda pure loro.