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 2013  maggio 30 Giovedì calendario

GARRONE DAL PETROLIO AL VENTO «PULITO CHE CONVIENE»

In Star Wars Anakin Skywalker era un cavaliere Jedi (padre dell’eroe buono Luke Skywalker) passato alla parte oscura della forza e diventato Dart Fener, il terribile cattivo con l’armatura tutta nera. Forse solo un simile esempio riesce a spiegare bene che effetto fa per una grande azienda passare dal petrolio all’eolico. Nell’immaginario comune il petroliere è sporco, brutto e cattivo (oltre che ricchissimo), mentre chi ingabbia l’energia del vento utilizza la forza più pulita al mondo (insieme col sole). Però dall’immaginario alla realtà il passo è grande, e il fatto che una grande famiglia di imprenditori come quella dei Garrone sia passata dal petrolio al vento come core business un po’ di impressione la fa. Sembra quasi il percorso alla rovescia di Star Wars in cui è Dart Fener che diventa buono. «In effetti il passaggio non è stato poi così semplice» sorride Alessandro Garrone, vicepresidente esecutivo di Erg, «e poi noi non ci sentivamo così cattivi da petrolieri, ne cavalieri bianchi adesso che ci occupiamo di energie rinnovabili. Si tratta di business, seppur con connotazioni indubbiamente molto diverse».
E in effetti la Erg (Edoardo Raffineria Garrone) è pur sempre l’azienda fondata dal nonno di Alessandro come raffineria, poi diventata anche rete commerciale e solo nel 2000 aperta all’elettrico. Ma la vera svolta sta nel progressivo allontanamento dalla raffinazione. Prova ne è la cessione ai russi di Lukoil della raffineria Isab (mantenendo il 20 per cento delle quote). In tema di distribuzione, invece, c’è la nascita di TotalErg, joint venture nata dalla fusione tra Erg Petroli e Total Italia, che oggi rappresenta il terzo operatore in Italia nella fornitura di prodotti petroliferi. «Questo lungo percorso fa capire quanto sia stata progressiva la nostra scelta» osserva Garrone. «Noi disponevamo di un’unica raffineria in un mercato con player davvero molto forti. Il tutto in un momento storico in cui la raffineria era entrata in crisi nell’area europea. La cessione ha rappresentato un passo importantissimo per accelerare lo spostamento verso le rinnovabili. Non bisogna dimenticare che negli ultimi cinque anni, per operazioni di fusioni e acquisizioni, abbiamo movimentato circa sei miliardi di euro. Una cifra niente male per una società che ne capitalizza tra 1,5 e due».
Come nasce il salto verso il «lato pulito della forza»? E quali sono i perché di questa scelta? Circa dieci anni fa un nostro socio spagnolo ci chiese di partecipare a un primo impianto in Italia. Era ancora il tempo dei pionieri, degli sperimentatori, e facevamo un po’ di fatica a considerare l’eolico come un business davvero solido. Poi, col tempo, finita l’epoca dell’incertezza, svaniti i contrasti con gli ambientalisti e definite le aree destinate agli impianti, si è aperto lo spazio per vere operazioni industriali. È solo allora che abbiamo riconosciuto tutte le potenzialità di crescita di questo settore. Avendo deciso di far scendere la nostra presenza nel petrolio, abbiamo’individuato nell’eolico la svolta migliore.
E la scelta di rimanere comunque nel settore dell’energia per ora paga. Nel 2013 l’Ebitda risalirà a quei 500 milioni che caratterizzavano il nostro business petrolifero. La differenza è che oggi il 70/75 per cento del fatturato è costituito da eolico ed elettrico. Inoltre si tratta di un settore che ci offre l’opportunità di andare all’estero: oltre a Romania e Bulgaria stiamo guardando alla Polonia e, in prospettiva futura, anche all’America Latina.
Una grande impresa che lavora in molti mercati stranieri è un termometro ideale per rilevare quale sia il grado di credibilità del nostro Paese all’estero. Qual è la vostra percezione al riguardo? L’Italia è molto apprezzata per ciò che riesce a produrre ma la credibilità te la devi conquistare sul campo, nessuno te la regala. Tra noi e un avversario tedesco, non c’è dubbio che quest’ultimo parta avvantaggiato per l’affidabilità del sistema germanico. Noi nel settore delle rinnovabili ci siamo costruiti la reputazione di soggetto credibile e affidabile con qualche sforzo in più.
Viene ogni tanto la voglia di mollare tutto? O pensa che l’Italia riesca sempre a dare il meglio di sé nelle difficoltà? Il nostro è un Paese bello e complicato. Lo è sempre stato. Nel periodo delle Brigate Rosse avevamo pensato di andarcene, poi siamo rimasti. Adesso, più che mai, siamo fiduciosi. Però noi non abbiamo le stesse sensazioni di chi produce, il nostro business è diverso. Malgrado ciò, credo che ci vorrà un grande sforzo di tutti, industriali inclusi, per venirne fuori: e servirà tempo. Bisognerà prima ricostruire la credibilità dell’Italia. All’estero si fa fatica a trovare imprenditori che vogliano investire qui e questo è un campanello d’allarme preoccupante.
Voi vi siete dati un codice etico e puntate molto su certi valori, ribaditi anche dalla Fondazione Edoardo Garrone. Sta sempre nel gioco di farvi «perdonare» il passato da cattivi petrolieri? Le assicuro che non abbiamo mai sentito l’esigenza di ripulirci l’immagine. Semplicemente perché non ne abbiamo bisogno. Però etica per noi significa trasparenza di policy, normative e modello di business, comportamenti corretti messi nero su bianco per i nostri dipendenti, rispetto degli accordi e delle persone. La nostra fondazione, invece, è sostenuta quasi totalmente dalla famiglia: è un modo per restituire alla collettività un po’ dei ricavati della nostra attività imprenditoriale.
Tra i suoi hobby ci sono ciclismo, trekking e addirittura volo. Manca la vela, specie per uno nato sul mare di Genova. Ho provato anche quella, ma non è mai scattata la passione. Sarà perché a me il mare non piace. Adoro la montagna, infatti anche il ciclismo lo concepisco solo in salita. Per il volo invece si tratta di autentica passione, al punto che sono in attesa di sostenere l’esame pratico per ottenere il brevetto. Però anche in quel caso mi piace sorvolare le alture: vedere dall’alto le Dolomiti è uno spettacolo straordinario. Molto meglio del mare.
Un tradimento in piena regola di cui neanche Anakin Skywalker, in versione Dart Fener, sarebbe stato capace.